“Dalla A alla Z”: L come Achille Lauro

Dalla A alla Z - Achille Lauro

Dal debutto ai grandi successi: la vita e la musica dei protagonisti della scena, uno per lettera. Oggi proseguiamo dalla L come Achille Lauro. A cura di Francesco Costa

La musica è fatta di storie, di viaggi che attraversano generazioni e influenzano il panorama culturale del proprio tempo. “Dalla A alla Z” è la rubrica che ripercorre le carriere degli artisti più iconici della scena italiana e internazionale, raccontando le loro origini, i primi passi, le sfide e i successi che li hanno consacrati. Oggi proseguiamo dalla lettera L, L come Achille Lauro.

Un percorso che parte dagli esordi e arriva fino ai giorni nostri, tra aneddoti, evoluzioni stilistiche e curiosità che hanno segnato il loro cammino artistico. A cura di Francesco Costa, questa rubrica si propone di esplorare in profondità il talento, la determinazione e l’unicità di ogni singolo artista, analizzando l’impatto che ciascuno ha avuto sulla musica e sul pubblico.

“Dalla A alla Z”: L come Achille Lauro

Contro corrente come un salmone che risale tenacemente le acque di un fiume norvegese, gustosamente popolare come un piatto di spaghetti cacio e pepe assaporato in un’osteria romana. È il diavolo e l’acqua santa, un serpente che ti avvelena spietato e poi ti inietta l’antidoto. Con lui sembra di stare allo zoo di Thoiry, impossibile stabilire con certezza che belva si sente. Lui è tutta la giungla. 

Genuino ma mai volgare, raffinato senza scadere nello snobismo. L’artista della puntata di oggi rappresenta l’anello di congiunzione tra il kitsch e il sublime. Grazie al suo innegabile savoir-faire, coatto e shabby chic al tempo stesso, ha stregato l’Italia. Satanista convinto per l’Associazione Esorcisti, è l’idolo degli incoscienti giovani e il sogno proibito delle sciure impellicciate. Il suo nome inizia con la L, L come Lauro De Marinis. In arte, Achille Lauro.

“Segnati ‘sti nomi”, ce lo aveva detto nel 2019 con il suo primo successo “Rolls Royce”, il brano della svolta rockettara che lo ha fatto conoscere al pubblico generalista del Festival di Sanremo. E chi il suo nome se l’era segnato, scommettendo su di lui, è libero di compiacersi oggi con un vendicativo: “Ve l’avevo detto”. In molti avevano gridato allo scandalo. Ma che ci fa quel reietto stonato con i tatuaggi in faccia sul palco dell’Ariston? Di certo non pensavano che sei anni dopo, nel febbraio del 2025, si sarebbero trovati sul divano di casa a fischiare per la sua esclusione dai primi posti della classifica della kermesse. 

Achille Lauro, con i suoi tattoo, ci insegna ancora una volta come agiscono gli stereotipi. Ma ogni scritta o disegno che si è inciso sulla pelle, anziché farci storcere il naso, può paradossalmente aiutarci a conoscere meglio l’uomo dietro la maschera. Sulla guancia destra leggiamo “Pour l’amour”, una frase manifesto sintomo della centralità che ha per lui l’amore verso sé stessi e quello che si fa, che diventa il titolo del suo primo album inciso con una major.

Siamo nel 2018, un anno di preparazione all’evoluzione che vede il sodalizio con il producer Boss Doms diventare sempre più realtà. Insieme partecipano addirittura a “Pechino Express” e iniziano così a farsi conoscere al pubblico mainstream della tv. Si stanno popolarizzando e all’hip hop in tutte le sue sfumature dei dischi precedenti, come “Achille Idol immortale” del 2014 e “Dio c’è” del 2015, aggiungono la contaminazione con nuovi generi.

C’è il samba di “Amore mi” e c’è la trap più basica piena di cliché di “Bulgari”. «È un disco di passaggio, da dove eravamo prima a dove stiamo andando. La verità? Vogliamo puntare in alto, agli stadi, non affrontare lo show come un duo composto da un deejay e un cantante».

In questi anni all’insegna del rap, dirompe già nei suoi testi, la crudezza di un passato che pulsa ancora vibrante. Quella vita di solitudine che non riguarda solo la periferia, perché la droga è ovunque: nei contesti borghesi della Roma bene che sperimenta avendo un padre magistrato e nei sobborghi che conosce durante la sua fase da bad boy. Sono tutti questi pericoli in cui si imbatte che lo portano ad avvicinarsi ai ragazzi costretti a farsi da da madre l’un l’altro.

