“Dalla A alla Z”: M come Mahmood

Dal debutto ai grandi successi: la vita e la musica dei protagonisti della scena, uno per lettera. Oggi proseguiamo dalla M come Mahmood. A cura di Francesco Costa
La musica è fatta di storie, di viaggi che attraversano generazioni e influenzano il panorama culturale del proprio tempo. “Dalla A alla Z” è la rubrica che ripercorre le carriere degli artisti più iconici della scena italiana e internazionale, raccontando le loro origini, i primi passi, le sfide e i successi che li hanno consacrati. Oggi proseguiamo dalla L, M come Mahmood.
Un percorso che parte dagli esordi e arriva fino ai giorni nostri, tra aneddoti, evoluzioni stilistiche e curiosità che hanno segnato il loro cammino artistico. A cura di Francesco Costa, questa rubrica si propone di esplorare in profondità il talento, la determinazione e l’unicità di ogni singolo artista, analizzando l’impatto che ciascuno ha avuto sulla musica e sul pubblico.
“Dalla A alla Z”: M come Mahmood
C’è chi ti giudica solo per un abbraccio perché nella fragilità vediamo sempre il marcio. «Il mondo degli umani è un pasticcio», svela il granchio Sebastian ad Ariel. E questo, lui, che è cresciuto a pane e “La Sirenetta”, lo sa molto bene.
Forse è proprio grazie a questa consapevolezza che ora non porta rancore neanche nei confronti dei bulletti razzisti che lo picchiavano alle medie e gli dicevano di tornare al suo paese, incuranti del fatto che anche lui, come loro, fosse nato a Milano e crescesse schivando i pericoli della periferia. Ma da quella città, è riuscito a prendere anche le good vibes.
Le ha messe nelle sue canzoni, mescolandole come un abile barman, con le sue radici sarde ed egiziane. L’artista della puntata di oggi è un faraone senza piramide che vive in un nuraghe a pochi passi da CityLife. Non comanda nessuno, ma ha rivoluzionato la musica italiana. Il suo nome inizia con la lettera M, M come Mahmood.
«Dovunque cada l’alba sulla mia strada, senza catene ci andremo insieme», canta con Geppi Cucciari, ospite del suo programma “Splendida cornice”, nell’aprile del 2025. Uniti in un magico duetto, due mesi dopo aver condotto una serata del Festival, raccontano commossi la loro Sardegna. Una terra tanto bella quanto complessa a cui Alessandro, che è cittadino onorario di Orosei (luogo di origine della madre), è legatissimo e che omaggia già nel 2021 quando aggiunge le sue strofe al ritornello di un canto tipico sardo e crea “T’amo”. Un brano intenso che dedica a mamma Anna, contenuto nel suo secondo album “Ghettolimpo”. «Non è facile da sola crescere chi per metà ti ricorda l’uomo che ti ha lasciato», canta nella canzone.
Il riferimento è al padre che lo abbandona, lasciandogli il cognome e una ferita che mai si rimarginerà del tutto. Quel padre assente, di cui ha solamente qualche sparuto ricordo, che beveva champagne sotto Ramadan e pensava solo ai “Soldi”, titolo della canzone con cui da semi sconosciuto vince Sanremo nel 2019 e diventa una star, per dirla alla Finley. In quel testo duro sfoga il dolore che cova – e che talvolta lo fa adirare come Majin Bu, citato in “Baci dalla Tunisia” – al suono degli applausi che seguono il chorus e con questa hit elettro pop dal sound arabeggiante fa da lifting al Festival, da quel momento in poi sempre più seguito dai giovani. L’abbandono riecheggia furente anche nel brano precedente, quello con cui trionfa pochi mesi prima tra le Nuove Proposte e che dà il nome al primo disco, “Gioventù bruciata”.
Gli sparuti ricordi trovano una flebile consistenza tra le fila di questa moderna ballata r&b che parla di canzoni arabe stonate in macchina e tuffi nel mar Rosso dimenticati troppo presto. Di quei giorni passati assieme gli rimane solo una maglia Lacoste, cerca “Il Nilo nel Naviglio”, ma nonostante tutte le promesse, il Nilo non è più tornato e lui ha smesso di remare (da “Remo”).
Rimane così con la paura di aver preso il peggio da quella figura assente, come canta in “Mai figlio unico”, e di non riuscire più a fidarsi degli altri in una realtà in cui sembra siano tutti serpenti pronti a morderti.
Il tema della fiducia lo approfondisce in “Kobra”, brano irresistibile – scelto recentemente ad Amici per una strepitosa coreografia del vincitore Daniele Doria – in cui il pop elettronico sposa l’ambiente urban e rap, una costante del suo secondo disco, a oggi il più sperimentale. Ma nella carriera di Mahmood non mancano anche le esperienze più squisitamente pop come “Milano Good Vibes” e “Uramaki”, il singolo uscito nel 2018 dopo due anni di frenetico lavoro iniziati con la partecipazione in sordina a Sanremo Giovani sulle note di “Dimentica” e proseguiti scrivendo successi per altri o prestando la voce ad alcuni feat come “Presi male” con Michele Bravi e “Luna” con Fabri Fibra che ritrova anche in “Asia Occidente” e nel tormentone “Calipso” con Charlie Charles, il fidato producer Dardust e Sfera Ebbasta.
