“Dalla A alla Z”: P come Tommaso Paradiso

Dal debutto ai grandi successi: la vita e la musica dei protagonisti della scena, uno per lettera. Oggi proseguiamo dalla P come Tommaso Paradiso. A cura di Francesco Costa
La musica è fatta di storie, di viaggi che attraversano generazioni e influenzano il panorama culturale del proprio tempo. “Dalla A alla Z” è la rubrica che ripercorre le carriere degli artisti più iconici della scena italiana e internazionale, raccontando le loro origini, i primi passi, le sfide e i successi che li hanno consacrati. Oggi proseguiamo dalla P, P come Tommaso Paradiso.
Un percorso che parte dagli esordi e arriva fino ai giorni nostri, tra aneddoti, evoluzioni stilistiche e curiosità che hanno segnato il loro cammino artistico. A cura di Francesco Costa, questa rubrica si propone di esplorare in profondità il talento, la determinazione e l’unicità di ogni singolo artista, analizzando l’impatto che ciascuno ha avuto sulla musica e sul pubblico.
“Dalla A alla Z”: P come Tommaso Paradiso
Un gin tonic sul pianoforte, gli occhiali neri a coprire i segni dell’agitazione e dell’hangover per sentirsi meglio. Davanti ai suoi occhi, una folla festante e ubriaca fatta di sale, di sole, di sabbia e di mare. In poche parole, fatta di lui che sta bene solo quando è sabato. Chiamalo scemo. L’artista della puntata di oggi scambia la notte con il giorno e piange sempre per gli stessi film. Vuo’ fa’ l’americano, ma nel cuore c’ha Vasco. Il suo nome inizia con la lettera P, P come Tommaso Paradiso.
Il capello lungo, la barba incolta, quell’aria elegantemente rustica e bohémien di chi spende il suo tempo tra sigarette e poesia. Di primo acchito, si potrebbe pensare che sia uno di quei progressisti da salotto con la puzza sotto il naso. Ma ce lo dicono fin da quando siamo in fasce, l’apparenza inganna e lui, agli intellettualismi costruiti ad hoc, ha sempre preferito Christian De Sica che cammina malinconicamente riflessivo per i corridoi di un hotel di lusso, mentre ricorda una storia finita nel video della ballata “Tutte le notti”. Tra le righe, si legge l’intenzione di sottolineare lo spessore dell’attore che non è solo il mandrillo fedifrago dei cinepanettoni così come lui non è solo il pazzo che ti manda un vocale di dieci minuti per dirti quanto è felice e su questo crea il tormentone estivo dei Thegiornalisti “Felicità puttana”.
«Ti giuro, credimi, non sono un figlio di puttana», canta invece in quella power ballad che rappresenta in parte la versione solista di un pezzo iconico, scritto e composto quando era ancora con la band, in cui è coinvolto un altro volto del cinema. Sto parlando di Alessandro Borghi e il brano è “Questa nostra stupida canzone d’amore” del 2018. Un inno struggente da cantare sgolandosi ai suoi concerti che parla di amori in partenza da Fiumicino. Amori che ti lasciano ad annaffiare le piante, aspettando il loro ritorno e magari ti accuseranno anche di essere un sottone, ma attendere significa amare e la Corea del Nord non potrà fermare tutto questo. Non fermerà i sentimenti, non fermerà la bellezza di Roma che riecheggia come una costante colonna sonora nelle canzoni di Tommaso Paradiso.
Roma che per lui è il sistema solare, le fontane scheggiate, è il cuore chiuso nella pelle e Alberto Sordi nelle tempie. Questo scrive in “I nostri anni” del 2020, brano che racchiude tutta la nostalgia del suo universo musicale, vibe preponderante sia nei testi che nei sound scelti. Di aria di fine agosto che lampeggia fuori dal finestrino canta in “Per sempre ragazzi” del 2023. Un pezzo di undici anni fa, contenuto nel terzo album del gruppo “Fuoricampo” (il disco della svolta pop), si chiama proprio “Fine dell’estate”. Ogni volta che lo ascolto, per me che sono figlio del mese più rovente dell’anno, è un colpo al cuore più distruttivo di quel famoso successo dei Righeira. Sono nato sotto il segno del leone e l’ascendente del cancro, più estivo di così non si può. Ed è per questo che quando, alla fine del 2021, Tommaso Paradiso è uscito con il singolo “La stagione del cancro e del leone” ho pensato che l’avesse fatto apposta per me.
