venerdì, Marzo 29, 2024

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Davide De Marinis: “Stringimi più forte è il manifesto di quello che sono oggi” – INTERVISTA

L’artista milanese ripercorre i momenti più belli della sua carriera, dal tormentone estivo “Troppo bella” al successo sanremese di “Chiedi quello che vuoi”.

Si intitola “Stringimi più forte” il nuovo singolo di Davide De Marinis, cantautore classe ’71 che si appresta a pubblicare il suo quinto album in studio, a undici anni di distanza dal precedente lavoro intitolato “Come da 2 lunedì”. Dopo aver pubblicato diversi singoli nel corso degli ultimi anni, l’artista è tornato alle origini, a quelle sonorità spensierate e romantiche espresse in “Troppo bella”, il suo brano d’esordio che lo ha introdotto nel mercato discografico, diventando una vera e propria hit dell’estate 1999.

Ciao Davide, partiamo dal tuo ultimo singolo “Stringimi più forte”, com’è nato e cosa rappresenta per te questa canzone?

«Rappresenta una sorta di invito a riscoprire il valore di un abbraccio, una canzone che va bene per tutte le età, le situazioni e le occasioni. E’ nata durante una passeggiata in bicicletta per le strade di Milano, ho iniziato a canticchiare alcune parti che sono poi rimaste melodicamente invariate. Riconosco una canzone valida quando mi accorgo che mi rimane in testa».

Preludio di un nuovo album? Anche se negli ultimi anni ti sei dedicato principalmente alla realizzazione di singoli, come fanno ormai molti artisti.

«Realizzare un album è sempre un’impresa impegnativa, con il produttore artistico Andrea Fresu e l’etichetta ‘Lungomare’ abbiamo deciso di provarci e l’uscita è prevista per l’anno nuovo. Sicuramente usciranno altri singoli prima, come ho sempre fatto negli ultimi anni. Per ora siamo concentrati sulla promozione di ‘Stringimi più forte’ e del remix ‘Stringimi più che puoi’».

Una canzone dalle forti sonorità estive che ci riporta necessariamente all’estate ’99, al tuo singolo d’esordio “Troppo bella”, che ricordano tutti tranne i millennials, ma solo perché non erano nati. Che ricordo hai di quel periodo?

«Un ricordo, direi, troppo bello. Essendo più giovane, avevo un altro tipo di approccio, per me era tutto nuovo e affacciarmi al grande pubblico con un successo del genere, che inizialmente era stato scartato dalla mia vecchia casa discografica, per me è stata un’emozione enorme. Io scrivo da sempre e, di conseguenza, sentire passare una mia canzone in radio è stato indescrivibile».

Perdonami se ti correggo, ma quella canzone non veniva semplicemente passata in radio, in realtà, in quel periodo passavano solo quella…!

«E’ stata prima in classifica per quattro mesi, ha avuto indubbiamente un’esposizione eccezionale. C’erano ancora le richieste radiofoniche, i canali televisivi dove mandavi il messaggino per vedere il videoclip, era davvero un’altra epoca, anche se in realtà sono passati appena diciotto anni, credo che il successo sia davvero da attribuire al consenso del pubblico che, in fondo, non ha mai dimenticato quella canzone e questo mi rende molto orgoglioso».

Sei stato protagonista per tre estati di seguito del Festivalbar, fai parte anche tu dei nostalgici di questa manifestazione?

«Il Festivalbar ha rappresentato per me un’altra bella occasione, oltre che con ‘Troppo bella’ ho partecipato anche con ‘Gino’ e ‘La pancia’, ho davvero dei bei ricordi. Oggi è stato sostituito da altri programmi, migliori o peggiori non conta, l’importante è che ci siano delle vetrine dove potersi esibire e portare la propria musica. Avendo vissuto appieno quell’epoca lì, onestamente, sento la mancanza di quel contenitore. In compenso è rimasto Sanremo, dai».

Infatti, dopo il grande successo dell’estate arrivi nel 2000 sul palco del Teatro Ariston con “Chiedi quello che vuoi”, cosa ti ha lasciato questa esperienza? 

«In piazza al Festivalbar ho vissuto momenti fantastici, ma il palco che ti fa tremare davvero le gambe resta quello di Sanremo. Ricordo la salivazione azzerata e le mani sudate, sensazioni che non ho mai più riprovato nella mia vita. Tante emozioni ma anche molta ma molta cacarella, per usare un po’ di francesismo». 

In quell’occasione hai incontrato il Maestro Pavarotti, conduttore della kermesse insieme a Fabio Fazio. In questi giorni è ricordato in occasione del decennale della sua scomparsa, anche se per il suo talento e tutto ciò che ci ha lasciato non è mai abbastanza. Che ricordo hai di lui?

«Ci siamo salutati velocemente, un breve scambio di battute, un fugace in bocca al lupo. Ho avuto comunque una sensazione molto positiva, anche dietro le quinte era sempre molto solare, nonostante noi cantanti fossimo tutti molto tesi, non mancava di regalare un sorriso a chiunque in quel momento ne avesse bisogno».

