“Dalla A alla Z”: M come Marco Mengoni

Dalla A alla Z - Marco Mengoni

Dal debutto ai grandi successi: la vita e la musica dei protagonisti della scena, uno per lettera. Oggi proseguiamo dalla M come Marco Mengoni. A cura di Francesco Costa

La musica è fatta di storie, di viaggi che attraversano generazioni e influenzano il panorama culturale del proprio tempo. “Dalla A alla Z” è la rubrica che ripercorre le carriere degli artisti più iconici della scena italiana e internazionale, raccontando le loro origini, i primi passi, le sfide e i successi che li hanno consacrati. Oggi proseguiamo dalla lettera M, M come Marco Mengoni.

Un percorso che parte dagli esordi e arriva fino ai giorni nostri, tra aneddoti, evoluzioni stilistiche e curiosità che hanno segnato il loro cammino artistico. A cura di Francesco Costa, questa rubrica si propone di esplorare in profondità il talento, la determinazione e l’unicità di ogni singolo artista, analizzando l’impatto che ciascuno ha avuto sulla musica e sul pubblico.

“Dalla A alla Z”: M come Marco Mengoni

L’amore ha vinto, vince e vincerà. Se chi scrive di questa certezza ne ha fatto un mantra, lo deve a lui. Un re matto che cambia spesso regole perché solo nel frastuono cambia un uomo. Guerriero splendente vestito di scintillanti fragilità, con la sua voce avvolgente e il suo sorriso sincero ammalia un esercito di persone che lo segue negli stadi. Una fan base scatenata che lo sostiene incondizionatamente, fino alla cima dell’Everest. L’artista della puntata di oggi dimostra che Dostoevskij non aveva ragione. Non è la bellezza che salverà il mondo, è la sensibilità. Il suo nome inizia con la M, M come Marco Mengoni

Ricordo il mio arrivo in riviera quel sabato mattina, il parcheggio trovato per miracolo vicino alla stazione e una signora che mi ferma e mi chiede per chi faccio il tifo. C’è un solo nome che mi gira per la testa e scopro con piacere che anche lei, come milioni di italiani, pretende la sua vittoria. È a quella sanremese che ripenso qualche ora dopo dalla platea dell’Ariston. Sul palco, Marco sta cantando per l’ultima volta “Due vite” e al momento del ritornello, noto con stupore catartico che la sanno già tutti a memoria. Non ho più dubbi, questo Festival è suo. Sono quasi le tre di notte quando Amadeus annuncia la sua vittoria e dal torpore generale, provocato dalle sette ore e mezza di seduta, si solleva la più incontenibile delle energie. La gente è entusiasta, la mia vicina di posto commossa, esulto pure io e mi preparo ad ascoltare ancora una volta quella power ballad che è già diventata un classico.

Sono passati esattamente dieci anni dalla sua prima vittoria con “L’essenziale”. Era il 2013 e già all’epoca, quando ero solo un bambino che guardava Sanremo alla tv, speravo vincesse. Un brano romantico e melodioso arricchito da un’esecuzione vocale non convenzionale, ricca di manierismi. Il ciuffo alto, il taglio al sopracciglio, la postura elegante e le espressioni molto sentite. Tutto questo mi conquista e inizia la mia passione per Mengoni che mi fa scoprire un altro evento, l’Eurovision Song Contest che in entrambe le sue partecipazioni si tiene a Malmö, in Svezia. Proprio su quello stage, nel 2023, come Dan Reynolds all’Ippodromo, si presenta sventolando con il tricolore italiano in una mano e la la bandiera arcobaleno nell’altra. 

È così che rivendica il suo sentirsi libero, afferma il suo amore che non deve avere proibizioni e non va nascosto. Lo accenna nella hit “Mi fiderò” con Madame e poi lo esplicita in “Proibito”, due pezzi del 2021 contenuti nella prima parte del progetto discografico “Materia” che esce in tre sezioni: terra, pelle e prisma. Un concept album pieno di emozioni in cui alterna la voglia di divertirsi di “No stress” e “Pazza musica”, in duetto con l’amica Elodie, alla rabbia per l’incapacità di prendersi cura di sé stesso come vorrebbe di “In tempo” fino alla dolcezza dell’amore più puro di tutti che declama in “Luce”. Una canzone travolgente dalla forte influenza gospel che dedica alla mamma Nadia, scomparsa prematuramente nel 2024. «Era la persona che non dovevo perdere mai nella vita, però sono contento di averla avuta con me, di aver lottato come un disperato e di aver fatto di tutto fino all’ultimo».