Anche lui è un figlio di questa stagione, è un “Figlio del mare” – immagine molto presente nei suoi brani come “Mare Balotelli” del 2014 e “Una casa al mare” dall’ultimo album dei Thegiornalisti “Love” – che giura cazzate sulle spiagge piene di gente che aspetta la notte. Perché tanto, come ammette pacificamente rassegnato in “Silvia”, la vita dura solo un’estate. Ed è sempre in estate che vengono pubblicate le sue canzoni più certificate come “Piove in discoteca” e soprattutto come il mega tormentone che stravolge la sua esistenza e quelle del batterista Marco Primavera e del polistrumentista Marco Antonio Musella nell’oramai lontano 2017, “Riccione”. Dal nord al sud, nei lidi ma anche negli impianti di risalita in montagna, non c’è nessuno che non canticchi il martellante ritornello di questo irresistibile pezzo pop che fa esplodere il fenomeno Thegiornalisti. Dopo otto anni di gavetta, tutti li acclamano e le tracce dell’album “Completamente Sold Out” volano nelle classifiche da “Tra la strada e le stelle” alla liberatoria “Completamente”. Ma nonostante l’unione vincente, la catena a un certo punto si spezza.
Capita a volte che ci si stanchi di confondere il proprio respiro con quello degli altri e si reclami quindi una “Stanza singola”, titolo del romantico duetto di Tommaso del 2019 con Franco126 che incontra anche in “Amico vero”. In lui convivono più anime e una di queste è quella del lupo solitario, dell’orso buono che si tiene lontano dai riflettori. «Sono solo un vaccaro che ama guardare il cielo», confessa sincero in “Space Cowboy”, la title track del suo primo album che
arriva già a tre anni dall’avvio della sua carriera da solita quando, dopo l’ultima hit con i colleghi “Maradona y Pelè” e una strepitosamente rapida ascesa che frutta più di un milione di copie vendute, lascia la band e continua in solitaria con “Non avere paura”. Un pezzo pop, lento ma energico, in linea con quanto visto nel percorso precedente e ricorda pezzi come “New York”. Prima di uscire con un disco, però, sperimenta per comprendere lo stile con cui presentarsi in questa nuova veste e decide di concentrarsi sul suo lato più strumentale, trascurando il sound elettronico alla “Da sola / In the night”, il featuring con Takagi e Ketra ed Elisa (con cui canta anche durante il Covid in “Andrà tutto bene”). È per questo che nel cd non trova spazio la hit anni ottanta “Ricordami”.
Impiega tempo e sudore per capire la forma da dare al debutto, senza paralizzanti timori, scrollandosi le tenebre di dosso. «Che ne diresti se per un secondo ci lasciassimo dietro il regno delle tenebre e abbracciassimo insieme il paesaggio, la barriera corallina», canta in “Lyn”. Nel pezzo cita Camilleri e i Blur tra le persone che lo hanno culturalmente cresciuto – come fa già in “Dr House”, toccante dedica in cui ammette di aver trovato un padre in Fantozzi e Bud Spencer, in Terence Hill e Verdone, in Totò e Peppino – ma soprattuto menziona gli Oasis perché con i fratelli Gallagher scopre la musica all’età di undici anni. Crescendo, si esibisce con diverse formazioni romane prima di trovare la quadra nel 2009. È anche da Liam e Noell che prende ispirazione per il rock alternativo dell’album “Vol. 1” a cui si aggiungono i sintetizzatori nel secondo disco “Vecchio”. E quando i loro pezzi si fanno più sfacciatamente radiofonici, c’è chi li accusa ipocritamente di essersi venduti. «Vorrei solo distrarmi un po’, perdermi in un disco pop», canta Paradiso in “Magari no”, riscattando l’importanza della musica popolare dall’ignoranza dei puristi.
Comunque sia, in tutte le evoluzioni, la costante rimane la cura per i testi. «Proteggimi perché io sono uno di quelli che se a calcio sbaglia il primo pallone butta via tutta la stagione e non si riprende più», canta nella commovente “Proteggi questo tuo ragazzo”. La sua abilità sta nel costruire immagini semplici e dirette come quella della camicia blu in “Il tuo maglione mio”, del vino buono che sa di aranciata senza di te in “Ma lo vuoi capire?” e del call center di Milano di cui parla in “Amore indiano”, il duetto indie con i Baustelle che anticipa – insieme alla estiva “Viaggio intorno al sole” e alla ballad invernale “Blu ghiaccio travolgente” – il secondo disco “Sensazione stupenda” del 2023, una via di mezzo in cui gli strumenti sposano l’elettronica. Da allora, una lunga pausa dalle scene, la nascita della sua bimba Anna e un susseguirsi di voci. C’è chi si domanda che fine abbia fatto e chi lo attende a Sanremo l’anno prossimo.
La verità è che non c’è solo il Festival, non è necessario buttare fuori una canzone dietro l’altra come in una grigia, asettica e schematica catena di montaggio. Gli artisti non sono distributori di merendine. Gli artisti si emozionano per la neve che è bella vista da lontano, per la brezza che sa di liceo, per la luna che è l’unica dea. Si tengono lontani dalla tristezza in un mondo che forse non c’è, ma hanno una compagnia “Quando si alza il vento” e questa compagnia è la musica che risuona fragorosa nel bar pieno di guai che chiamiamo “Vita”. Che sia indie, rock o pop, è la musica che ci fa ancora camminare liberi “Sulle nuvole”. È la musica, nella tempesta, a farci dire che è solo brutto tempo. «Tanto domani il sole arriverà».