“Dalla A alla Z”: P come Patty Pravo

Dal debutto ai grandi successi: la vita e la musica dei protagonisti della scena, uno per lettera. Oggi proseguiamo dalla P di Patty Pravo. A cura di Francesco Costa
La musica è fatta di storie, di viaggi che attraversano generazioni e influenzano il panorama culturale del proprio tempo. “Dalla A alla Z” è la rubrica che ripercorre le carriere degli artisti più iconici della scena italiana e internazionale, raccontando le loro origini, i primi passi, le sfide e i successi che li hanno consacrati. Oggi proseguiamo dalla lettera P, P come Patty Pravo.
Un percorso che parte dagli esordi e arriva fino ai giorni nostri, tra aneddoti, evoluzioni stilistiche e curiosità che hanno segnato il loro cammino artistico. A cura di Francesco Costa, questa rubrica si propone di esplorare in profondità il talento, la determinazione e l’unicità di ogni singolo artista, analizzando l’impatto che ciascuno ha avuto sulla musica e sul pubblico.
“Dalla A alla Z”: P come Patty Pravo
Con voce suadente, gestualità sibillina e un’ammiccante sensualità felina ha ammaliato e sedotto ogni pubblico per cui si è esibita nella sua cinquantennale carriera. Di lei si è detto l’indicibile. L’hanno definita la civetta di Venezia, la Yoko Ono italiana che mangia gli uomini e smembra i Pooh; la Divina per gli ammiratori, semplicemente Nic per gli amici.
La verità è che nemmeno il più arguto dei registi riuscirebbe a inquadrarla. Criptica, esagerata, trasgressiva. L’artista della puntata di oggi è come la Settimana Enigmistica, vanta innumerevoli tentativi di imitazione, ma nessuno potrà mai spodestarla dal pulpito delle icone. Il suo nome inizia con la P, P come Patty Pravo.
Per lei hanno scritto i più grandi: da Battisti a De Gregori passando per Dalla, Battiato e Guccini. Con sopraffine doti da camaleonte, ha inciso la sua firma su ogni brano che ha interpretato trovando ogni volta la chiave per cucirselo addosso.«Guai a voi anime prave», grida ferocemente Caronte ai dannati in attesa di fare il loro ingresso nell’Inferno. Ma lei delle messe in guardia non se n’è mai curata, meritandosi sempre quell’ingombrante cognome d’arte di dantesca memoria. Come un Faust contemporaneo, ha firmato il suo patto con il diavolo in una sera di allegre danze sfrenate con le amiche nel lontano 1966.
Tenco la nota mentre balla sulla pista del Piper Club e la invita al suo tavolo, con lui ci sono Arbore e Boncompagni. Ma soprattutto c’è il produttore discografico più in voga del periodo, Alberigo Crocetta. Lei è una ragazzina di 18 anni che si è appena trasferita a Roma dal Veneto in cui si esibiva già con il terribile nome di Guy Magenta. Lui intuisce all’istante il suo potenziale e di quel posto, da semplice cliente, diventa il simbolo. La Ragazza del Piper, soltanto una delle tante identità che attribuiranno a Nicoletta Strambelli.
Già con la prima canzone, la traduzione di Boncompagni in italiano di un pezzo di Sonny & Cher, il successo è assicurato e la rende la dea del beat. Patty Pravo con “Ragazzo triste” è la prima cantante pop trasmessa da Radio Vaticana. Proprio lei che ha fatto shock e anche alle esperienze più estreme che le si sono presentate nella vita non si è mai negata. A soli dieci anni già fumava sigarette e poi gli l’LSD, le orge. È di questo che parla “Ho provato tutto”, il suo ultimo singolo uscito nel marzo 2025, una ballata in stile Baustelle. Non proprio un simbolo per il Vaticano che ha in mente un’altra idea di regno dei cieli («Il paradiso tu vivrai se tu scopri quel che hai», recita la sua celebre hit del ’69) e si fa fisiologicamente custode di certi tabù.
