“Dalla A alla Z”: J come J-Ax
Dal debutto ai grandi successi: la vita e la musica dei protagonisti della scena, uno per lettera. Oggi proseguiamo dalla G come Gazzelle. A cura di Francesco Costa
La musica è fatta di storie, di viaggi che attraversano generazioni e influenzano il panorama culturale del proprio tempo. “Dalla A alla Z” è la rubrica che ripercorre le carriere degli artisti più iconici della scena italiana e internazionale, raccontando le loro origini, i primi passi, le sfide e i successi che li hanno consacrati. Oggi proseguiamo dalla J, J come J-Ax.
Un percorso che parte dagli esordi e arriva fino ai giorni nostri, tra aneddoti, evoluzioni stilistiche e curiosità che hanno segnato il loro cammino artistico. A cura di Francesco Costa, questa rubrica si propone di esplorare in profondità il talento, la determinazione e l’unicità di ogni singolo artista, analizzando l’impatto che ciascuno ha avuto sulla musica e sul pubblico.
“Dalla A alla Z”: J come J-Ax
Quando hai visto il mondo dalla cima, sei intrappolato al top come un topo. È la dura legge del successo, pagata a duro prezzo dall’artista della puntata di oggi. Lui è l’intrattenitore che viene dal quartiere e ti fa muovere il sedere, ha urlato così tanto che gli è scoppiata la testa. Ma quando gli si è ingrigito il pelo e ha tirato il freno, l’ha rimessa in ordine. Non voleva crescere, è successo tutto a un tratto però è “Un bel viaggio”. Il suo nome inizia con la lettera J, J come J-Ax.
Siamo uno per noi stessi, centomila per gli altri. Alla fine non siamo nessuno perché non esiste un’identità fissa, sosteneva a gran voce Pirandello. Io non lo so quanti J-Ax ci siano – se uno, nessuno o centomila – ma sicuramente ne possiamo identificare due. C’è un J-Ax per i millenial adolescenti negli anni novanta che indossa la berretta, c’è un J-Ax per la generazione zeta che indossa un cappello e il J-Ax che ho conosciuto io è quello con il cappello. La prima volta che l’ho visto in concerto avevo quindici anni e con lui non c’era DJ Jad, ma Fedez, perché anche dopo lo scioglimento degli Articolo 31, Ax non ha mai rinunciato ai sodalizi artistici (nel 2010 ha dato vita al duo Due Di Picche con Neffa pubblicando l’album “C’eravamo tanto odiati”).
Ricordo il palazzetto di Montichiari gremito e lo sguardo stizzito di mia madre, costretta ad accompagnarmi. Ricordo la prima canzone, un inno pop punk che invita a non prendere troppo sul serio il lavoro degli artisti perché alla fine è solo “Musica del cazzo”, non salva il mondo ma salva chi la fa e a volte chi la ascolta. In scaletta, molti brani sono dell’album di coppia “Comunisti col Rolex” del 2017. Nei due anni insieme, arrivano a vendere quasi due milioni di copie.
Sono gli anni delle hit estive da “Vorrei non posto” a “Senza pagare” fino a “Italiana” che sancisce nel 2018 la fine del duo (si ricomporrà soltanto nel 2022 per il Love Mi, mega evento organizzato a Milano). Il J-Ax che conosce meglio la mia generazione è proprio quello dei tormentoni che propone in chiave solista come “Ostia Lido” e “Una voglia assurda” e in featuring come “Ti volevo dedicare” con Rocco Hunt e i Boomdabash. In realtà, spulciando la sua discografia più recente, è più facile dire con chi non ha duettato che il contrario. Dal 2015 a oggi ha prestato infatti la sua voce a centinaia di artisti più e meno noti perché collaborare con lui è garanzia di successo. Ma l’Ax con il cappello non è solo pezzi scanzonati, è anche pezzi schietti e sinceri che toccano le corde più profonde come “Tutto tua madre”.
«Quelli che mi amano con il biglietto per il mio spettacolo chissà se si immaginano che hanno pagato le cure e i dottori che hanno realizzato un miracolo», rappa in questa ballad delicata in cui racconta la gioia di essere diventato padre dopo tutte le difficoltà, tra aborti spontanei e trattamenti di fecondazione assistita. Perché come canta in “Per una volta”, nella vita si è sempre dovuto rompere le ossa per una storia con il lieto fine.
L’emozionante pezzo dedicato al figlio – che si aggiunge ai due milioni di nipoti che per strada lo chiamano zio – apre le porte a un album che esce nel 2020, “ReAle”, l’ultimo inciso da solista. Al suo interno si spazia da pezzi orecchiabili e disimpegnati come “La mia hit” con l’amico Max Pezzali e “Supercalifragili” con Annalisa e Luca Di Stefano a brani in cui possiamo trovare qualche onesta e autocritica provocazione.
«Qui tocca essere mainstream se no a quest’ora lavoravo per Just Eat», ammette in “Mainstream (la scala sociale del rap)”. Tra le tracce del disco ci sono anche “RedNeck” con Jake La Furia – con cui canta anche l’anno dopo con il singolo estivo “Salsa” – e “Fiesta!” con Il Cile. L’incontro con il cantautore arriva a cinque anni dallo stupefacente esito di “Maria Salvador”, pezzo iconico che celebra in modo irresistibilmente ironico i benefici della marijuana e che tutti hanno cantato – dagli adulti ai bambini, per buona pace dei moralisti che vogliono un un paese pettinato da fighetto che si fa il weekend in mezzo alle righe e il lunedì la riga in mezzo (da “L’uomo col cappello”).
