A tu per tu con il talentuoso cantautore palermitano, in uscita con il suo nuovo disco intitolato “fusion.”
A qualche mese di distanza dalla nostra precedente chiacchierata, ritroviamo con piacere Davide Shorty, artista che abbiamo imparato a conoscere nel corso dell’ultima edizione del Festival di Sanremo, dove si è imposto al secondo posto della sezione Nuove Proposte con il brano “Regina“. Si intitola “fusion.“ il suo nuovo progetto discografico, rilasciato per Totally Imported/TheOrchard a partire dallo scorso 30 aprile.
Ciao Davide, bentrovato. Partiamo da “fusion.”, scritto rigorosamente tutto in minuscolo e con il punto finale. A cosa si deve la scelta di questo titolo?
«Il titolo viene da una frase della da uno dei giudici di “AmaSanremo”, mi è stato detto “sei fusion”, quasi come una critica. Ho riflettuto sul fatto che, pur non facendo fusion come genere musicale, il mio stile può essere la fusione di tanti generi e culture diverse. Ho deciso di mantenerlo minuscolo perchè mi trasmette un senso di pacatezza, di rilassatezza, mentre il punto sottolinea che si tratti di qualcosa di categorico, senza spiegazioni e senza girarci troppo intorno».
Tante e numerose le collaborazioni, c’è stato un criterio per la selezione di tutti questi ospiti cantanti e musicisti?
«Inizialmente avevo pensato di non inserire troppe collaborazioni, se non un paio al massimo. Quando, però, l’universo ti da sei segnali, secondo me, bisogna seguirli. In diverse occasioni si è presentata l’opportunità di collaborare con altri colleghi, per quanto mi riguarda mi sono semplicemente limitato ad ascoltare questi segni, in più parliamo di amici, di persone che stimo umanamente, oltre che artisticamente».
Musicalmente parlando, questo è un disco suonato dall’inizio alla fine. In un mondo sempre più preconfezionato e digitalizzato, a cosa si deve questa volontà di preservare l’istinto analogico?
«E’ semplicemente un bisogno, io faccio la musica che mi piace fare. Mi spiace che non ci siano in giro tanti artisti che danno priorità alla musica suonata, alla preparazione individuale di ogni strumentista, alla libertà espressiva. Per quanto mi riguarda, posso solo cercare di dare il mio personale contributo e di fare musica al 100% delle mie possibilità. Nasce da un bisogno di fare buona musica e di aspirare a una versione migliore di noi stessi, sia come esseri umani ma anche come artisti».
Per concludere, c’è una particolare lezione che senti di aver imparato dalla musica fino ad oggi?
«Di non mettersi mai in competizione con gli altri, ma sempre e solo con ste stessi. Questa è la più grande lezione che ho imparato, lasciarsi ispirare dagli altri e non temerli, ascoltare punti di vista differenti, idee diverse che possono indurci a pensare qualcosa di nostro. La condivisione è sempre uno scambio».
Nico Donvito
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