“Dalla A alla Z”, P come Pinguini Tattici Nucleari
Dal debutto ai grandi successi: la vita e la musica dei protagonisti della scena, uno per lettera. Oggi proseguiamo dalla P come Pinguini Tattici Nucleari. A cura di Francesco Costa
La musica è fatta di storie, di viaggi che attraversano generazioni e influenzano il panorama culturale del proprio tempo. “Dalla A alla Z” è la rubrica che ripercorre le carriere degli artisti più iconici della scena italiana e internazionale, raccontando le loro origini, i primi passi, le sfide e i successi che li hanno consacrati. Oggi proseguiamo dalla P come Pinguini Tattici Nucleari.
Un percorso che parte dagli esordi e arriva fino ai giorni nostri, tra aneddoti, evoluzioni stilistiche e curiosità che hanno segnato il loro cammino artistico. A cura di Francesco Costa, questa rubrica si propone di esplorare in profondità il talento, la determinazione e l’unicità di ogni singolo artista, analizzando l’impatto che ciascuno ha avuto sulla musica e sul pubblico.
“Dalla A alla Z”, P come Pinguini Tattici Nucleari
Ogni tanto nella vita devi solo aspettare. Che a Londra la smettano di mettere la panna nella carbonara, che arrivi qualcuno a cui dedicare le autostrade che portano al mare, che inventino un ruolo alternativo per i bimbi che interpretano gli alberi nelle recite scolastiche. Gli artisti della puntata di oggi hanno saputo aspettare perché essere competitivi non serve se sai di essere competente. Con il peso di un accento troppo spiccato, hanno aperto al futuro che suonava al campanello e ora a suonare sono loro davanti a decine di migliaia di persone. Il loro nome inizia con la lettera P, P come Pinguini Tattici Nucleari.
«Siamo pinguini che non san scappare dalla foca», canta Riccardo – che trova l’ispirazione per una canzone nel traffico e infatti il suo nome è l’anagramma di Raccordi (da “Non sono cool”) – in “Verdura”, pezzo uscito nel gennaio del 2019. Un pezzo dal piglio indie e radiofonico al tempo stesso che segna la svolta popolare del gruppo. Da quel momento si intuisce che, dopo aver seminato tanto vento, è il momento di raccogliere energia eolica. Ma già nel disco precedente del 2017 si percepisce, dal punto di vista musicale, la ricerca di suoni più pop in brani come “Tetris” e “Irene”, canzone che viene fraintesa da chi si ferma in superficie e li accusa addirittura di inneggiare alla violenza contro le donne. Chissà che cosa avrebbero detto i bacchettoni se avessero saputo che nel primissimo ep del gruppo “Cartoni animali” del 2012 c’è un pezzo che si chiama “Giovanni Muciaccia orribilmente mutilato con forbici dalla punta arrotondata” e che in “Il paradiso degli orsi gay”, Yoghi e Bubu sono omosessuali.
Avete capito bene benpensanti, in quel racconto i due noti orsetti scoprono di amarsi e vengono uccisi per questo. Nelle vene dei Pinguini scorre il sangue della libertà di sfidare il mondo in nome dell’amore e dell’autodeterminazione come fa Cloe Bianco, una professoressa transessuale che si è tolta la vita e che loro omaggiano nella toccante “Cena di classe” («Qualcuno poi nomina la prof. Bianco, le ore di fisica a parlar di universo per dimostrarci che il tempo è sia fluido che relativo un po’ come il sesso»). La scuola è uno dei temi ricorrenti dei loro testi, in “Test di ingresso di medicina” si parla dell’incanto della quinta superiore, dei bigliettini dentro alla calcolatrice e delle gite ai musei d’arte moderna al suon di «Sarei stato capace di farlo anche io questo».
Quell’Ep di debutto si chiude con “Scooby Doo Love Song” ed emerge un collegamento diretto con l’unico altro ep pubblicato dalla band, il tre volte disco di platino “Ahia!” del 2020 la cui prima traccia si chiama proprio “Scooby Doo”, hit rockettara che invita a riflettere su come, a volte, i mostri più spaventosi siano solamente persone normali con indosso delle maschere. Tra le tracce del breve album anche molti altri successi pieni di riferimenti alla cultura popolare (marchio di fabbrica dei Pinguini) come “La storia infinita”, il tormentone “Scrivile scemo” che fa breccia nei cuori di tutti quei millenials che come loro sognano «un finale migliore per quella puntata della Melevisione interrotta da torri che andarono in fiamme» e il loro brano più famoso in assoluto.
Una ballad indimenticabile, certificata dallo spropositato numero di otto dischi di platino, che anche tra cinquant’anni ci farà chiedere quale sia la differenza tra le ciliegie e le amarene: “Pastello bianco”. Sono tutti questi successi, uniti a tanti altri come la hit estiva “Giovani wannabe”, a portare i Pinguini Tattici Nucleari a riempire gli stadi di tutta Italia – quel Paese che chi resta sogna di partire e chi se ne va sogna di farci ritorno (da “Italia Italia”) – sia nel 2023 che nel 2025 fino a renderli la band italiana con più spettatori paganti per un singolo concerto. E pensare che, soltanto pochi anni prima, non ci credevano a Irene, nonostante l’avesse letto nelle stelle, che la musica a questi sei ragazzi bergamaschi avrebbe dato il pane («Non ci credere poi tanto allo zodiaco che la musica il pane quotidiano lo dà solo a chi è celiaco»).
