“Dalla A alla Z”: L come Levante

Levante

Dal debutto ai grandi successi: la vita e la musica dei protagonisti della scena, uno per lettera. Oggi proseguiamo dalla L come Levante. A cura di Francesco Costa

La musica è fatta di storie, di viaggi che attraversano generazioni e influenzano il panorama culturale del proprio tempo. “Dalla A alla Z” è la rubrica che ripercorre le carriere degli artisti più iconici della scena italiana e internazionale, raccontando le loro origini, i primi passi, le sfide e i successi che li hanno consacrati. Oggi proseguiamo dalla L, L come Levante.

Un percorso che parte dagli esordi e arriva fino ai giorni nostri, tra aneddoti, evoluzioni stilistiche e curiosità che hanno segnato il loro cammino artistico. A cura di Francesco Costa, questa rubrica si propone di esplorare in profondità il talento, la determinazione e l’unicità di ogni singolo artista, analizzando l’impatto che ciascuno ha avuto sulla musica e sul pubblico.

“Dalla A alla Z”: L come Levante

A chi si sente genio, guru, mito, faro, ispiratore, divinità. A chi si crede santo, eroe, campione, paladino o vostra maestà grida “Bravi tutti voi” e fa un bell’applauso perché tanto ce lo dirà il tempo che questo non è oro anche se luccica lo stesso. 

Energica, vulcanica e combattiva come la rovente terra che l’ha vista fiorire. L’artista della puntata di oggi detesta ogni forma di ipocrisia che condanna con le sue canzoni esplosive. Ma non è solo fuoco, è anche acqua. L’acqua salata delle lacrime asciugate dagli occhi del guerriero fiero. Il suo nome inizia con la lettera L, L come Levante.

Un nodo stretto lega le lenzuola una ad una, il primo piano sembra l’Everest. «Sedici anni e la testa giù nel cuore, sto arrivando amore». I siculi la chiamano fuitina. In una notte che non fa più paura sboccia la passione tra la giovane Maurizia e il ferroviere Rosario e da quella passione, in un giorno di fine maggio, nasce Claudia che racconta come tutto è iniziato nell’intenso e commovente duetto con la mamma del 2015 “Finché morte non ci separi”. Incauti, impulsivi e imprudenti ma irrimediabilmente innamorati perché, dopotutto, come canta nel singolo successivo – la title track del suo secondo album “Abbi cura di te” – «che cosa vale vivere tra le paure senza avere mai il coraggio di rischiare?». 

Rischiare in nome delle emozioni che si esprimono purissime in lei perché questo fanno gli artisti. Canalizzano ciò che vivono nelle canzoni, anche i traumi. «Il tuo treno è in stazione hai il vestito migliore, se trattengo le lacrime giurami ritornerai», tenta così di elaborare il lutto in “Biglietto per viaggi illimitati”. Ha solo nove anni quando si spezzano le redini della sua famiglia, la casa del nespolo è perduta per sempre e da Palagonia approda a Torino. Ma anche se si allontana rimane sempre lì, in Sicilia, tra le facciate mai finite e le Madonne chiuse in una teca. Di questo parla la melanconica “Lo stretto necessario”, l’incontro musicale tra l’anima di Levante e quella eterea della conterranea Carmen Consoli

Un sogno che realizza in questo pezzo estratto da “Magmamemoria”, il disco del 2019 in cui mette al centro i ricordi, quei ricordi che bruciano come lava e la lasciano attonita mentre si domanda (e lo fa già anche in “Memo”) che fine fanno i momenti passati assieme. Ad aprire le danze all’album come primo singolo è però un’altra canzone con un titolo che – alla luce degli striscioni appesi sui balconi appena un anno dopo nel pieno della pandemia – appare alquanto provvidenziale: “Andrà tutto bene”. Come di consueto, con questo brano pop indie, anticipa i tempi, ma soprattutto si sporca le mani e punta il dito contro l’incoerenza di una politica sempre meno empatica. «La vita è un dono sacro, l’eutanasia un peccato, se muore un uomo in mezzo al mare è solo un immigrato».

Il mondo ha perso la sua umanità e a lei “Fa male qui”, pezzo in cui si rammarica per un paese che vota chi ha la lingua biforcuta e non si cura di affinare lo sguardo. Non le sono mai piaciute le “Pose plastiche” di chi fugge dal cambiamento e dell’autentica unicità ha fatto la sua bandiera. «Noi siamo gli ultimi della fila, siamo terre mai viste prima», canta nel ritornello della hit “Tikibombom” con cui partecipa per la prima volta al Festival di Sanremo nel 2020. Un omaggio ai freak della classe, emarginati perché vestiti con gli strass, che dà voce anche alla comunità lgbtqia+ a cui dimostra da sempre vicinanza. «Rosa o blu, rosa o blu, dai un bacio a chi vuoi tu», comincia così “Santa Rosalia”, brano potente contenuto nell’album “Nel caos di stanze stupefacenti” del 2017.