È lei la sua luce che splende sempre dentro l’anima “anche in questa lunga notte senza fine”. È lei che, cantando Mia Martini e Mina, gli trasmette la passione per la musica quando è solo un bambino. Lo iscrive a pianoforte e chitarra, intuendo ancora prima di lui che è destinato a grandi cose. E poi arriva il canto che inizia a studiare a 14 anni mentre frequenta l’istituto per il design in un paese vicino alla sua Ronciglione che Gerry Scotti non esiterebbe nemmeno un secondo a definire uno dei borghi più belli d’Italia. Fatto sta che la sua insegnante lo inserisce in un quintetto vocale, lui inizia a suonare nei locali di Viterbo e limitrofi e il resto è storia. Nel 2009 arriva la svolta, vince X Factor e tutti scoprono la sua voce. Neanche il tempo di riprendersi dai due mesi intensi con Morgan come coach, che si ritrova sul podio di Sanremo con un brano pop rockettaro, “Credimi ancora”. Il primo successo che traina l’ep “Re Matto” e un po’ matto in effetti Marco lo è. Lo dimostra in molte occasioni, anche nelle vesti di co-conduttore del Festival nel 2024. «Spero che possa essere la parola che mi accompagnerà per tutta la vita perché da che mondo è mondo i pazzi sono gli esseri più liberi della Terra».

Il sentimento della libertà, ancora una volta. È quello che lo guida di più in assoluto e lo spinge ad avventurarsi fino in capo al mondo. Dai viaggi lontani dagli errori in Sudamerica nasce un album frutto di due anni e mezzo di lavoro. Per partorirlo, si è costretto al vagabondaggio cercando il contrasto con la vita di sempre. Ve lo immaginate Mengoni che chiede l’autostop a Cuba o che gira con un taccuino fingendosi giornalista per scoprire cose nuove? Probabilmente no ma è così che ha visto la luce il suo quinto disco, “Atlantico” del 2018. 

C’è il reggae di “Buona vita”, il fado portoghese di “Amalia” e il sorprendente duetto con Celentano, “La casa azul”. Un brano in cui si cimenta addirittura in spagnolo, un controsenso se pensiamo a ciò che dice nella meravigliosa “Hola (I Say)”: «A cosa è servito studiare spagnolo se la sola cosa che so dire è hola». Il senso che traspare al termine dell’ascolto del disco è proprio quello della libertà, di essere tutto e il contrario di tutto. La bellezza della vita che ho percepito vigorosa come non mai a un suo concerto del 2019. Sotto la pioggia di un’Arena di Verona piena di persone, ebbra di voci che urlavano all’unisono una frase tanto immediata quanto potente e profonda: “Credo negli esseri umani”. Non era la prima volta che vedevo Marco dal vivo, ma era la prima volta che avvertivo con cotanta irruenza l’entusiasmo di fare parte di questa caotica umanità che ci circonda. La gioia incontenibile del cogliere l’attimo, di amare tutto per qualche minuto. Senza pressioni o ansie, una goduria.

«Libero, libero, libero, mi sento libero e canto di tutto quello che mi ha dato un brivido», si apre con questa frase il ritornello di “Parole in circolo”. Un singolo estratto da “Le cose che non ho”, la seconda parte di un concept album inaugurato da un disco che si chiama proprio come quel pezzo. Il 2015 è un anno importante per Mengoni, è l’anno in cui esce la sua canzone più amata in assoluto: “Guerriero”. Pensate che è il primo brano italiano a raggiungere contemporaneamente la vetta nelle vendite digitali, nelle radio e nello streaming. Con il suo sound elettro pop, diventa un inno contro il bullismo. Il protagonista del video è un bambino che trova il coraggio per affrontare i ragazzini che lo prendono in giro grazie al contributo di un supereroe ninja che esce da un fumetto e inizia a vegliare su di lui. Ma quel guerriero non è un duro alla Rambo, è la nostra fragile e tenace coscienza. È l’anima che ti prende per mano, ti impone di rialzarti e ti permette di gestire ogni insicurezza. Quelle insicurezze di cui lo stesso Marco, che soffre di dismorfismo, è pieno. Se un difetto per noi è insignificante, per lui è gigantesco. Per questo si trova in difficoltà ogni volte che ai concerti gli gridano “Sei bellissimo”. Come tutti gli artisti, sente le cose più degli altri. Le sue emozioni sono amplificate e questo lo porta a scrivere canzoni di successo, ma lo obbliga a vivere sempre con il fantasma della sindrome dell’impostore. Un fantasma beffardo che può provocare un perenne senso di inadeguatezza, può fargli credere di essere un disastro da cui scappare. «Proteggiti da me se sai come fare», canta in una canzone di dieci anni fa.

Ma da lui e dalla sua musica, i suoi molti ammiratori non si vogliono certo proteggere. Anzi, ci si vogliono immergere per un semplice motivo. Le sue canzoni profumano di bellezza, trasudano vita da tutti i pori. C’è la delusione di una storia finita a cui si aveva creduto tanto in “Ti ho voluto bene veramente”, la sofferenza di aver perso una persona che hai amato e con cui pensavi che saresti invecchiato di “I giorni migliori” e l’incontrastabile esigenza di scatenarsi delle hit “Io ti aspetto” e “Ma stasera”. Ci sono i sentimenti, l’amore in ogni sua forma. Esiste qualcosa di più bello? Forse intendeva proprio questo Dostoevskij, forse aveva ragione. La bellezza salverà il mondo.

Scritto da Francesco Costa
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