“Dalla A alla Z”: N come Nada Malanima

Dal debutto ai grandi successi: la vita e la musica dei protagonisti della scena, uno per lettera. Oggi proseguiamo dalla N come Nada Malanima. A cura di Francesco Costa
La musica è fatta di storie, di viaggi che attraversano generazioni e influenzano il panorama culturale del proprio tempo. “Dalla A alla Z” è la rubrica che ripercorre le carriere degli artisti più iconici della scena italiana e internazionale, raccontando le loro origini, i primi passi, le sfide e i successi che li hanno consacrati. Oggi proseguiamo dalla lettera N, N come Nada Malanima.
Un percorso che parte dagli esordi e arriva fino ai giorni nostri, tra aneddoti, evoluzioni stilistiche e curiosità che hanno segnato il loro cammino artistico. A cura di Francesco Costa, questa rubrica si propone di esplorare in profondità il talento, la determinazione e l’unicità di ogni singolo artista, analizzando l’impatto che ciascuno ha avuto sulla musica e sul pubblico.
“Dalla A alla Z”: N come Nada Malanima
La vita è un gioco che mischia le carte, gira infinita senza un perché. Ci vuole fortuna e lei di fortuna ne ha avuta molta. Questa è la storia di un talento dirompente che colpisce con la sua voracità una bambina come tante, una bambina che non voleva cantare. Ma l’arte non è un call center, quando chiama le devi rispondere. È severamente vietato bloccare il numero.
Era scritto nelle mille stelle che ci sovrastano, sul suo cuore zingaro così pop e sofisticato avrebbero addirittura fatto un film. Se la musica è il tuo destino, si alzerà il vento. Crolleranno tutte le barriere e tu non ci potrai fare niente. Imbraccerai la chitarra e suonerai, impugnerai il microfono e canterai. Non ci potrai fare niente. Il suo nome inizia con la N, N come Nada.
Il primo ministro della Groenlandia è una donna bellissima. In visita al Vaticano, porta al silenzioso Papa Pio XIII due cadeaux : un pesce sotto vuoto e una canzone amata dalla sua gente che gli fa ascoltare con un giradischi nella sala delle udienze. Una canzone di Nada del 2004, “Senza un perché”. No, non è il racconto di trip. Vi posso garantire che nessuna sostanza psichedelica è stata consumata durante la stesura di questo articolo. È una scena surreale di “The Young Pope”, la serie del 2016 di Paolo Sorrentino che sceglie quella struggente ballata rock per la quarta puntata e la fa scoprire a centinaia di migliaia di persone. Il pezzo sottolinea l’importanza di accettare il proprio percorso, anche quando avverti dentro di te un vuoto lancinante e pensi che tutto venga dal niente. In fondo, però, un perché nella vita di questa artista dalla voce sgarbatamente melodiosa c’è stato.
Tutto inizia ancora prima di quella giornata di novembre del 1953 in cui viene al mondo. Colta dall’insostenibile prurito di ricevere qualche spoiler sul suo futuro, mamma Viviana si fa leggere la mano da una rom e le rivelazioni saranno quantomeno propiziatore: avrebbe avuto una figlia e questa figlia avrebbe avuto successo. La chiromante si chiamava Nada.
Chi l’avrebbe mai detto che nell’arco di qualche anno, si sarebbe tutto avverato. È soltanto una ragazzina solitaria che vive nella campagna livornese e canta per la madre affetta da crisi depressive, per gli amici, qualche volta anche in pubblico (ma non le piace), quando un talent scout della RCA la scova e si ritrova catapultata sul palco del Festival di Sanremo. Di bianco vestita, pura come la sua tenerissima età, come la neve dell’inverno che manda il sole a letto presto, porta all’Ariston una canzone pop triste tutta da ballare scritta dal genio Franco Migliacci.
È il 1969 e al primo posto della hit parade c’è lo scricciolo di Gabro, una giovane donna esile che canta le pene di un’amore adolescenziale. Tutti abbiamo intonato almeno una volta il ritornello di “Ma che freddo fa” che la rende in fretta e furia una star della musica leggera. «A casa i bisogni essenziali erano mangiare, vestirsi, però io ero più complessa di così e l’esordio troppo precoce nella musica peggiorò la situazione».
La popolarità è talmente frastornante che quel cuore di ragazza a cui sarebbe bastata una carezza del suo lui si lascia andare allo sconforto. Pochi mesi dopo, a “Disco per l’estate” porta “Cuore stanco” e continua sull’onda del genere popolare che convince tutti. Una canzone dietro l’altra, a Sanremo nel ’70 ci va con Ron. E anche se lei è sempre meno convinta, il pubblico continua ad acclamarla. Nel 1971 vince il Festival e “Il cuore è uno zingaro” raggiunge la vetta delle classifiche. Il suo successo è scintillante, ha lo stesso colore dell’oro. Ma lei si sente verde come quel prato che il suo cuore tenta sempre di raggiungere. Una valvola di sfogo, una fuga da un tipo di musica che non la rappresenta più.
