A tu per tu con il giovane rapper, in uscita con il singolo “Samurai” realizzato in coppia con Raf
E’ al suo debutto discografico Samuele Riefoli, alias D’Art, artista classe 2000, rivelazione della nuova scena hip hop. Nel suo sangue scorrono le sette note e proprio con suo padre ha deciso di cominciare a fare sul serio, “Samurai” è il singolo d’esordio che lo vede duettare con Raf in un confronto generazionale promosso da Ringo con l’iniziativa “Insieme si vince!“, volto a unire età e mondi artistici apparentemente distanti. Un progetto che ha coinvolto anche Max Pezzali e Gionnyscandal (con l’inedito “Siamo quel che siamo”) e Nek e Roshelle (con il brano “Dove inizia il cielo”). Attraverso l’incontro di realtà differenti, la musica si fa linguaggio universale.
Ciao Samuele, comincio col chiederti com’è nata “Samurai” e l’idea di questa collaborazione padre-figlio?
«La canzone “Samurai” è nata quando la Ringo ha contattato mio padre per realizzare un pezzo per questo progetto, lui ha chiesto di poterlo fare con me, all’inizio non ci credevo neanche. Con il suo amico e bassista Valerio ha composto la melodia principale, per poi scrivere il testo insieme, io la mia parte e lui la sua, come se fosse un dialogo, io parlo dei miei problemi e lui nel ritornello mi risponde».
Come siete riusciti ad unire questi due mondi apparentemente distanti?
«Papà è stato bravissimo con la base perché è riuscito ad unire i nostri due mondi musicali, se ci fai caso nelle mie strofe sia il ritmo che le percussioni sono più tendenti al rap, invece nel suo inciso il sound diventa più reggaeton. È stato bravo perché per me è stato semplice rapparci sopra, mi sono trovato completamente a mio agio».
Quello di mettere a confronto generazioni diverse è un po’ lo spirito della nuova campagna “Ringo – Insieme si vince!”, quali sono gli aspetti che più ti affascinano di questa iniziativa?
«Considero questa iniziativa bellissima perché ci sono discussioni aperte, ma anche tanti punti di incontro tra le diverse generazioni musicali, magari una dice all’altra che fa schifo (ride, ndr), a me capita spesso che gli adulti non capiscano la musica di oggi, però era uguale anche prima, è sempre stato così, probabilmente i loro stessi genitori pensavano le stesse cose. La Ringo è riuscita ad unire queste due generazioni anche con Max Pezzali e Gionnyscandal, Nek e Roshelle, riuscendo a fare una sorta di trait d’union tra i differenti stili».
Le collaborazioni sono sempre motivo di scambio, cosa hai imparato da questa esperienza e, viceversa, cosa pensi di essere riuscito a trasmettere a lui?
«Io ho imparato molto sul piano della produzione, tipo ad utilizzare meglio “Logic”, un programma musicale, come perfezionare tutti i suoni, le regolazioni diverse, diciamo che ho imparato tanto a livello tecnico. Invece, mio padre ha scoperto tante cose che magari nella mia strofa non capiva, cose che vanno oggi e che piacciono alla mia generazione come, ad esempio, avere un po’ di autotune accesso e una serie di consigli che magari ho potuto dargli anch’io da questo punto di vista».
Venendo a te, il tuo è un genere completamente diverso, anche se c’è da dire che Raf è stato uno dei primi in Italia a giocare con l’hip hop. Come ti sei avvicinato al rap e alla trap?
«Il rap mi piace da tantissimi anni, ho cominciato da piccolo, forse l’influenza più grande è stato Eminem, quando ho visto per la prima volta il suo film “8 Mile”, ricordo che mi era piaciuto un sacco, così mi sono messo ad approfondire la conoscenza di tutte le sue canzoni. Da lì ho imparato ad usare un po’ “GarageBand”, per poi iniziare a comporre con gli amici, mettevamo le canzoni su YouTube con le basi già predefinite, fino a quando ho imparato a suonare la chitarra, questo strumento mi ha spronato a continuare».
Quali sono gli artisti che segui e che ti piacciono particolarmente?
«In questo momento tra gli artisti italiani che mi piacciono c’è The Supreme, anche se è un po’ scontato dirlo, ma lo reputo davvero forte, sta facendo numeri da record e, secondo me, è davvero un genio. Poi apprezzo molto Lazza, uno dei miei preferiti è sempre stato Mezzosangue, anche se è diverso dagli altri che ti ho citato, apprezzo molto il suo modo di scrivere, i suoi testi mi fanno emozionare, riflettere e pensare a tante cose. All’estero ce ne sono tanti che mi piacciono, ad esempio Post Malone, che non definisco un artista trap, bensì un cantautore versatile, lo reputo molto bravo a cantare e poi ha delle basi fortissime».
A cosa si deve il tuo nome d’arte?
«Deriva da D’Artagnan, il mio soprannome, da quando ho tredici anni (sorride, ndr), mi erano cominciati a crescere i baffi e il pizzetto, tutti i miei amici mi chiamavano scherzando così. Da quel momento non l’ho mai cambiato, ho scelto di abbreviarlo per lasciarlo solo con quattro lettere e richiamare, di conseguenza, la parola “arte”».
Quando sei nato tuo papà ha scritto per te “Iperbole”, canzone meravigliosa, quindi non posso non chiederti: ci credi o no in questo futuro da difendere? Ovvero come te lo immagini il tuo domani?
«Sì, ci credo. Sai, sono un sostenitore di Greta Thunberg, seguo molto l’ecologia, infatti sto cercando di cambiare la mia dieta e di mangiare meno carne possibile, compresi i derivati. Quando posso cerco sempre di andare a questo tipo di raduni, credo che sia un argomento importante e da sostenere, perché parliamo di problematiche urgenti da risolvere. Non so se siamo in tempo ancora, ma noi giovani possiamo provare a fare qualcosa, anzi dobbiamo».
Invece, come te lo immagini il tuo domani?
«Il mio futuro non me lo immagino in positivo, soprattutto se confrontiamo l’epoca di oggi con i famosi anni ’80 che cantava papà. Non sono pessimista, ma tutto sembra ripetersi, ci sono situazioni strane, anche politiche, non solo in Italia, bensì in tutto il mondo. Essendo una delle più belle forme d’arte, la musica è un modo per lanciare un messaggio, come fa Greta attraverso i suoi discorsi, credo si possa tornare a smuovere le coscienze anche attraverso le canzoni. La musica ha sempre avuto un grande potere, per questo motivo la considero l’unica certezza nel mio domani».
Per concludere, in che direzione andrà la tua musica?
«Attualmente sto lavorando su cinque sei pezzi che usciranno a marzo e faranno parte del mio primo EP, questa volta mio padre non ci sarà (sorride, ndr), o meglio sicuramente farà da supervisore, ma sarà un progetto solista, ho bisogno di prendere la mia strada. E’ quasi tutto pronto, so esattamente quello che devo fare e dove voglio andare».
Nico Donvito
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