Il singolo è il terzo estratto dall’album “Il bello d’esser brutti” del 2015, il più venduto della sua carriera individuale forse perché è quello in cui dimostra maggiormente la sua capacità di stare al passo con i tempi. È quello in cui trova la chiave giusta, approfondendo temi attuali come nella title track che racconta la rivincita di chi non si rade e non va in palestra, di chi preferisce tenersi la barbetta incolta e la pancetta, di chi se ne frega dell’accusa di essere un “Ribelle e basta”, di tutti quelli che hanno superato i quaranta e si accettano per come sono perché siamo “Nati così” e tutto il resto prima o poi verrà. Dopo qualche anno più sottotono, Alessandro ritrova la creatività e si mette a nudo come fa nella meravigliosa “Intro” («Ricominciare da meno di zero e finalmente sollevare il velo e raccontarvi veramente non l’immagine vincente che la gente prova a vendere di sé»). È così che torna ai fasti di un tempo, conquista nuovi ammiratori e consolida l’affetto di chi c’è dalla prima ora, da quando la marijuana era la protagonista di “Ohi Maria”, indimenticabile
successo del lontano 1994 estratto da “Messa di vespiri”. Questo è il J-Ax con il berretto, il J-Ax dei millenial che impazziscono per questo duo giovane che si forma due anni prima. Un duo che nel 1992, con “Nato per rappare”, porta in Italia la rivoluzione hip hop, contribuendo a cambiare per sempre le sorti della discografia italiana, gli Articolo 31.
Il singolo viene poi inserito nel loro primo disco, “Strade di città” del ’93. Questo è il suo esordio, questi sono i ricordi di un ragazzo che ha cambiato il suo nome da Alessandro a J-Ax (la J sta per Joker e Ax per Alex), come canta in “Deca Dance”. Si chiama così l’album del 2009, uscito a pochi mesi di distanza da “Rap n’ Roll”, che contiene pezzi importanti come “Immorale” e un duetto con il mitico Pino Daniele in “Anni amari”. Il titolo è un chiaro omaggio agli 883, è nel loro stesso periodo che tutto ha avuto inizio, nel paese dei balocchi più scintillante dei primi anni novanta: Radio Deejay. Proprio con Pezzali, Ax duetta più volte come in “Sempre noi”. Ed è sempre in quel brulicante 2009 che ho sentito per la prima volta la sua voce, nelle barre che scrive per “Domani 21/04.2009”, canzone emozionante eseguita dagli Artisti Uniti per l’Abruzzo.
In testa ha ancora il berretto ma tante cose sono cambiate da quando “Domani” la cantava con Paola Folli o in un altro brano iconico del 2002, “Domani smetto”. È questo il disco della svolta rap punk rock che gli Articolo portano avanti anche nel successivo “Italiano medio” del 2003 che però è più pop. Sono anni di canzoni molto amate dai fan del gruppo come “Spirale ovale”, “Gente che spera” e “La mia ragazza mena”. Tra i temi trattati – oltre alla ribellione e al disprezzo come quello nei confronti dei figli di papà in “Noi no” – anche le conseguenze del successo in “I consigli di un pirla”.
Grazie al cambio di sonorità, trovano una linfa nuova ma senza dimenticare il funk («Can’t get enough of that funk», cantano in “Passa il funk”) che nel ’96 li spinge a incidere il loro brano più immortale, “Tranqi Funky” dall’album “Così com’è” in cui c’è anche un duetto con Lucio Dalla in “L’impresa eccezionale”. Eppure questa linfa, non basta a tenerli uniti ancora a lungo. Nel 2004 esce l’album dal vivo “La riconquista del forum” e nel giro di due anni, a distanza di quattordici anni dall’inizio di tutto, le loro strade si separano.
Dal 2006 inizia una vita in solitaria per J-Ax che riesce a consolidare via via il suo nome, anche se non è facile. Si deve inventare una nuova carriera e ci prova con “Di sana pianta”, cd introdotto da un primo singolo pop potente, “Ti amo o ti ammazzo”. Ma non mancano i testi più emotivi come “Buonanotte Italia” in cui racconta degli autogol che subiva quando giocava a calcio da ragazzino, del prete che perdeva la pazienza, della radio che sentiva fino a tardi per non studiare. Il disco funziona, ma i discografici si aspettavano molto di più e prende il via un periodo di crisi per Alessandro che si perde tra una droga e l’altra prima di riprendersi con “Meglio prima(?)” nel 2011 e da lì cominciano le esperienze in televisione e il ritorno del successo commerciale.
Ma mentre gli anni passano, le consapevolezze si sommano. L’astio si affievolisce come un blocco di ghiaccio al sole e basta qualche vecchia foto per ricordarsi di quando la fantasia viaggiava. Per ricordarsi del quartiere velenoso in cui lui e DJ Jad sono cresciuti, per ricordarsi dell’eternit che hanno saputo trasformare in oro. E a quel manuale su come trasformare un socio in un rivale che hanno scritto, hanno aggiunto un sequel su come invertire la rotta. «Siamo stati due coglioni infatti funzioniamo in coppia, nella vita gli amici li scegli, noi siamo quelli che si vogliono bene anche quando si fanno la guerra come i fratelli», cantano in “Un bel viaggio”, abbracciandosi commossi sul palco del Festival di Sanremo del 2023. Oltre alla prima partecipazione alla kermesse, la loro ritrovata amicizia confluisce nell’album “Protomaranza”.
Dal primo disco sono passati trent’anni, trent’anni che per J-Ax valgono come due o tre vite. E in queste vite, ha visto il mondo dalla cima. È stato anche intrappolato al top come un topo, ma dalla gabbia che lo bloccava è riuscito a uscire e ora – che in testa abbia un berretto, un cappello o lasci spazio ai tatuaggi che la cospargono – sa che la sua vita è questo teatro e quando spegneranno le luci non avrà nemmeno un rimpianto.