“Dalla A alla Z”: R come Donatella Rettore

Dal debutto ai grandi successi: la vita e la musica dei protagonisti della scena, uno per lettera. Oggi proseguiamo dalla R come Donatella Rettore. A cura di Francesco Costa
La musica è fatta di storie, di viaggi che attraversano generazioni e influenzano il panorama culturale del proprio tempo. “Dalla A alla Z” è la rubrica che ripercorre le carriere degli artisti più iconici della scena italiana e internazionale, raccontando le loro origini, i primi passi, le sfide e i successi che li hanno consacrati. Oggi proseguiamo dalla R, R come Donatella Rettore.
Un percorso che parte dagli esordi e arriva fino ai giorni nostri, tra aneddoti, evoluzioni stilistiche e curiosità che hanno segnato il loro cammino artistico. A cura di Francesco Costa, questa rubrica si propone di esplorare in profondità il talento, la determinazione e l’unicità di ogni singolo artista, analizzando l’impatto che ciascuno ha avuto sulla musica e sul pubblico.
“Dalla A alla Z”: R come Donatella Rettore
Ti riempie casa di canti, di festa, di suoni. Una donna come lei nasce nuova ogni mattina e si gioca tutto con candore e furia. Antistress, antipop, antidiva, l’artista della puntata di oggi è una gazza ladra innamorata che con una carezza soffia divina nebbia e radioattività. Dall’alto del trono di regina delle serpi, con il suo morso letale, avvelena i bacchettoni e distrugge in mille pezzi il tetto di cristallo perché delle suore se ne sbatte totalmente. Il suo nome inizia con la lettera R, R come Rettore.
Un’ondata di proteste sollevata per boicottarla, la lettera di una professoressa che la accusa di togliere purezza ai bambini. Lo scandalo si appiccica alle sue ossa, sporca le lettere di un cognome così accademico, ma lei, per sua stessa ammissione, è nata al contrario. Eppure, non è solo trasgressione. È anche tenerezza, una tenerezza da cui si lascia contagiare “Di notte specialmente”, brano manifesto del suo filone artistico più romantico che presenta al Festival di Sanremo nel 1994.
Ma anche in questa ballad, non manca il graffio felino di una donna che pretende con decisione le attenzioni del suo uomo: «Prendi tutto adesso, fallo audacemente, indecentemente». Vestita come una fata gotica, sembra pronta a colpirti con una maledizione da un momento all’altro. Non per altro, l’album che esce in concomitanza con la partecipazione alla kermesse (l’ultimo fino a “Figurine” del 2005) si chiama “Incantesimi notturni”.
E gli incantesimi li lancia in uno stralunato miscuglio tra italiano, francese, spagnolo e veneto che sceglie come lingua per il secondo singolo “Locura”. A che serve essere comprensibile, stare attenta a come rispondi per non sembrare un animale se poi la gente non ti ascolta quando hai cose da dire? Il quesito se lo pone in “Legami” e si dà anche una risposta, non serve a niente. Ed è per questo che vive assecondando l’istintività degli animali e tocca i fili senza paure, nonostante continuino a ripeterle insistentemente che “Chi tocca i fili muore”.
Dal primo Festival in cui passa inosservata con la più classica “Capelli sciolti” – stesso destino che tocca al disco di esordio “Ogni giorno si cantano canzoni d’amore”, pubblicato nel ’75, sono passati due decenni. Ha solo diciannove anni, ma in tasca porta con sé l’esperienza di un tour come spalla di Lucio Dalla, e anche se le consapevolezze del suo essere artista sono ancora acerbe, è già da parecchio che balla “Il tango della cantante”.
Lo balla da quando ha dieci anni e si esibisce in chiesa con la sua prima band, i Cobra. Avete capito bene, Cobra. Avete capito benissimo, in chiesa. Chissà come avrà reagito il prete, mi domando, nell’ascoltare quella bambina cresciuta cantare di serpenti che non sono serpenti, ma pensieri frequenti che diventano indecenti e si snodano fino a chiuderle la bocca. È il 1980 e sono tutti pazzi per questa canzone erotica, un pop rock irresistibile che si chiama proprio “Kobra”.
E i bigotti, sconvolti per la quantità di doppi sensi, non possono fare altro che rassegnarsi al “Magnifico delirio” che scatena, si chiama così il suo quarto album, moderno e provocatorio. «Benvenuto in gola e nel palato», canta nella ribelle “Benvenuto” beccandosi l’ennesima censura mentre in “Stregoneria”, pezzo sperimentale che richiama i film horror, ci invita a leccarla e mangiarla in un solo boccone. Ma non temete, il soggetto della frase è una strega.
Anche se, più che strega, lei è una “Leonessa” dai denti affilati e con i prismi al posto degli occhi, come nella copertina del disco. Una copertina che dimostra quanto sia in grado di anticipare i tempi, intuendo per prima che non basta cantare. Nel colorato mondo degli anni ottanta, la vista conta più dell’udito ed è per questo che sceglie tre confezioni diverse e dei gadget in omaggio per chi compra l’LP.