Un suo album del 2016 si chiama proprio “Ragazzi madre”, come la fondazione che crea otto anni dopo per supportare chi si trova in situazioni fragili. «Non ho avuto una vita normale, ho sicuramente vissuto una situazione familiare delicata. Non ho fatto un percorso facile quindi quello che sono oggi rappresenta anche quella cosa lì. Sono cresciuto avendo come figura paterna un fratello». Ed è proprio con il fratello Federico che va a vivere per un periodo quando è solo un ragazzino cacciato da tutte le scuole che frequenta e si ritrova a dormire in case fatiscenti con una specie di comune che compone pezzi in cameretta, il collettivo Quarto Blocco. Ispirato dalla scena underground urban che respira, scrive delle bozze di canzoni e si rende presto conto che nella vita vuole fare questo. È così che comincia il viaggio, è così che nasce Achille Lauro e il suo nome di nascita diventa il suo cognome nell’identità artistica che sceglie. Un’identità che prende in prestito dal famoso armatore con cui veniva sempre confuso.

Gli artisti, in fin dei conti, scrivono quello che vivono. E anche se lo fa dall’inizio, è soltanto con l’ultimo album “Comuni mortali” che riesce a mettersi completamente a nudo. È il disco della maturità, la sua creazione più importante. Il 2025 è un anno speciale, l’ennesima svolta, quella pop intimista in cui si racconta mostrando senza pudore quel cuore pugnalato che si è tatuato vicino all’occhio destro. Lo fa per sé stesso e per gli amici che ha perso. Per tutti i frà uccisi nelle piazze di spaccio che miravano alla luna e sognavano di riscattarsi sotto un cielo senza regole. «Sparano a ‘sti giovani ambiziosi e alle ambizioni in un mondo che fa poveri i più poveri. Ho asciugato le lacrime a tua sorella quando ha saputo che cosa era successo. Fratello, sai, ti voglio bene come da bambini. Aspetto che saremo insieme e di nuovo vicini», canta in “Barabba III”.

Lo fa per sua madre a cui dedica la toccante “Cristina”. Una mamma che c’è sempre stata con i suoi abbracci che non smettevano mai, che ha fatto da madre anche ai ragazzi madre con cui uscivano i figli e per loro ha rinunciato a tutto, persino a comprarsi vestiti nuovi. Achille Lauro la ringrazia perché è solo grazie a lei se è diventato l’uomo che è oggi. «Quei sacrifici non sono stati per niente e se oggi trattano i tuoi figli diversamente è perché hai insegnato a dare senza mai indietro niente, mamma». E se in questo disco si spoglia di ogni costrutto lo fa anche per Roma che ama immensamente e che lo ricambia. È bastato annunciare sui social uno show speciale per scatenare in poche ore il delirio in Piazza Spagna, duemila persone radunate per lui che presenta in anteprima il nuovo singolo “Amor” con cui omaggia proprio la capitale. Quella capitale che gli fa sempre l’effetto della prima sera e in quella serata speciale di aprile, a suggellare lo sposalizio con la sua città, canta anche “Notte prima degli esami” ricordando Antonello Venditti con cui si era scaldato le voce negli stretti corridoi dell’Ariston prima di esibirsi alla finale dell’ultimo Festival.

Tra quelle migliaia di persone, schierati in prima fila ci sono i suoi giovani che lo vedono come un modello e per cui si spende in tutte le salse: da quella rap di “Ragazzi madre” a quella elettro pop di “Stupidi ragazzi” del 2023 fino ad arrivare alla power ballad “Incoscienti giovani”. «Non scorderò mai quello che è stata la nostra adolescenza incosciente e sarò sempre innamorata di quel ragazzino sognatore. Nonostante fosse un ragazzo difficile, chi riusciva a superare lo scoglio scopriva una sensibilità preziosa. Forse proprio quella che ancora oggi riesce a mettere in quelle canzoni che parlano ancora di noi, come questa», a scrivere queste parole è una sua vecchia fidanzata a cui è dedicata la canzone. L’orfanella alla roulette con cui dormiva in un Peugeot, ma non gliene fregava nulla perché il loro era un amore potente come la pioggia su Villa Borghese. 

