A tu per tu con con l’artista pugliese, in uscita con il suo singolo d’esordio “Niente è come previsto”
In un’epoca in cui i cuochi sono diventati le nuove rockstar, dove in tv sono presenti più programmi di cucina rispetto a format musicali, c’è chi con coraggio segue la propria indole per realizzare il suo sogno. La storia che vi raccontiamo oggi è quella di Damiano Mongiello, in arte Damian, cantante con un lungo trascorso da chef, che ha deciso di rimettersi in discussione per cercare di trasformare in mestiere la sua più grande passione: la musica. “Niente è come previsto” è il singolo che segna il suo debutto ufficiale, prodotto dall’etichetta indipendente Sonora. A un anno di distanza dalla sua partecipazione alle audizioni di X Factor, abbiamo raggiunto telefonicamente l’artista pugliese per approfondire la sua conoscenza, parlare dei suoi prossimi progetti futuri e analizzare l’attuale settore discografico, sempre più orientato verso il concetto di fast food e meno verso un certo tipo di cucina più ricercata.
Ciao Damiano, partiamo da “Niente è come previsto”, di fatto il tuo singolo d’esordio, cosa racconta?
«Questo singolo racconta la sofferenza che si prova quando finisce una storia d’amore, lasciando spazio alla libera interpretazione, infatti al suo interno parla di un tema sociale molto profondo, ovvero la problematica della violenza sulle donne. Quando termina un rapporto non si riesce ad accettarlo, spesso possono subentrare dinamiche che potrebbero sfociare nei terribili fatti di cronaca che quotidianamente invadono le testate giornalistiche. A volte l’uomo tende a perdere la propria coscienza, invece, proprio nei momenti di difficoltà dovrebbe sforzarsi di ritrovarla».
Hai affrontato con delicatezza la delicata problematica del femminicidio, non deve essere stato facile perché parlare di certi argomenti può rappresentare anche un’arma a doppio taglio. Hai sentito un po’ il peso e la responsabilità di un tema così importante?
«Molto, è un tema sempre difficile da affrontare che, secondo me, può essere declinato a qualsiasi tipo di aggressività, sia fisica che verbale nei confronti di chiunque, dai bambini agli anziani. Parlando di una storia d’amore il riferimento nello specifico è andato verso la violenza sulle donne, ma il mio disappunto riguarda il maltrattamento in generale dell’essere umano. A tal proposito abbiamo voluto lasciare libera interpretazione, ognuno può vederci ciò che vuole».
Secondo te, la musica e l’arte hanno ancora il potere di influenzare e smuovere le coscienze nell’attuale società?
«Si, credo proprio di sì, l’arte è un punto di forza pazzesco, rappresenta una rinascita per molte persone, sono fermamente convinto che una semplice canzone possa salvare una vita. Non bisogna mai smettere di trasmettere emozioni, anche sfiorando temi sociali perché i brani di spessore aiutano la gente, nel mio caso la musica ha rappresentato una sorta di miracolo».
Chi ha collaborato con te in questo brano?
«Questo pezzo è stato realizzato a quattro mani con Francesco Cacciapaglia, che lo ha anche prodotto, mentre l’arrangiamento è stato curato da Francesco Loporchio. Mi sono trovato molto bene a lavorare con loro, insieme abbiamo ricercato suoni, messo insieme le idee e trovato il giusto abito per questo genere di canzoni, dirigendoci verso uno stile pop-ambient».
A livello musicale pensi di essere riuscito ad esprimerti al meglio? Credi che questo stile sia adatto alla tua vocalità e sia il giusto biglietto da visita per presentarti al grande pubblico?
«Penso proprio di sì, questo sound è adatto alla mia vocalità, ma potrei esprimermi anche in altre vesti, perché dal punto di vista musicale ho ancora molto da scoprire e tanto da sperimentare. Stiamo lavorando a diverse soluzioni e a numerosi brani, tra cui il prossimo singolo in uscita per l’estate che virerà verso territori pop-dance. Essendomi messo alla prova in passato con numerose cover, la mia vocalità si presta a differenti forme musicali».
Hai un passato da chef, cucinare e comporre musica sono due nobili forme d’espressione, ti senti più a tuo agio tra i fornelli o in uno studio di registrazione?
«Ho fatto per tanti anni lo chef con passione, ma ho sempre avuto la musica nel cuore. E’ arrivato un determinato momento della mia vita in cui ho detto “basta”, ho voluto prendere una pausa dalla mia professione per dedicarmi completamente a quello che amo. Canto da sempre, anche se ma non ho mai pubblicato niente di mio, ad un certo punto ho avvertito l’esigenza e la necessità di farlo. Le considero entrambe due vocazioni che viaggiano parallelamente di pari passo, fanno parte di me e non potrei mai rinunciare né all’una né all’altra. Mi mi sono preso del tempo per capire cosa succederà in futuro, ovviamente ho i piedi per terra perché so quanto sia difficile questo mondo, ma ci sto provando con tutta l’umiltà e le mie forze».
Meglio una stella Michelin o il primo premio al Festival di Sanremo?