Rettore cresce nella provincia veneta senza essere pienamente compresa. In quella realtà così conservatrice, lei è ciò che non ti aspetti e coltiva la sua ribellione come un fiore nei lunghi pomeriggi in cui non studia. E pensa, pensa che sua madre non capisce i suoi pensieri. Di questo e dei primi no che si sente dire racconta in “Nel viale della scuola è sempre autunno”, il pezzo più autobiografico della sua carriera, contenuto nel secondo album in cui, a differenza del precedente, emerge realmente chi è, “Donatella Rettore” del ’77.
Ed è in quell’anno che, forte dei primi sì che riceve all’estero con il successo “Lailolà” (il lato B si chiama “La Berta”, quasi come il cognome della sua amatissima nemica Loredana), torna a Sanremo con una personalità ben sviluppata e colpisce il pubblico nel senso letterale del termine. «Carmela regalava caramelle colorate, ma erano caramelle avvelenate», intona in “Carmela” mentre lancia caramelle contro
le signore impellicciate e i gentleman in giacca e cravatta delle prime file del Teatro Ariston che si indignano. Con i suoi dolcetti, attenta la vita degli uomini colti che si credono liberi, ma sono vinti dall’ambizione. Quegli stessi uomini, che considerano le donne una loro proprietà, contro cui si scaglia in “Il patriarca”.
E proprio quando sembra aver raggiunto la quadratura del cerchio, si rinnova ancora una volta. La vecchia sé si è spappolata nel blu. È l’inizio di una nuova fase che lei inaugura portando in Italia l’estetica punk e guai a chi continua stramaledettamente a chiamarla “Donatella”, tormentone estivo dall’innovativo gusto giamaicano con cui spopola nell’81 e vince il Festivalbar, estratto dal disco “Estasi clamorosa”.
Se Rettore riesce a trovare un’unicità artistica, paradossalmente, è perché si reinventa e cambia faccia grazie a un bisturi perfetto. Con la hit dance “Splendido splendente”, un brano tra i più iconici di sempre della nostra musica, ottiene finalmente la popolarità anche in patria. La chirurgia estetica che diventa ossessione, identità che crescono senza sesso perché non si sentono uomini e nemmeno donne. Sembra scritta ieri, eppure è uscita quarantasei anni fa.
E altrettanto attuale è l’album che la ospita, “Brivido felino”, un punto di incontro tra il passato cantautorale (“Il mimo”) e il presente trasgressivo di chi scappa via dopo una crisi di follia, come canta in “Eroe”. Il tutto condito da un modo originale di coniugare la tradizione musicale in una veste contemporanea come fa in “La mia più bella canzone d’amore”, una dichiarazione d’intenti con cui avvisa il suo lui: «Col corpo gli dirò in ogni istante io ti amo».
Con le movenze sinuose e geometriche del corpo, Rettore diventa una “Femme fatale” (dal disco “Danceteria” del 1985), talmente consapevole della sua affabile sensualità che avrebbe sedotto anche D’Annunzio che minaccia in “Gabriele”: «Avevi amanti pazze, disposte anche alla morte, con loro sì che ti sentivi simbolo del sesso forte ma se ci fossi stata io…». Se ci fosse stata lei lo avrebbe accecato con la sua luce che “Brilla”, ma anche se canta “Diva”, lei di quell’appellativo non se ne fa nulla.
Lei è orgogliosamente “Antidiva putiferio”, titolo dell’album uscito nel 2025, quattordici anni dopo “Caduta massi”, in cui su basi dance solleva vertiginoso il suo dito medio, ribadendo il disgusto nei confronti dell’umanità in “Odio tutti”. Il disco lo pubblica tre anni dopo il ritorno sulla cresta dell’onda quando, dopo migliaia di concerti e programmi tv, torna a soffiare il vento dell’ “Adrenalina”. E se riacquista la vetta delle classifiche lo deve a Ditonellapiaga che propone una canzone per le nuove proposte del Festival, ma Amadeus chiama Rettore e l’esplosivo duetto fa il botto direttamente a Sanremo 2022. Tutti canticchiano “Chimica” che, in poche settimane, agguanta il disco di platino.
L’antidiva ruggisce ancora perché è giovane dentro ed è nei giovani che investe come fa nella hit “Faccio da me” con Tancredi, in “Disco Prosecco” con BigMama e in “Beepolare” con i LaSad, la band punk che la chiama ospite nella serata dei duetti al Festival del 2024 e insieme cantano “Lamette”, successone dell’82 dall’album “Kamikaze Rock ‘n’ Roll Suicide” in cui, ispirandosi alla cultura giapponese, affronta coraggiosamente il tema di suicidio in pezzi come “Karakiri” e la dolce chiusura di “Giulietta”. Dolce perché anche le tigri come lei cantano le ballad, ne sono un esempio “Gattivissima” e la progressive “Meteora”.
E poi c’è “Una stella che cade”, la toccante dedicata al padre scomparso, contenuta in “Rettoressa” del 1988. «Se quel filo si spezza, è una calamità, l’amore mio non cederà», canta nel brano perché è quello che è abituata a fare. Resiste quando il filo sembra spezzarsi. Negli anni di silenzio, resiste. Quando cresce sola, senza amici, ai tempi della scuola, lei resiste. Con tutto quello che le serve, ma con le valigie a casa perché «sono dritte anche le curve quando conosci la strada».