“Dalla A alla Z”: T come Tedua

Dal debutto ai grandi successi: la vita e la musica dei protagonisti della scena, uno per lettera. Oggi proseguiamo dalla T come Tedua. A cura di Francesco Costa

La musica è fatta di storie, di viaggi che attraversano generazioni e influenzano il panorama culturale del proprio tempo. “Dalla A alla Z” è la rubrica che ripercorre le carriere degli artisti più iconici della scena italiana e internazionale, raccontando le loro origini, i primi passi, le sfide e i successi che li hanno consacrati. Oggi proseguiamo dalla T, T come Tedua.

Un percorso che parte dagli esordi e arriva fino ai giorni nostri, tra aneddoti, evoluzioni stilistiche e curiosità che hanno segnato il loro cammino artistico. A cura di Francesco Costa, questa rubrica si propone di esplorare in profondità il talento, la determinazione e l’unicità di ogni singolo artista, analizzando l’impatto che ciascuno ha avuto sulla musica e sul pubblico.

“Dalla A alla Z”: T come Tedua

Un bambino al terzo anello di San Siro, un aquilone che si arrende tra le antenne della televisione. L’artista della puntata di oggi è uno dei «ragazzi veri da quartieri genovesi», cosciente di essere incosciente. Uno dei ragazzi emarginati che prendevano le note e fumavano le aiuole. Ha visto sogni andare a cenere, ma in un mare di lava incandescente è riuscito a emergere perché dentro ha il fuoco. No, non è il diablo, è solo Mario. Il suo nome inizia con la lettera T, T come Tedua.

Il fiato sprecato ad imparare un mestiere, le notti passate a studiare la metrica e la tecnica «per farlo meglio di ogni collega e non far fottere Tedua», il tutto senza dimenticare la pancia. È di questo che racconta in “Bagagli (improvvisazione)”, uno struggente flusso di coscienza rap pop scritto un po’ di getto che canta ospite del Festival di Sanremo del 2025 da piazza Colombo – l’anno prima si era esibito dalla nave sulle note del tormentone “Hoe”, in cui duetta con Sfera Ebbasta. Un pezzo toccante con un testo schietto che ti sputa irruentemente addosso quello che è stato: l’infanzia trascorsa in affido in una Milano così diversa da quella della “Fashion week”, il ritorno a Genova, le difficoltà di un bambino «cresciuto nei viadotti dentro ai blocchi, da marmocchi in un riformatorio».

E come Tedua canta anche in “Jungle”, è per tutti i ragazzi del riformatorio, è per chi cresce da solo e per chi sta fuori dal coro che continua a fare musica. Si sente addosso la responsabilità di voler essere di ispirazione per chi lo segue ed è per questo che si scusa, sempre in quel brano toccante, dei cinque anni di attesa prima dell’ultimo disco, annunciato già da “2020 Freestyle” e poi bruscamente bloccato dalla pandemia: «E voglio essere un esempio anche per te ma in quegli anni con il Covid stavo fuori di me». Incapace di rimettersi in sesto, temporeggia con “Vita vera mixtape” e crea hype con “Vita vera mixtape: aspettando la Divina Commedia”, entrambi diretti artisticamente dal producer Chris Nolan.

A sostenerlo anche in questi momenti di difficoltà ci sono gli amici come Rkomi con cui duetta in “Colori”. È stato lui a dargli un tetto quando era solo un ragazzino ed è con lui, e il terzo inquilino Bresh, che diventa grande. Condividono tutto, soprattutto le ambizioni e l’indole da “Anime libere”, pezzo in cui duettano tutti e tre. Ma nei mixtape c’è spazio anche per Ghali e Dargen D’Amico in “Pour Toujurs”. Significativa per Mario è in particolare la figura di Dargen che, con il suo stile di scrittura musicale (una sorta di versione 2.0 dello stream of consciousness di Joyce), lo ispira talmente tanto da spingerlo a prendere il ritornello di una sua canzone e dargli una seconda vita nel singolo “Acqua (malpensandoti)”. Belli i mixtape, ma sono solo un aperitivo. Quello che tutti vogliono da lui è la cena, una cena che tarda ad arrivare. Lo chef sta cercando di cucinare, ci sono anche i camerieri già pronti per il servizio, ma un muro invalicabile di mattoni separa la cucina dalla sala. «Il mio futuro è di mattoni», canta in “In eterno”

E questi mattoni vanno abbattuti affinché la Commedia raggiunga tutti i tavoli del ristorante. Affinché arrivi ai clienti soddisfatti dagli antipasti e dal loro “Sapore”, titolo della hit del 2021 con cui le radio lo notano definitivamente e seconda collaborazione con Fedez dopo “Che cazzo ridi” di due anni prima, ma desiderosi di scoprire cosa c’è nel menù dopo le tartine di dantesca memoria dell’ep “Don’t Panic”, da “Inferno” a “Urla” fino a “Gironi”. «Sogno ad occhi aperti, è come il nuoto quando ti immergi e senti il vuoto sotto ai tuoi piedi», rappa Tedua in “Il fabbricante di chiavi”. E proprio quando i dannati sono lì lì per buttare giù il portone, Tedua trova finalmente le chiavi per abbattere i mattoni e a dicembre 2022 si parte per il viaggio negli inferi e poi su nel purgatorio con “Lo-fi for U”, un pezzo conscious hip hop con cui ringrazia uno ad un uno i colleghi che hanno contribuito alla sua crescita, dal produttore Charlie Charles al rapper Izi.