Quello, per lei, è l’anno di una rivalsa che la vede debuttare in tv come giudice a X Factor e nell’universo dell’editoria con il romanzo “Se non ti vedo non esisti” da cui trae spunto anche per l’omonimo pezzo e la stessa cosa la fa due anni dopo con il secondo libro “Questa è l’ultima volta che ti dimentico”. Una rivalsa avviata con il successo della travolgente “Non me ne frega niente”. Ed effettivamente, con la sua provocatoria ironia, se ne frega così tanto da confessare il suo segreto in un brano che mi fa impazzire: “Gesù Cristo sono io”. Dovrei averla ancora in qualche meandro dell’armadio la maglietta del merchandising con scritto sopra quella frase.

Sottostimate e ostracizzate, le donne hanno molte cose in comune con il redentore. Anche lui non fu capito dall’uomo che si comportò nei suoi confronti come un vero e proprio “Pezzo di me”, titolo contenente un sottile doppio significato di un simpatico duetto con Max Gazzè. Un cantautore a cui apre i concerti ancora nel 2013 quando il nome di Levante, attribuitole da un’amica spiritosa che deve aver visto troppe volte il film più cult di Pieraccioni, inizia a girare.

Esce in quell’anno il debutto più iconico dei debutti, quello sancito dalla hit “Alfonso”. Incastrata in un contesto che si preannuncia divertente, come quello di un compleanno, la protagonista di questa storiella tragicomica con tanto di ukulele in sottofondo non potrebbe essere più a disagio. L’imbarazzo è palese ma lei è cortese anche se il festeggiato non lo conosce e tutto ciò che riesce pensare è: «Che vita di merda». Si annoia così tanto che rischia di addormentarsi addosso a uno degli invitati e manco a farlo apposta, un brano pubblicato nel gennaio del 2014 si chiama “Sbadiglio”. Due mesi dopo, vede la luce il suo primo lavoro: “Manuale distruzione”.

I temi più affrontati sono i piccoli problemi di cuore che tanto piccoli poi non sono, una delle tracce si chiama “Cuori d’artificio”. Tutti soffrono per amore perché l’amore ti succede senza spiegazioni, come canta in “Antonio”, la dedica all’ex fidanzato Diodato. Al tempo stesso, innamorarsi non è un gioco da ragazzi. «Quanto male fa quella parola che non ti dirò, un nodo in gola, una lacrima», scrive in “Senza zucchero”. Fortuna che “Le lacrime non macchiano”, canzone ritmata in cui dichiara di aver speso in trucchi tutti i suoi soldi per conquistare il suo amato. Proposito mai raggiunto, l’ennesima storia conclusa con un “Ciao per sempre”.

Oltre alle delusioni amorose c’è poi la rabbia di “Io ti maledico”. Ma il rancore non manca nemmeno nella recentissima “Maimai” del 2025. Dodici anni dopo, un’altra festa di compleanno, ma a differenza di Alfonso, questa volta il festeggiato lo conosce e gli prepara una torta avvelenata con dentro tutto il suo livore. Il livore nei confronti di un uomo che ha l’assurdo potere di rattristarla come ammette sconsolata in “Mi manchi” dall’album “Opera futura” del 2023. 

Il disco lo presenta dal palco dell’Ariston di Sanremo con l’elettronica “Vivo”, l’ennesimo testo coraggioso in cui svela di aver subito gli effetti della depressione post partum e si libera nell’atto magico di riappropriarsi della gioia del suo corpo. Il discorso lo approfondisce poi in “Mater”, ricordando che essere madri non significa annullarsi. Ma della maternità, mostra anche l’aspetto più dolce. «Il cielo ti ha portata qui sopra le mie ferite di cui non resta più niente, come le hai guarite?», si chiede meravigliata, ma poi alla fortuna di potere amare riesce a trovare un nome. Il nome di sua figlia, “Alma Futura”.

Grazie all’amore della sua bimba e del suo compagno, impara a “Contare fino a dieci”. Sono loro che la salvano dal caos dell’anima, da tutte “Le mie mille me” che ognuno di noi cela dietro le apparenze di facciata. Ma è anche da sola che si salva. Passo dopo passo, lottando “Tutti i santi giorni”, trova la serenità.

La trova nella consapevolezza di chi stava al fianco del guerriero fiero e raccoglieva le sue lacrime, ma poi ha capito che quel guerriero così dannatamente orgoglioso altro non era che lei stessa. Lo ha realizzato scrivendo la toccante ballad “IO ero io” ed è così che si è lasciata un triste capitolo alle spalle e senza più paure, ora si lancia oltre i sogni infranti di chi ha perso tanto e ha trovato il suo posto. È diventata “Diamante”, un diamante che ha l’ardente forza di guardarsi allo specchio e dire: “Mi amo”.

Scritto da Francesco Costa
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