Ma sono tante altre le occasioni che ha di incontrare il mondo rap e trap, in “Personale” c’è Geolier e nella orecchiabile “Paradiso” ci sono Tedua e Chiello. Qualsiasi genere sperimenti, risulta sempre credibile perché la sua voce, che è attualmente tra le più riconoscibili, è ricca di colori e gli permette di spaziare agevolmente tra una tonalità e l’altra. Diversi steli per un solo fiore, ma la sua cifra stilistica preponderante è sicuramente l’influenza mediorientale e nordafricana. L’intro di “Ghettolimpo” è proprio ispirata alla melodia delle cinque preghiere giornaliere islamiche che ha sentito al Cairo.
Nelle altre canzoni, invece, la musica araba è sempre contaminata con l’urban come nel caso di “Bakugo”. Nonostante non la parli, nei suoi pezzi, è presente anche la lingua araba, in alcune piccole frasi come nel ritornello di “Talata” in cui conta in arabo. Dal punto di vista strettamente musicale, quel gusto arabico lo troviamo poi nel trip magnetico e suadente di “Dei” e in “Dorado”, tormentone estivo del 2020.
Si dice spesso che i tormentoni siano tutti uguali, ma sicuramente non è così per Alessandro che trova sempre la chiave per rendere le sue hit originali: da “Klan” a “Barrio” in cui fonde la modernità con la tradizione del flamenco fino alla più recente “Ra ta ta” che parla anche di razzismo. «Con quelli come me la faccia mulatta, bocca a mitraglia», canta nel pre chorus prima di passare ai colpi sparati a raffica da bimbi col balaclava. Il pezzo esce qualche mese dopo l’incredibile ed ennesimo boom al Festival del 2024 con un successo che fatto ballare e confondere tutti (c’è ancora chi pensa dica «cileni ripieni di zucchero» come se parlasse di biscotti e non di pusher che spacciano cocaina): “Tuta Gold”.
Non vince, ma è il disco più venduto dell’edizione e Mahmood si conferma ancora una volta l’artista di cui l’evento ha bisogno per mantenersi al passo con i tempi, è un po’ il suo toy boy. La hit anticipa l’uscita del terzo album “Nei letti degli altri” a cui segue un tour europeo – complice la doppia partecipazione all’Eurovision Song Contest, è molto conosciuto anche all’estero – e poi nei palazzetti italiani completamente sold out. Quello che mette in piedi è molto più di un concerto, è lo show di una star internazionale che danza e canta perfettamente al tempo stesso e, attorniato da ballerini, brilla negli outfit creati apposta per lui che accentuano il suo fisico atletico.
Lo dimostra platealmente anche durante l’esibizione spaziale che porta a termine a Sanremo nel 2025. E per rispondere a chi pensa che sia solo ritmo, sul palco porta anche il suo ultimo singolo: una ballad in cui si chiede come si faccia, in un mondo dominato dalla superficialità e dal giudizio («Che te ne fotte se amo lui o amo lei?») ad andare in profondità, servirebbero “Sottomarini”. Sottomarini per entrare “Nel tuo mare”, brano emozionante che affronta la necessità di lasciare andare chi si ama quando una storia finisce e dagli occhi scendono come “Rapide” le lacrime perché a volte dire addio vuol proprio dire che è la fine, a differenza di come canta in “Inuyasha”. Ma struggente è anche “Stella cadente” in cui grida la sofferenza provata nella gioia di comprarsi casa per la prima volta e vederla bruciare in un incendio soltanto pochi mesi dopo.
Anche se per poco, quella casa ha rappresentato il simbolo di avercela fatta a fare il grande salto dalla Milano degli spacciatori a quella della icone di stile della Fashion Week, senza mai rinnegare la periferia di Gratosoglio – in cui fa molto caldo – che l’ha forgiato e ha visto sbocciare il suo talento quando era solo un ragazzino che girava in monopattino con Gugu e Davide, gli amici che menziona in “Rubini”, il duetto con Elisa. Quando sognava di volare su una bici di diamanti, quella bici che porta sullo stage dell’Ariston con Blanco nel 2022, anno in cui vince ancora una volta Sanremo con una ballata di rara bellezza. La prima volta che l’ho ascoltata, perdonate il gioco di parole, ma è la verità, mi ha fatto venire i “Brividi”.
Le sfilate di moda, i dischi di platino, la bici di diamanti. C’è chi per tutto questo perderebbe la testa, ma questo non è il suo caso perché Ale, come Fiordaliso, non vuole mica la luna. Non vuole threesome, vuole un mazzo fiori e più che Chanel, cerca semplicità. Tutta quella rabbia che aveva dentro ha lasciato spazio alla dolcezza perché i cento sogni fatti seduto dal kebabbaro, di cui parla in “Sabbie mobili”, li ha esauditi e non ha più bisogno di continuare a fissare il suo riflesso con lo sguardo di un samurai.
Che si fotta la virilità, ha trovato il suo posto nel mondo. Lo ha trovato “In fondo al mar” dove tutti sono allegri, guizzando di qua e di là. E Sebastian, quel granchio spiritoso e fuori dalle righe che gli somiglia e tanto lo faceva ridere da bambino, adesso ha la sua voce nel live action della Disney.