“Dalla A alla Z”: J come Jovanotti

Jovanotti

Dal debutto ai grandi successi: la vita e la musica dei protagonisti della scena, uno per lettera. Oggi proseguiamo dalla J come Jovanotti. A cura di Francesco Costa

La musica è fatta di storie, di viaggi che attraversano generazioni e influenzano il panorama culturale del proprio tempo. “Dalla A alla Z” è la rubrica che ripercorre le carriere degli artisti più iconici della scena italiana e internazionale, raccontando le loro origini, i primi passi, le sfide e i successi che li hanno consacrati. Oggi proseguiamo dalla J, J come Jovanotti.

Un percorso che parte dagli esordi e arriva fino ai giorni nostri, tra aneddoti, evoluzioni stilistiche e curiosità che hanno segnato il loro cammino artistico. A cura di Francesco Costa, questa rubrica si propone di esplorare in profondità il talento, la determinazione e l’unicità di ogni singolo artista, analizzando l’impatto che ciascuno ha avuto sulla musica e sul pubblico.

“Dalla A alla Z”: J come Jovanotti

Se lui potesse, starebbe sempre in vacanza. Magari in qualche angolo sperduto del globo, sulle Ande o in Amazzonia, con la sua bici e con il sorriso di chi mente all’inferno delle verità stampato sulle labbra. L’artista della puntata di oggi crede che a questo mondo esista solo una grande chiesa che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa. E se la gente mormora, la fa tacere praticando l’allegria. Il suo nome inizia con la lettera J, J come Jovanotti.

«La vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare». L’abbiamo sentita tutti almeno una volta nella vita questa frase: c’è chi l’ha cantata a un suo concerto, chi l’ha pensata pochi minuti prima di lanciarsi con il parapendio (come il sottoscritto) e chi l’ha scritta out of context come caption di un post su Instagram, forse senza neanche ricordarsi che l’ha scritta lui in “Mi fido di te”. Fidarsi è come volare, ma puoi librarti nel cielo con le ali spezzate dalle pugnalate? È un arduo compito eppure, per stare bene, c’è da rischiare e Lorenzo, l’affitto del sole, lo ha sempre pagato in anticipo – del resto, come afferma nel brano vincitore del Festivalbar 1999, ogni volta che torna dalla sua lei lo fa senza tante parole con in mano “Un raggio di sole”

Questo inno alla fiducia è il secondo singolo estratto dall’album “Buon sangue” del 2005, il primo è “(Tanto)³”, una martellante seduta terapeutica in chiave pop rap che lo vede rivestire sia i panni di psicologo che di paziente. In un’altra traccia del disco, invece, confessa di essersi reso conto che c’è qualcosa che non va nel suo cuore, forse sarà “La voglia di libertà”. Un tema a cui, trattandosi di un pacifista convinto, tiene particolarmente. Non per altro, un suo successo del 2018 si chiama “Viva la libertà”.

«Ha cicatrici qua, ferite aperte là, ma se ti tocca lei ti guarirà», e sono decine di migliaia gli spettatori che si fanno toccare da questo canto gioioso e popolare ai suoi concerti sold out come quelli di un tour senza precedenti, un parco giochi gigantesco che porta sulle spiagge di tutta Italia nel 2019 e nel 2022, il Jova Beach Party. Davanti a uno spettacolo di questo tipo, nonostante le polemiche, sovviene spontaneo un interrogativo: “È qui la festa?”. Si chiama così il pezzo pubblicato pochi mesi dopo il vincente approdo a Radio Deejay nel lontano 1988. Di dj e produttori ne ha già conosciuti parecchi da quando il fratello Bernardo lo avvia in quell’ambiente, ma essere assunto da Cecchetto (dopo un iniziale rifiuto) è una vera e propria follia per un ragazzo che si ritrova investito dalla fama e pubblica a ventidue anni il primo album, “Jovanotti for President”. Al suo interno c’è anche la nota “Gimme five”.

Joe Vanotti, Gino Latino, Jeronimo. Mille progetti, mille nomi diversi per lui, ma poi trova la quadra e nell’89 arriva quinto al Festival di Sanremo con un omaggio a uno dei suoi miti dal titolo rivelatore “Vasco”, canzone che rientra nel cd “La mia moto”. Ma poi tutto sembra calmarsi e nonostante il successo di “Ciao mamma”, in molti lo danno per spacciato. Tentano così di farlo dirottare sulla tv, come l’amico Fiorello, ma lui rifiuta perché è la musica la sua vocazione e da “Una tribù che balla” cambia tutto.

«Tutti dicono che Jovanotti è finito, secondo me Jovanotti comincia adesso», dichiara Vasco in un’intervista del ’91. Per lui ha inizio una “Nuova era”, titolo di una sua hit di sei anni fa in cui – preso da un’ondata sessantottina – sfida il sistema, proclamando la fine di tutte le vecchie realtà. E se il vecchio mondo è uno sbiadito ricordo, “Muoviti muoviti”

Grazie a questa svolta, consolida la sua carriera e diventa una stella. Una stella che trentaquattro anni dopo scintilla in un completo total gold (creato apposta da Dior) e con la sua esibizione da super ospite, firma uno dei momenti più indimenticabili del Sanremo 2025. Più energico che mai, dopo un periodo buio della sua vita, dà il via alla performance nella piazza davanti all’Ariston. Insieme a lui, un esercito di musicisti, sono centoquaranta, che lo guidano trionfanti verso l’ingresso. Il tutto sulle note di “L’ombelico del mondo”

Un pezzo storico del ’95 che fa parte della primissima raccolta di Jova in cui trovano spazio le hit dei dischi “Lorenzo 1992” e “Lorenzo 1994”: da “Non m’annoio” alla dedica d’amore anticonvenzionale della old school “Serenata rap” (in “Il rap” si dà una pacca sulla spalla per aver portato l’hip hop in Italia) fino all’indimenticabile “Penso positivo”.