Pochi mesi dopo, a maggio, è la volta del singolo “Intro la Divina Commedia”, certificato con il disco di platino, e poi il boato. Il muro che crolla, i camerieri che si fanno largo tra i detriti con tutti i piatti. Lo chef è sopravvissuto al dolore, lo ha portato per ore e ora scivola come la pioggia sul giaccone: «Fanculo se ho 29 anni, se sono passati cinque anni, ho ancora quel fuoco». E il risultato di questo fuoco, alimentato dall’attesa che come si suol dire aumenta il desiderio, è il suo album fuori ora. È “La Divina Commedia” e nel giro di poche settimane viene certificata con il primo disco di platino a cui ne seguiranno molti altri per un totale, a oggi, di 400mila copie vendute. Trainato dal successo pop rock della radiofonica “Red Light”, in cui richiama il girone infernale dei lussuriosi, l’album si impone in classifica fino a diventare quello con la maggior permanenza in prima posizione di tutto il 2023.

Il disco segna la maturazione artistica di Tedua che non si accontenta più del genere che l’ha reso celebre, ma ingloba nel suo mondo anche le ballad con qualche accenno di R&B, ed è suddiviso in due parti. C’è l’inferno delle prime otto tracce: dal rap di “Paradiso artificiale” con Baby Gang e Kid Yugi in cui confessa di preferire le corna del diavolo alle ali e il pop di “Malamente” («Con i tagli sulla schiena, gli occhi rossi da fumera, nella bufera mi troverai») e il duetto con Salmo e Federica Abbate “Angelo all’inferno” fino a “Volgare” con Lazza. Spazio poi al purgatorio che prende il via tra i suoni di ambulanze e volanti nel duetto con Guè “Scala di Milano”. I testi si fanno via via più onesti e profondi fino a raggiungere il climax nella già citata “Bagagli (improvvisazione)”, in cui sembra voler mettere a tacere le critiche dei puristi del rap. 

«Sono quel ragazzo di Orange County, addosso ho ancora i drammi», canta infatti, riferendosi al suo primo disco trap “Orange County California” del 2017, anticipato – perché come sempre gli piace farsi attendere – da “Aspettando Orange County” del 2015 e “Orange County Mixtape” del 2016. In queste tracce ancora un po’ grezze, racconta gli anni della gioventù, il senso di rivalsa, la “Lezione” che gli insegna la strada. In “Pugile”, parla proprio della capacità di incassare che sviluppa “Step by Step” tra Cogoleto e Milano che nel suo cuore di ragazzino messo in affidamento e costretto a lasciare la sua casa, si trasformano in Chino e la Contea di Orange e lui si sente come Ryan Atwood della serie cult The O.C.

Tre parti nella Commedia, tre fasi della vita, tre album. C’è la street credibility del primo e lo stadio di passaggio del secondo. «È la fase adolescenziale, Mowgli ha fatto un album street dentro questa giungla. Ora siamo alla fase street-mainstream. Infine verrà quella mainstream», avvisa Mario all’uscita di “Mowgli” del 2018, il disco della giungla scritto con la Jeep sulla buca, definizione contenuta in “3 chances (dilla tutta)”. Ancora una volta, emerge una storyline che lega le canzoni una ad una e in questo caso è proprio la giungla, ambiente protagonista di pezzi come “Cucciolo d’uomo”, il singolo “La legge del più forte” e “Natura”. E la sua natura è la strada perché, come ricorda in “Vertigini”, è sempre importante ricordarsi da dove si viene anche se questo non toglie la possibilità di sperimentare.

Non toglie la possibilità di lasciarsi andare a qualcosa di più pop come fa in “Paradiso – La Divina Commedia Deluxe”, la riedizione uscita nella primavera del 2024, la parte conclusiva del suo viaggio nell’universo di Dante in cui compare finalmente “Beatrice”, si chiama così la hit che canta con Annalisa. Nei nuovi testi si capta un senso di chiusura del cerchio, in “Jolly Roger” con Izi, Disme, Bresh, Vaz Tè ci informa che ha conosciuto suo padre, quel padre assente che non c’è mai stato, senza cui ha imparato a fare tutto, anche a sbarbarsi. «Grazie a tutti quanti, oggi non c’è nessun’altra para in paradiso», si congeda così in “Angelo custode” con Angelina Mango. 

Mario pensa alle ali che ha spezzato per sentirsi realizzato, ai concerti visti dai tetti, alle auto rigate degli sbirri, alle risse tra quartieri, al buio della mente. Ma poi è riuscito a splendere perché forse c’è solo bisogno di un senso, di un segno improvviso per dire: “Okay, oggi sto un po’ in paradiso” e lui quel senso l’ha trovato. Sarà ciò che lo guiderà nel nuovo percorso musicale con in tasca la consapevolezza di non essere più soltanto il bambino al terzo anello di San Siro, ma l’uomo sul palco dell’Ippodromo di San Siro che ammalia con la sua arte decine di migliaia di spettatori.

Scritto da Francesco Costa
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