Tabù che puntualmente, questa spregiudicata e ribelle ragazza distrugge. Lo fa nel 1973 con un must del nostro pop in cui canta la “Pazza idea” di fare l’amore con la sua nuova fiamma «pensando di stare ancora insieme a te». Ma attenzione perché cinque anni dopo, a quel lui a cui si concede distratta, si aggiunge una lei. Carramba che sorpresa. Grazie a “Pensiero stupendo”, una carezza erotica scritta e composta da Fossati, la Divina si conquista il titolo di regina del ménage à trois. L’amore libero, un’istanza da figli dei fiori. Non è un caso infatti che il suo primo album eponimo esca proprio nel 1968, l’anno delle rivoluzioni in cui le si inserisce perfettamente con un brano simbolo dell’emancipazione femminile. Il rifiuto categorico di una donna che non accetta di farsi trattare come una bambola dal suo uomo. “La bambola”, una canzone che era stata già rifiutata da Caterina Caselli e nemmeno Patty la vuole fare inizialmente. Ma fortunatamente cambia idea, a oggi quel pezzo è un inno che ha venduto l’esorbitante cifra di 40 milioni di copie.
All’interno del disco di esordio, trova spazio anche un’altra sfumatura di Nic. Quella più introspettiva e profonda che sbuca a gran voce in “Se perdo te”. Una canzone struggente che odora di quegli addi da cinematografo, di quando non pensi di riuscire a essere ancora tu alla fine di un’amore totalizzante in cui ci hai messo l’anima. Questo è il suo filone più romantico che si arricchisce nel ’70 con un brano orchestrale di travolgente raffinatezza, “Tutt’al più”. Scritto da Migliacci e arrangiato da Ruggero Cini, inizia lentamente con una parte recitata in cui lei torna da lui temendo di trovarlo cambiato e poi pacato prosegue come un sussurro flebile destinato a ingigantirsi e divenire grido. Un grido di rabbia mista a disillusione, la consapevolezza di essere stata per il suo amato solo un passatempo: «E allora me ne andrò e mi rincorrerai chiedendomi perdono e mi accarezzerai, ricorderai il mio nome e quello che c’è stato. Magari fosse vero, magari fosse vero».
Di anno in anno, dimostra di non essere solo la Ragazza del Piper. Svela una capacità vocale incredibile che le permette di muoversi, agile come una gatta, dal beat alla melodia fino alla canzone d’autore. C’è chi la chiama la Edith Piaf italiana. È un periodo particolare, ai successi alterna la sperimentazione rock e gli scandali. Nel 1978 la sua critica ai mali della nostra società in “Miss Italia” viene censurata perché la propone alla Rca giusto il 9 maggio, giorno in cui viene ritrovato il cadavere di Aldo Moro. Gli anni ottanta sono feroci, ha tutti i media contro e scappa in America. Per la stampa italiana, la sua carriera è finita, rovinata dai debiti e dalle droghe. Ma Patty è un’araba fenice, anzi forse più che araba, giapponese. È quella l’evidente ispirazione del suo look al Festival di Sanremo dell’84. Con un elaborato abito da sera in maglia metallica e forma di kimono, creato per lei da Gianni Versace – oggi lo trovate esposto a Palazzo Pitti – e un trucco e parrucco da geisha, stupisce l’Ariston sulle note di “Per una bambola”. Quello con la kermesse ligure è un rapporto intenso, ogni volta che partecipa porta qualcosa di diverso, l’ultima nel 2019 era in duetto con il rapper Briga, sulle note del brano “Un po’ come la vita”.
Se anche la giudica per i suoi eccessi, chirurgia estetica in primis, e non sempre la capisce, il pubblico continua ad amarla e al Festival del 2016 si alza per omaggiarla dopo che si è esibita con la poetica “Cieli immensi”. Ma se parliamo di poesia non possiamo non citare “E dimmi che non vuoi morire”. Un pezzo di Vasco e Gaetano Curreri interpretato magistralmente e nonostante la malinconia e il dolore che lo connota, ci inietta anche un dose di ottimismo, una spinta a non rassegnarsi.
È tutta la vita che Patty Pravo alterna misteriosamente la stravaganza alla leggiadria, i vizi ai silenzi, le grasse risate agli sguardi enigmatici. Ha provato tutto e non si è mai pentita di nulla; si è sempre messa a nudo, in tutti in sensi, senza mai vergognarsi. Ha portato verità, libertà e modernità nelle case degli italiani e per questo non possiamo che esserle grati. Ha pilotato aerei, aperto menti, rotto tabù. Il tutto senza mai perdere l’aplomb che la contraddistingue da sempre, nemmeno quando la arrestano e rimane tre giorni a Rebibbia: «Era una cosa così assurda che l’ho presa sul ridere. Sono arrivati a prendermi due ragazzi splendidi, gentilissimi, che per farmi arrivare in prigione il più tardi possibile mi hanno fatto fare un giro, siamo andati anche al bar. C’erano solo mignotte e transessuali. È stato un party, nonostante fossi in arresto mi sono divertita». Perché diva, si nasce.