mercoledì 30 Ottobre 2024

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!DEA: “La mia è musica libera” – INTERVISTA

A tu per tu con !DEA, in occasione dell’uscita del singolo “Gerda”. La nostra intervista al giovane artista pugliese

Tempo di nuova musica per Matteo Spadavecchia, in arte !DEA, al suo ritorno sulla scena musicale con il singolo “Gerda”, fuori per Mitridate Records a partire dallo scorso 18 ottobre. !DEA Intervista

Il brano segna l’inizio di un nuovo capitolo della storia musicale dell’artista che, dopo aver militato nei RAFT e participato alla quindicesima edizione di Amici inizia così il suo percorso solista.

“Gerda” segna l’inizio del tuo percorso da solista. Cosa rappresentano per te questo pezzo e questa nuova fase?

«Il brano rappresenta per me l’inizio di una nuova forma di scrittura, sempre in rima ma meno legata ai canoni dello street rap, una rinascita e una scoperta di me stesso. Attraverso la musica io voglio far cultura e “GERDA” è un brano che vuole far riflettere, vuole far aprire gli occhi. È il compito di ogni artista, d’altronde, fermarsi e prendersi in carico la responsabilità di divulgare un messaggio nella maniera più fruibile per il pubblico». 

Il brano è ispirato alla vita e alla tragica scomparsa di Gerda Taro. Cosa ti ha colpito in modo particolare della sua storia?

«Gerda” è un brano che trae ispirazione dalla storia della fotografa di guerra Gerda Taro, morta nel 1937 a soli 26 anni durante un conflitto bellico. Tramite gli occhi del suo amato, Robert Capa, inerme e paralizzato al pensiero di non poter più riabbracciare la sua amata, si evidenzia il sentimento di odio e il ripudio alla violenza che i due giovani condannano tramite i loro scatti fotografici. Il brano sottolinea quindi la brutalità e l’orrore della guerra ed è figlio del momento storico che stiamo attraversando. L’immagine di Gerda Taro è oggi universalmente simbolo di pace, resistenza, monito di rinascita e riscatto sociale per chi crede negli ideali di giustizia e libertà: è questo il messaggio che vorrei arrivasse agli ascoltatori, non scordarsi dell’importanza della parola “pace”!». 

A livello musicale, che tipo di lavoro c’è stato dietro la costruzione del sound?

«Come per tutti i brani, parto sempre dalla produzione della base musicale (beat). In studio con Mero, il mio producer, abbiamo inizialmente dato vita ad una strumentale molto complessa e originale, assolutamente al difuori dello standard di scrittura al quale sono abituato. Questo ha reso non poco complesso l’approccio al brano e non nascondo di aver pensato più e più volte di “scartare temporaneamente” la base per concentrarmi su altro. Ma non potevo non lasciarla andare! Volevo dire la mia su quello che stiamo indirettamente vivendo: la situazione in Palestina, le “guerre silenziose” che nessuno conosce, la politica italiana…tutto ciò trovando una mia chiave di lettura. Necessitavo di un tramite, una storia per fruibile il messaggio e allo stesso tempo cercar di fare cultura, perché chi fa arte sa di avere delle responsabilità nei confronti degli spettatori. Da qui nasce “il link” con Gerda Taro e la sua incredibile storia». 

Dopo anni di esperienza con il gruppo RAFT, quali sono le principali differenze che noti da solista?

«La quotidianità della sala prove, il confronto di gruppo e le trasferte: questi sono gli aspetti che più mi mancano della vita di una band. Dal punto di vista compositivo invece, posso dire che nulla o quasi è cambiato; l’autonomia di scrittura c’è sempre stata, sia in band che ovviamente come !DEA. I RAFT sono stati il mio primo grande progetto, grazie ai ragazzi posso dire di esser maturato come persona e soprattutto come musicista, sarò loro sempre grato. Il risultato dei nostri sforzi si è concretizzato con il primo album “Fuoricorso”, disponibile su SoundCloud ed altre piattaforme. Uno dei lavori meglio riusciti della mia carriera musicale». 

Come vedi la scena musicale attuale in Italia, in cosa ti senti rappresentato e in cosa no?

«Vedo che è sempre più difficile farsi spazio in maniera genuina in un mercato in cui non contano le idee ma il personaggio. Io voglio proseguire per la mia strada, non mi interessa se dentro o fuori da quella che vien definita scena. La mia è musica libera, non si deve legare a niente e nessuno. Se per un ascoltatore il sound è rap, vorrà dire che sarò un rapper. Se per qualcuno suona pop, sarò pop. Non mi interessa essere catalogato, mi interessa crescere e divertirmi». 

Per concludere, c’è un tema ricorrente nelle tue canzoni che speri di esplorare ulteriormente in futuro?

«Il tema deve essere la genuinità: cercare di essere trasparenti ed onesti con l’ascoltatore, farlo riflettere indipendentemente dal tema, creare in lui dei punti di domanda e spingerlo alla ricerca. Questa sarebbe la mia vittoria più grande». 
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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.