Catene non ha e scappa dai discografici, dal palco del Festival del ’72 dice addio al “Re di denari” preferendogli il fante di fiori. E il suo fante di fiori è il poeta Piero Ciampi. Dalla loro unione nasce l’album che inaugura una fase autoriale e sperimentale che dura per quasi dieci anni: “Ho scoperto che esisto anch’io”. Un cambio repentino di rotta che, ça va sans dire, si traduce in un clamoroso tonfo. Ma è grazie a quel flop, come Battiato dopo “La voce del padrone”, che Nada ritrova l’umanità perduta. Il freddo del suo primo successo non le è passato, in quel periodo escono “Come faceva freddo” e “Brividi d’amore”, ma piano piano sta esplorando mondo. Un mondo fatto di nuova musica, sono gli anni della canzone d’autore. Complici grandi incontri, come quello con Dario Fo, si avvicina alla scrittura e soltanto quando raggiunge la consapevolezza che le mancava riprende il pop.
Arrivano i ruggenti anni ottanta, non è più uno scricciolo ma un angelo caduto dal cielo e tutti si girano per vedere com’è vestita quando entra al Sassofono Blu. Ritorna a quel genere che l’ha resa celebre ma con l’approccio di una donna che sa quello che vuole, ora le canzoni le scrive anche da sola. Non si lascia più intimidire, il suo cuore non è più stanco perché se lo fa scaldare dal suo lui a cui dice senza imbarazzo “Dimmi che mi ami, che mi ami, che tu ami, che tu ami solo me”, titolo di una sua nota hit dal retrogusto twist. Ma è indubbiamente con “Amore disperato” del 1983 che spopola tanto quanto nel ’69, se non di più. Il suo pop è originale, innovativo, irresistibile. In un’estate oltre 300 mila copie vendute e i jukebox si arrendono al suo dominio. «Non riuscivamo a trovare il nome del club. Tutti quelli che ci piacevano erano stati usati in altre canzoni e altri dischi. Mia figlia era piccola. Le avevo regalato questo sassofono giocattolo di plastica. Era blu. Lo stava suonando in casa quando noi eravamo alla ricerca delle parole per il testo. Pensai: ‘Ma certo, il Sassofono Blu!’». Il pezzo, che traina il disco “Smalto”, diventa con il tempo uno dei simboli di tutto il decennio che trascorre partecipando più volte al Festivalbar per poi fermarsi a riprendere fiato.
In un battibaleno, ecco gli anni novanta che bussano alla porta e Nada li accoglie con il disco “Le anime nere” del ’92. Per la prima volta, firma più della metà delle canzoni e si dirige con sicumera verso un futuro musicale più rock e malinconico. Nell’anniversario dei trent’anni di “Ma che freddo fa” stupisce il pubblico di Sanremo con un brano di spessore scritto e composto interamente da lei, “Guardami negli occhi”. Sono dieci anni che scrive ma soltanto adesso, la sua credibilità come cantautrice viene riconosciuta da tutti e consacrata poi dal 2001 in poi quando esce “L’amore è fortissimo e il corpo no”.
Con il disco “Tutto l’amore che mi manca” vince anche il Premio Lunezia. Quella ragazzina che cantava canzoncine non c’è più, ora c’è una donna che ha ottenuto lottando uno spazio nella musica indie d’autore. Sessant’anni dopo quel suo primo successo, nel 2019, trionfa ancora a Sanremo e lo fa in coppia con un capostipite del genere indipendente, Motta. Insieme cantano un inno in difesa dei migranti, “Dov’è l’Italia”. È un momento difficile, lo dice anche nella title track di un disco uscito quell’anno e i temi caldi di una società sempre più fredda entrano nei suoi testi. «È faticoso vivere a pieno la felicità – e lo dico da persona fortunata – se intorno a me ci sono troppe cose che non vanno».
Questa è la storia di una bambina che non voleva cantare, titolo di un film del 2021 sulla sua vita in cui a interpretarla è l’attrice rivelazione Tecla Insolia. Una bambina timida che ha dovuto ribellarsi per scoprire la sua identità, demolendo ogni certezza come ha fatto con “Ma che freddo fa”. «Mi sono dovuta staccare da quella canzone, ho dovuto distruggere il bambino per liberarmi, altrimenti mi avrebbe distrutto perché troppo potente. Avevo capito che il rischio era quello e non ci sono stata. Non per rinnegare quel pezzo, ma uno deve andare avanti».
Grazie al suo sguardo lungimirante, ha fatto pace con quel successo scritto nelle stelle che le esplose tra le mani annichilendola e oggi ispira le nuove leve del pop come Annalisa che l’ha voluta ospite di una tappa del suo tour al Forum di Assago. Dodicimila persone che cantava estasiate “Amore disperato”, l’ennesima dimostrazione che quella chiromante non si era affatto sbagliata. Nada ha fatto pace con la vita dell’artista che non si era scelta perché è stata l’arte a sceglierla e l’arte in fin dei conti è sempre un cercare una strada per arrivare a qualcosa. «L’importante è cercare. Sempre».