Non una canzone, ma uno statement. Una dichiarazione d’intenti che ci fa capire, mentre balliamo, quanto è importante guardare dentro alle cose. Senza tanti giri di parole, confessa di non credere negli abiti sacri perché più di una volta «furono pronti a benedire massacri». E pensare che da piccolo sognava di fare il Papa, è pure cresciuto in Vaticano perché suo padre Mario serviva lì come gendarme. Ma non c’è da temere, non è un pericoloso eretico. Critica le ipocrisie della chiesa, ma crede fermamente nell’ondata “Oceanica” del bene.

Crede in una pace universale che magari arriva anche da un prete, ma un prete di periferia, lontano da Roma. Dal punto di vista musicale, questo è chiaramente il Jovanotti più rap e funk, sfumature della sua anima artistica che nel tempo si perdono un po’ via, pur rimanendo sempre vive, come in “Oh, vita”, singolo apripista dell’omonimo album del 2017 in cui collabora con il mitico produttore Rick Rubin.

Di tutto questo profuma la prima parte dell’esibizione di Lorenzo al Festival, seguita da un repentino cambio di mood. Entra nella platea e compie un salto alla Tamberi, un salto di oltre quindici anni. Come un guaritore, delizia i presenti tra baci e abbracci, mentre canta “Il più grande spettacolo dopo il Big Bang”, la hit pop dance presente nell’album “Ora” del 2011. Continua poi sullo stesso genere con “I love you baby” del 2022, tormentone che popola la stagione estiva, raccontata già in “Estate” e “L’estate addosso” – brano del 2016 che lo vede lavorare ancora per Muccino dopo aver vinto il David di Donatello con “Baciami ancora”, ballata tratta dall’omonimo film del regista. Quella dance, in effetti, è un’impronta che troviamo in molti altri suoi pezzi come “Sabato”“E non hai visto ancora niente” e “Le canzoni”

Il blocco sanremese a lui dedicato si chiude poi – dopo aver cantato la recente “Fuorionda” – con il lato più romantico di Jovanotti, un lato che gli porta tanta fortuna. Quello che trova il suo climax in “A te”, la ballad estratta da “Safari”. Un’altra dedica d’amore (questa volta più tradizionale), sancita da uno straordinario disco di diamante per le copie vendute, che tutti sognano e che lui rivolge all’inseparabile moglie, la sua “Ragazza magica” che manda in aria il mondo e lo riprende al volo. Sempre a Francesca è destinata “Un mondo a parte”, estratta dall’ultimo lavoro “Il corpo umano Vol. 1”, che canta poi in chiusura della sua incredibile ospitata alla kermesse.

Sono molte nella discografia di Lorenzo le dediche, la più dolce è sicuramente la ninna nanna “Per te”, scritta per la figlia Teresa. E poi ci sono gli elogi a chi non c’è più. Quando muore suo fratello Umberto, in un terribile incidente aereo del 2007, il dolore è così forte che teme di non riuscire a sentire più niente. Ma stando con le antenne alzate verso il cielo, si accorge che lui c’è ancora. «lo lo so che non sono solo anche quando sono solo», canta in “Fango”. Omaggia, invece, la mamma Viola nella commovente “Le tasche piene di sassi”.

Il dolore della perdita non si lenisce mai del tutto e in fondo è indice di quanto si ha amato. Ma Lorenzo non teme la sofferenza perché sa che non c’è scritto da nessuna parte che avremo un’esistenza regolare. Anche quando balleranno gli orologi intorno a noi e si confonderanno le stagioni, tutto sarà comunque “Pieno di vita” perché ogni momento che viviamo è unico e in ogni momento che viviamo ci possiamo arrogare il diritto di dire che per quell’istante, noi siamo “Gli immortali”.

Tra due anni, Jovanotti festeggio il quarantesimo anniversario dal primissimo singolo “Walking”. In questi decenni è successo di tutto. Ha conquistato stadi e palazzetti, soltanto quest’anno ha registrato sei date sold out all’Arena di Verona. Certo, i segni del tempo iniziano a farsi sentire, per un incidente in bici si è sfracellato tutto ed è rimasto fermo più di un anno. Ma poi è tornato, giusto in tempo per onorare la promessa fatta a Rosario di esserci per l’ultima puntata del suo programma “Viva Rai2”, ed era sempre lo stesso. Lo stesso “Ragazzo fortunato” a cui hanno regalato un sogno che ride e piange e si fonde con il cielo e con il fango perché siamo vivi. Perché da questa giostra, che ci fa girar la testa e che ci tiene “In orbita”, abbiamo scelto che non volevamo scendere.

Scritto da Francesco Costa
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