lunedì 25 Novembre 2024

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Di “perché” in “perché”, quando basterebbe dire “grazie”

Il tema dei perchè affrontato nei testi delle canzoni

“Ah, e devo farlo per me Sono andato via ma non chiedermi <pourquoi> Je t’aime Ma come cazzo è dura senza di te” canta Capo Plaza, rispondendo con l’amore a un grande “perché”. Generalmente, usiamo questo avverbio nelle interrogative dirette o indirette per chiedere o indicare la causa, il motivo di un determinato fatto oppure l’obiettivo che sottostà a un comportamento.

Gué Pequeno si domanda, idealmente, “dimmi perché con gli amici parlo sempre di te” e formula un’ipotesi, “forse quello che bevevo era veleno E mi ha fatto ubriacare di te”, portandola al parossistico “dimmi perché con le altre parlo solo di te”. Apparentemente più leggera, ma con serie intenzioni, Rita Pavone chiede “perché, perché la domenica mi lasci sempre sola Per andare a vedere la partita di pallone Perché, perché Una volta non ci porti pure me”, mettendo in luce i dubbi che, di solito, generano le domande “chissà, chissà Se davvero vai a vedere la tua squadra O se invece tu mi lasci con la scusa del pallone”, ma pronta a una soluzione concreta “perché, dai, dai, perché Una volta non ci porti pure me”.

In funzione di avverbio esclamativo, e per questo in principio di frase, troviamo il “perché” di Chiara Galiazzo: “perché si torna sempre dove si è stati bene E i posti sono semplicemente persone Voglia di tornare, luci basse, stazioni Anche se non ci sarà nessuno ad aspettarti”. Uno stato di solitudine, dove “muoiono i mostri”, canta Mr. Rain, “ma non la paura di loro Perché ogni viaggio inizia da un singolo passo” e può accadere che “tu sei il miraggio per cui torno ogni volta che parto”.

Ogni storia, che si aggiunge al nostro libro, ci rende consapevoli di un aspetto, di cui Achille Lauro ha cognizione di causa, se dice “so che a volte una persona cambia Perché tu possa lasciarla andare e crescere”. In questo caso, quel “perché” viene utilizzato come congiunzione con valore finale e può essere sostituito da “affinché” ed è seguito sempre da un congiuntivo. A questo punto, avrà ragione Nada a sostenere che “non c’è niente di meglio che stare in silenzio E pensare al meglio (…) E tutta la vita Gira infinita Senza un perché”, sostantivando quel “perché” che significa “motivo”? Oppure accogliamo la sincerità di Cesare Cremonini, che “dico sempre che non cerco amore Che preferisco badare a me Ma questa non è (la verità) (Vieni a vedere perché)…”?

Volendo raccogliere l’invito, troviamo gli interrogativi di un inconsolabile Marco Masini, “dimmi perché, perché lo fai Perché lo fai, non rispondermi se non vuoi Però lo sai che io vedo con gli occhi tuoi E tu se vuoi puoi nasconderti dentro me Finché non capirai Perché lo fai, disperata ragazza mia Perché ti stai come un angelo in agonia Perché ti fai Perché ti fai del male Perché ce l’hai con te”. Un grido di dolore gigante quanto il bene che sente Marco, si fa arma di denuncia contro la violenza sulle donne in Alex Britti, “perché Perché Quella donna che amavi davvero Ad un tratto l’hai portata via E la mano che un tempo l’amava Oggi muove una assurda follia”. L’ amore disperato di Marco è opposto a quello raccontato da Alex, che “sembrerebbe un amore malato Ma chiamarlo amore non si può”.

Mia Martini lo sa che “gli uomini non cambiano” perché “prima parlano d’amore E poi ti lasciano da sola”, ma “gli uomini ti cambiano E tu piangi mille notti di perché”. Del resto, anche se un amore comporta qualche rischio, Ultimo decide di correrlo, chiedendo, allo stesso tempo, “poi chiamami e chiedimi se resto Vorrei solo capire perché però sei l’unica forza che ho”. Ugualmente Emma, “e mi concedo A un altro rischio da affrontare Perché a volte una porta Può sembrarti una svolta Ma l’hai chiusa ogni volta”.

Se, da un lato, Lucio Battisti si arrovella “ma perché tu non ti vuoi azzurra e lucente (…) Ma perché non mi dai la tua mano perché?”, Dino fa altrettanto con l’allegra melodia “dimmi perché, ma perché, ma perché, Negli occhi miei non guardi mai” e una certezza in più “eppure tu, io lo so, io lo so, Che un po’ di bene già mi vuoi…” . Si fanno luminosi e aperti alla prospettiva futura, i versi di Al Bano che, dopo il tarlo dei “ma perché i miei pensieri Sono sempre gli stessi E non cambiano mai Ma perché anche il silenzio Sta parlandomi di te”, è certo che “quando il sole tornerà E nel sole io verrò da te Amore, amore, corri incontro a me E la notte non verrà mai più“.

Può non bastare perfino la certezza, se Chiello feat Shablo si domandano, “ma perché torni sempre da me? Non capisco se ci tieni davvero Vuoi fare l’amore con me stasera?”, visto che “ti ho dato tutto ciò che ho, ma tu non vuoi soltanto me”. Se c’è un terzo incomodo, sicuramente, si tratterà di quel tipo a cui gli 883 direbbero “tu continui a vivere la vita degli altri Perché tu una tua non ce l’avrai mai (…) Ma perché non ti fai mai i cazzi tuoi”. Ci tiriamo fuori da questi complessi intrecci di “perché” con l’innamoramento sanremese di Aleandro Baldi e Francesca Alotta, “dimmi perché piangi Di felicità E perché non mangi Ora non mi va Dimmi perché stringi Forte le mie mani E coi tuoi pensieri Ti allontani Io ti voglio bene Questo non lo so Stupido testone Dubbi non ne ho” e con la magistrale interpretazione di Giuni Russo, su un amore religioso dalle parole imploranti, scritte da Santa Teresa d’Avila, “vivo ma in me non vivo Moro perché non moro E più in me non vivo Moro perché non moro Non mi tradire fortissimo amore che imploro Moro perché non moro Vivo ma in me non vivo Moro perché non moro”.

Chiudiamo questo lungo viaggio con Gianni Morandi, che ci insegna la semplicità del “perché” preceduto dal “grazie” e, proprio per questo, il più bello fra tutti. Potendo, non scordiamo di dire “grazie perché Mi eri vicina Ancora prima di essere mia (…) Grazie perché Anche lontano Tendo la mano E trovo la tua (…) Grazie perché Non siamo soli (…) Grazie perché Vivere ancora Non fa paura Solo con te”.

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Francesco Penta

Appassionato della parola in tutte le sue forme; prediligo, in particolar modo, la poesia a schema metrico libero. Strizzo l'occhio all'ironico, all'onirico e al bizzarro. Insieme alla musica sia la parola. Dopo la musica si ascolti il silenzio; da questo "vuoto sonoro" nasca un nuovo concerto.