Riccardo a Irene gliel’aveva anche detto, è meglio se ti sposi un ingegnere o un dentista. Lui, al massimo, avrebbe potuto darle il pulmino per un sorriso low cost. Quel pulmino che in settimana portava gli anziani a Zagabria, nel weekend lo noleggiava il gruppo per andare a suonare nei peggiori bar di Caracas. «Ci ridevano dietro le spalle ed è così che sono diventate larghe», cantano in “Dentista Croazia” perché, prima della fama, più che pinguini erano la pecora che canta nella copertina dell’album “Gioventù brucata”, il ranocchio senza corona della cover del disco “Il re è nudo” del 2014 che insieme a “Diamo un calcio all’aldilà” del 2015 costituisce gli inizi della band. Inizi che sanno di provincia e quando vieni dalla provincia riuscire a diventare qualcuno è soltanto un sabbioso miraggio (immagine da “La strategia della tenzone”).
Eppure è proprio la provincia a tenerli con i piedi per terra, dando loro la forza di continuare ed è alla loro provincia, stremata dal Covid, che dedicano la commovente ballata “Bergamo”. La città prende vita e grazie al confronto con l’amata («Forse non te l’ho mai detto ma tu per me sei come Bergamo, so che potrebbe farti ridere ma migliori complimenti non ne ho») si umanizza un po’ come l’albero della poetica “Jack il melo drammatico” che scopre di essersi innamorato di una pianta di plastica o come le gomme e le matite che in “Cancelleria” tentano di ribellarsi contro il dominio delle biro. Perché nelle loro canzoni, sia prima che dopo la svolta, i testi raccontano storie e mettono insieme immagini soltanto in apparenza distanti.
In “Sciare”, per esempio, si parla sia di montagne – innevate come quelle che si trovano in “Islanda”, ballad disco di platino del 2024 – che di paesaggi marittimi come quelli di “La banalità del mare”. Una canzone tutta da ballare con alla base un convincente gioco di parole, altra chiave per comprendere le canzoni della band come “Antartide” («Quando le amiche parlavano di sesso ergevi muri e ti mancava l’aria, qualcuna di loro poi rimase incinta e invece tu sempre in cinta muraria») e “Ninnananna per genitori disattenti” («Scapperanno a fare pilates, se ne laveranno le mani come fece al tempo Ponzio Pilates»). Ma questi accostamenti linguistici non sono solo divertissement fini a sé stessi, nei loro pezzi non mancano mai riflessioni sull’attualità come nella originale satira politica di “Me Want Marò Back” e nelle struggenti “Ricordi” che affronta in modo profondamente delicato il tema dell’Alzheimer e “Hikikomori” che parla di solitudine. Il pezzo è uno dei più significativi di “Fake news”, disco del 2022 che accoglie al suo interno power ballad come “Hold on” e brani più allegri come “Stage diving” e “Rubami la notte”. Il punto è che la loro essenza non cambia con le luci della fama.
L’unica differenza è che hanno smesso di nascondere i libri di Moccia (da “Castagne genge”), ma la loro identità non l’hanno mai cambiata neanche quando nel 2020 sono arrivati terzi al Festival di Sanremo con il pop rock di “Ringo Starr”. Del 2020 sono loro la rivelazione e l’album “Fuori dall’hype” vola grazie a tracce che convincono come l’omaggio a Kurt Cobain di “Lake Washington Boulevard” e la dolce “Ridere” (anche se c’è poco da essere teneri visto come va a finire in “Romantico ma muori”) ma la mia preferita è sicuramente “Scatole”. Un brano profondo e intenso in cui Riccardo trova un modo per fare pace con il padre muratore che lo voleva ingegnere. Quel padre costruttore a cui diceva che le case sono solo scatole dove la gente si rifugia quando fuori piove per poi rendersi conto che anche le canzoni lo sono.
Sono scatole dove le persone si sentono al sicuro e ci aiutano a elaborare anche le cose peggiori, come il terribile femminicidio di Giulia Tramontano, raccontato tra le strofe di “Migliore”. Lo straziante pezzo che cerca di scrivere un lieto fine a un dramma fa parte dell’ultimo disco del gruppo, “Hello world” del 2024. Al suo interno ballate emozionanti come il singolo “Amaro” e “Titoli di coda” si alternano a canzoni da ballare come “Per non sentire la fine del mondo” e “Fuck you Vincenzo”. E in aggiunta, ciliegina sulla torta, la collaborazione con Max Pezzali in “Bottiglie vuote”. Perché in fondo, i Pinguini Tattici Nucleari sono per le nuove generazioni quello che gli 883 sono stati per la vecchia guardia.
Ogni tanto nella vita devi solo aspettare, ma non sempre. Ci sono momenti in cui capisci che con il mondo devi scendere a patti perché a ventisette puoi morire oppure diventare un po’ più pop e Riccardo, Elio, Lorenzo, Nicola, Simone e Matteo hanno scelto di vivere. Hanno lasciato che il velo cadesse perché potesse iniziare lo show e anche se non mettono più magliette di gruppi rock, non si sono mai lasciati. Tutte le band si rompono, si scelgono e poi si sciolgono ma loro sono fermi a quella notte di un agosto magico in cui hanno fatto Roma-Milano in quattro ore e per farlo ci vuole tanto, tanto cuore.