«Con il cuore ti rispondo il Festival di Sanremo, anche solo riuscire un giorno a calcare il palco dell’Ariston sarebbe un sogno, al di là della vittoria. La cucina mi appartiene da sempre, ma la musica mi regala quel qualcosa in più che non riesco nemmeno a spiegarti per bene, forse da quando se n’é andato mio padre è cambiato per me qualcosa, ogni volta che canto mi emoziono tanto rivolgendogli un pensiero. Lui è sempre stato un grande appassionato di Sanremo, quindi tocchi una corda sensibile della mia anima. Con tutto il rispetto per la guida Michelin, il Festival per me sarebbe il massimo».
Quali sono gli aspetti che più ti affascinano nella composizione di una canzone e nella preparazione di un piatto?
«Gli aspetti più belli sono sicuramente le emozioni che avverto quando costruisco qualcosa, quando metto in moto il mio lato artistico, quando gioco con le parole o con gli ingredienti, questo può accadere sia quando compongo una canzone, sia quando preparo un piatto. L’obiettivo è sempre quello di lasciare all’ascoltatore e all’assaggiatore (sorride, ndr) la massima libertà di interpretazione, mi affascina il pensiero che ognuno possa sentire e assaporare ciò di cui ha bisogno».
A chi ti ispiri? Chi sono i cantanti e gli chef a cui fai riferimento?
«Amo molto la musica in generale è ammiro diversi artisti, i primi riferimenti che mi vengono in mente sono Francesco Renga, Alex Baroni, Anna Oxa, Mango e Lucio Dalla, poi vado molto a canzoni, ad esempio adoro “Ogni volta” di Vasco Rossi, che non escludo di incidere alla mia maniera prima o poi. Come chef mi reputo un fan di Antonino Cannavacciuolo, mi piace la sua cucina mediterranea, ma non posso non citare anche il grande Gualtiero Marchesi che ci ha da poco lasciati».
In effetti il Maestro Marchesi è stato il primo della sua epoca ad intuire e rivoluzionare il concetto di ristorazione in Italia, fino a quel momento vigeva il regime dell’abbondanza, i piatti dovevano saziare, mentre lui ha cominciato a togliere con maggiore cura al dettaglio e alla selezione degli ingredienti, meno quantità e più qualità, cosa che ci aspettiamo avvenga anche nella musica. Quale potrebbe essere “la ricetta” per risanare l’industria discografica?
«Guarda quello che è alla base di qualsiasi buona cucina: la semplicità, intesa come essere sempre se stessi e non omologarsi a tutto il resto, fare quello che si ama davvero. L’arte nasce da dentro ognuno di noi, quello che noi proviamo non può essere uguale a qualcosa che già esiste, perché ognuno di noi è unico a suo modo. Onestamente mi reputo originale in quello che faccio, perché non copio nessuno, sto semplicemente esprimendo me stesso, in ogni interpretazione ci metto la mia anima e questo mi rende unico. In parte mi sento rappresentato dall’attuale scenario musicale italiano, ma non del tutto, diciamo che non mi riconosco in tutto quello che si sente oggi, mi riferisco in particolare a personaggi che veicolano messaggi sbagliati, soprattutto tra i più giovani. Sicuramente grande responsabilità e del sistema, più corrotto e difficile rispetto al passato, tutto questo va a discapito della meritocrazia e si finisce per idolatrare esempi sbagliati».
Se dovessimo utilizzare un termine culinario, la tua musica che tipo di cucina sarebbe? Tradizionale, regionale, macrobiotica, vegetariana, vegana, crudista, fusion, nouvelle cuisine…?
«Direi gourmet, perché musicalmente mi reputo molto versatile, posso cantare di tutto, il mio obiettivo è quello di sorprendermi e di sorprendere il pubblico attraverso le mie performance, non potrei mai relegarmi ad un unico genere e fare sempre le stesse identiche cose, proprio in quel tipo di cucina fantasiosa che mescola e lega ingredienti apparentemente diversi tra loro. Per essere definito gourmet un piatto oggi deve rispettare tutta una serie di caratteristiche, dall’acidità alla sapidità, passando per la croccantezza. Attraverso la musica vorrei riuscire a dosare gli elementi, creando lo stesso tipo di equilibrio e di armonia tipiche della mia cucina».
Per concludere, cosa vuoi fare da grande? In Italia siamo soliti etichettare, o fai il cantante o fai il cuoco, se sei un attore o fai cinema o fai il teatro, non viene poi tanto concepita la poliedricità. Quindi, se proprio dovessi scegliere: cantare o spadellare?
«Quello che dici è vero, spesso si subisce questa sorta di pregiudizio, soprattutto nel nostro Paese, mentre in America è normale saper fare più cose e dedicarsi ad attività anche diverse. Perché bisogna accontentarsi e reprimere le nostre attitudini? Ognuno di noi ha dentro un universo di passioni, personalmente non mi reputo soltanto uno chef, penso di poter dare molto anche attraverso la musica. Per rispondere alla tua domanda: fino a questo momento ho spadellato per gli altri e cantato per me stesso, ecco… da adesso in poi voglio poter fare l’esatto opposto».
Nico Donvito
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