I tempi sono decisamente cambiati, all’epoca nonostante l’incredibile riscontro di ‘Troppo bella’, in termini sia di consensi che di vendite, sei stato ammesso nelle Nuove Proposte, mentre oggi basta mezzo disco d’oro per approdare nei Big…

«Sinceramente, con le regole di oggi, credo che sarei andato nei Big, ma guarda, in quegli anni anche noi giovani abbiamo avuto la nostra bella fetta di visibilità, sono stato molto fortunato esibendomi tra i primi in scaletta, così da farmi notare da più spettatori possibili, che poi l’obiettivo è sempre quello. Non importa se nei Big o nelle Nuove Proposte, l’importante è esserci».

Ricordo nel 2011 una piccola (ma simpatica) polemica in seguito ad una tua esclusione…

«L’episodio a cui ti riferisci è la canzone ‘Morandi Morandi’, un brano di protesta che ho scritto d’istinto in dieci minuti dopo che la commissione non mi ha selezionato con una motivazione che non riesco tutt’oggi ad accettare, una roba tipo ‘De Marinis scrivi bene, il pezzo è bello, ma non sei abbastanza famoso per…’. Un brano che ha fatto un pochettino di rumore, siamo andati a cantarla all’Ariston durante la conferenza stampa di presentazione del Festival e, devo ammettere, che lo stesso Gianni si è anche parecchio divertito».

Nei Big ci sei comunque in qualche modo stato due volte come autore, nel ’97 con il pezzo dei Cattivi pensieri “Quello che sento” e nel 2008 co-firmando con Toto Cutugno il brano “Un falco chiuso in gabbia”. Ti piacerebbe ritornarci e… in quale veste?

«Beh, cantante! Per carità, mi piace moltissimo scrivere per altri e continuo a farlo, ma mi sento e nasco cantante, è la mia indole naturale, cantare e comunicare sul palco mi diverte. Le cose che compongo sono sempre autobiografiche, nascono dall’idea che a cantarle sia io e poi, in alcuni casi, vengono adattate per altri colleghi. Dipendesse da me a Sanremo ci tornerei domani, purtroppo ci sono stati dei sistemi che non mi hanno permesso di ritornare nonostante, e lo dico senza problemi, abbia proposto in seguito delle belle canzoni».

Da cosa trai principalmente ispirazione per le tue produzioni? 

«Sostanzialmente traggo spunto dalle cose che vivo, dalle situazioni più complicate a quelle più semplici, tipo entrare in un negozio e innamorarmi perdutamente della panettiera, come ho raccontato ad esempio in un pezzo che si chiamava ‘Vuoi far l’amore con me’. Mi sento abbastanza in linea con tutti gli altri miei colleghi che scrivono canzoni, credo che l’ispirazione migliore la si trae dalla quotidianità, l’abitudine di andare al bar ogni mattina e concedermi il lusso di prendere un caffè leggendo il giornale, ascoltando qua e là le opinioni delle persone, scrutando tutto ciò che mi passa davanti agli occhi e, soprattutto, che arriva alle mie orecchie». 

Nelle tue parole noto grande serenità, tutta la passione che nutri per la musica viene fuori prepotentemente e credo che questo sia il vero segreto per chi fa il tuo mestiere, privilegiare la sostanza e non la dimensione. D’altra parte è evidente agli occhi di tutti che per molti artisti il successo discografico sia un qualcosa di difficile da mantenere nel tempo, soprattutto oggi. Data la tua onestà intellettuale cosa credi sia andato storto nel corso della tua carriera?

«Mah, guarda, non sono quasi mai gli artisti a cambiare, bensì le situazioni. Il destino di chi fa musica non è mai un cammino facile, oggi più di ieri. Avere a che fare con il mondo della discografia è un po’ come andare sulle montagne russe, si sale e si scende. Questo non alleggerisce la voglia di far sentire in grande stile e a più persone possibili la propria musica, ma è un dato di fatto, una fotografia che da qualunque parte la guardi resta sempre la stessa. Io scrivo a prescindere dal fatto che quelle parole vengano incise, lo faccio perché è una mia necessità, fa parte del mio modo di essere, da sempre. Questa credo che, come dice De Crescenzo, sia la vera differenza tra l’essere e il non essere».

Alla luce di tutto quello che ci siamo detti, per concludere, quale messaggio vorresti trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la tua musica?

«Ce ne sono sicuramente tanti, la prima cosa che mi viene in mente è l’intimità, il fatto che la musica possa alleggerire tutte le difficoltà che stiamo vivendo in questo ultimo periodo. Mi piace l’idea che le mie canzoni possano dare positività ed emozionare, o almeno questo è che quello che cerco di fare. Perché vedi, alla fine è questo che conta, sapere che qualcuno ha apprezzato quello che ho scritto e con fatica sono riuscito a realizzare, più che il successo è questa la vera grande soddisfazione».

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Nico Donvito

Appassionato di scrittura, consumatore seriale di musica italiana e spettatore interessato di qualsiasi forma di intrattenimento. Innamorato della vita e della propria città (Milano), ma al tempo stesso viaggiatore incallito e fantasista per vocazione.
Nico Donvito
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