Non c’è una canzone in cui non citi i giovani che sostiene anche in ambito musicale con umiltà e dolcezza, lo ha dimostrato come coach a X Factor l’anno scorso. Ma quella con il talent di Sky è una relazione che continua da quel fatidico 2019 quando conduce un programma di commento allo show quattro mesi dopo l’uscita di “1969”, il disco di rottura che segna un prima e un dopo nella sua carriera. Non sono più soltanto un cantante e un deejay, ora insieme a Lauro e Boss Doms c’è tutta una band che dalle malinconiche note della hit doppio disco di platino “C’est la vie” passa al punk rock di “Delinquente”.

Canzone dopo canzone, stupisce sempre di più fino a quella sera del 2020 in cui lascia dieci milioni di italiani a bocca aperta segnando un momento cult di televisione che non ci scorderemo facilmente. Scende le scale di Sanremo e inizia a cantare “Me ne frego”, indosso ha un mantello pesante che si leva prima del ritornello. Come San Francesco, si spoglia degli abiti del mondo e rimane nudo. Sul corpo gli resta solo una tutina dorata e nel suo sguardo il sorriso ammiccante di chi vuole provocare e sa farlo perfettamente. «Volevo fare qualcosa che nessuno aveva mai fatto prima e ci sono riuscito». Sui social non si parla di altro, soltanto l’affair Morgan-Bugo gli porterà via un po’ di scena. Da quel momento in poi, tutti attendono il suo prossimo outfit. E dai panni della regina Elisabetta I di quell’edizione passa a quelli di una fluida libertà che guida i popoli (e che limona con Boss Doms). È questo uno dei quadri che crea ad hoc al Festival del 2021 in cui Amadeus lo vuole ospite tutte le sere. 

Con i suoi look eccentrici, tra paillettes e lustrini, si guadagna presto la nomea di icona di stile. Ma gli abiti che veste non sono un vezzo da modello mancato, sono sempre a servizio del messaggio che vuole trasmettere. «La moda è un mezzo di comunicazione speciale che permette di dire al mondo intero chi sei senza mai aprire bocca», dichiara a Sorrisi. Dello stesso avviso è l’artista a cui viene apostrofato di più in assoluto, Renato Zero, che con le piume non giocava certo a fare il clown e grazie ai suoi travestimenti ha potuto permettere alle sue canzoni di fare breccia. Il tutto senza mai rimanere vittima dei suoi maquillage perché di quei trucchi ha avuto il coraggio di privarsi, dopo i triangoli e le messe in vendita sono arrivati i tempi di “Spalle al muro” e per Achille Lauro di “Amore disperato”. Questo fa un vero artista, sperimenta e lo testimoniano anche gli ep di cover che incide nel 2020 riportando in voga la musica degli anni novanta e addirittura degli anni venti. Sperimenta, provoca e spesso lo fa al Festival di Sanremo che nel 2022 si apre con un mistico Lauro.

Nessun mantello, nessuna tutina, questa volta su quel palco si battezza rivendicando il diritto di autodeterminarsi e rinasce. Se ne frega della Chiesa che lo accusa di blasfemia, del resto è capitato ai più grandi, ve la ricordate Loredana Berté con il pancione finto? 

Lui guarda e passa, obbedendo al monito virgiliano che gli hanno sicuramente insegnato in una delle dieci scuole che ha frequentato. Non si lascia fermare da niente e da nessuno. È quel fuoco che gli arde negli occhi a renderlo unico e riconoscibile all’istante. Con gli strascichi e i lustrini, con il frac e lo smoking, con un paio di jeans e una maglietta bianca, è sempre lui. Un trasformista che non perde mai la sua identità e affamato di musica, prova tutto.

Anche i tormentoni che ti invadono il cervello come “Mille” con Fedez e Orietta Berti o “Fragole” con Rose Villain, addirittura pure le canzoni natalizie come “Jingle Bell Rock” che rivisita con la sua amica Annalisa. E sempre in duetto con lei, vestito come David Bowie nei panni di Ziggy Stardust per evidenziare orgogliosamente la sua avversione alla mascolinità tossica, rende onore a una grande artista su cui il patriarcato ha posato troppe volte le sue assatanate grinfie: Mia Martini. Nessun uomo ha mai chiesto perdono per il male che le ha provocato, l’unico è Lauro che si inginocchia davanti alla sorella Loredana dopo aver cantato insieme a lei al Festival e le regala un mazzo di rose. Per lei e per Mimì. «Che strano uomo sono io, capace solo di dire “Sei bellissima” perché ancora ha paura di riconoscere il tuo valore. Stasera, “per i tuoi occhi ancora”, Chiedo scusa e vado via».

Scritto da Francesco Costa
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