Delta V: “La musica è una terapia” – INTERVISTA

Delta V

A tu per tu con i Delta V che si raccontano in occasione dell’uscita dell’album “In fatti ostili”, disponibile a partire dallo scorso venerdì 17 ottobre. La nostra intervista alla band

A cinque anni di distanza da “Heimat”, i Delta V pubblicano il loro settimo album di inediti, “In fatti ostili” (Universal Music Italia), disponibile dallo scorso 17 ottobre nei formati fisico e digitale. Un progetto denso, riflessivo, segnato da un lungo processo creativo iniziato durante il lockdown e completato nell’arco di un lustro che, come loro stessi raccontano, “sembra durato vent’anni”.

Il disco affronta il tema dell’ostilità, quella percepita nel mondo e quella generata nel quotidiano, e lo fa con la cifra stilistica che ha sempre contraddistinto la band: un perfetto equilibrio tra parole e suoni, con l’elettronica ancora una volta protagonista, ma trattata con un approccio analogico e istintivo. Undici canzoni che riflettono la trasformazione culturale, urbana, sociale e politica del presente, tra cui spiccano i singoli “Nazisti dell’Illinois” e “Regole a Milano”.

Prodotto da Paolo Gozzetti e Roberto Vernetti, primo storico produttore del gruppo, In Fatti Ostili è anche il punto di partenza per un nuovo tour, che vedrà Carlo BertottiFlavio FerriMarti, insieme a Nicola Manzan e Simone Filippi, sui palchi di tutta Italia con uno spettacolo immersivo, contemporaneo e potente. Li abbiamo incontrati per farci raccontare come è nato questo nuovo lavoro, cosa significa oggi per loro fare musica e cosa hanno imparato nei loro trent’anni di carriera.

I Delta V presentano il disco “In fatti ostili”, l’intervista

Prima di entrare nel merito e nei dettagli del vostro nuovo album, partirei da una panoramica generale, chiedendovi come si è svolto il processo creativo di questo lavoro?

«Innanzitutto è stato un processo molto lungo, ci abbiamo messo cinque anni. Era il tempo giusto, quello che ci serviva, quindi era doveroso concedercelo. Quando si hanno tante cose da dire, vanno messe a fuoco e in fila per bene. Sono stati anni molto densi. È un disco la cui gestazione è iniziata durante il periodo del Covid, quindi ha attraversato tante fasi. È un disco che parla del quotidiano e del mondo, delle relazioni con gli altri».

A proposito del titolo, mi incuriosisce chiedervi com’è nato e che significato attribuite oggi alla parola “ostilità”?

«Ci siamo interrogati a lungo. La scelta del titolo è stata sofferta, ma alla fine “In fatti ostili” ci è sembrata la formula che racconta bene il momento che stiamo vivendo. È un periodo fatto di ostilità, e infatti siamo diventati ostili. Reagiamo indurendoci. Siamo ostili anche nei confronti di noi stessi, della politica e della sua assenza. E anche verso un certo modo di intendere la musica, che oggi è spesso solo intrattenimento. Ecco, siamo ostili anche a questo».

Avete detto che questo album è frutto di un lavoro lungo cinque anni. Un tempo frenetico e dilatato, tra pandemia, tecnologia, eventi globali. Cosa vi ha ispirato e cosa vi ha frenato?

«Il quotidiano, il succedersi periodico delle cose. Il fatto che noi ne siamo testimoni. Ma è una cronaca della vita di tutti i giorni che si riflette in ciò che ci accade intorno. Sì, è un racconto della nostra visuale delle cose, delle vite degli altri. La tracklist non è cronologica ma costruita con brani propedeutici all’ascolto, imprescindibili. “Essere migliori”, ad esempio, è stato uno dei primi scritti ed è rimasto intatto, una sorta di monito».

Una cifra dei Delta V riguarda da sempre l’equilibrio tra componente sonora e testuale. Che tipo di lavoro c’è stato stavolta in particolare?

«In questo disco il bilanciamento si è un po’ sovvertito: le parole hanno preso il sopravvento, si sono fatte largo. Avevamo tante cose da dire e non volevamo sacrificarle. La nostra matrice sonora ormai è chiara, chi ci segue la conosce. Ma abbiamo anche “violentato” le melodie per far spazio ai pensieri. La forma canzone si è adattata alle parole».

Dal punto di vista musicale, l’elettronica è nuovamente centrale ma con un approccio analogico. Che tipo di ricerca c’è stata, soprattutto nel dosaggio?

«Le canzoni nascono in maniera molto naturale, partendo dalle armonie. L’elettronica arriva dopo, è come un chiodo che fissa l’architrave della canzone. In questo album abbiamo deciso di non quantizzare nulla. Volevamo mantenere imperfezioni coerenti con il tono lirico dei testi. La musica doveva essere imperfetta come le parole».

Avete raccontato che certe “sporcature” sono rimaste volutamente. È una scelta legata anche all’intelligenza artificiale che potrebbe stravolgere tutto?

«Noi non usiamo l’intelligenza artificiale, facciamo musica come quando abbiamo iniziato. Usiamo la nostra sensibilità per tradurre i pensieri. L’IA è affascinante, ma può essere una trappola. Per noi è importante dire le cose con le nostre parole, senza mediazioni. Vogliamo rimanere fedeli a noi stessi. Il nostro obiettivo è fare un disco pop, ma con una visione autonoma».

Per concludere, pensando ai vostri 30 anni di carriera: qual è la lezione più importante che avete imparato dalla musica?

«Per noi la musica è una terapia. Ci aiuta a sfidare i nostri limiti, a raccontarci, a uscire dalla mia natura introversa. Ogni volta che si inizia una canzone è un giorno nuovo. È incredibile: riparti sempre da capo con infinite possibilità. E questo lavoro ti tiene vivo. È come fosse ieri, anche se sono passati trent’anni».

Scritto da Nico Donvito
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