A tu per tu con il cantautore milanese, in uscita dal 31 maggio con l’album “Fossi nato prima”
Si intitola “Le vie del centro” il nuovo singolo di Donato Santoianni, artista classe ’93 che ricordiamo per la sua partecipazione dello scorso anno a Musicultura. Dopo aver collezionato collaborazioni importanti con Gianni Bella, Giuliano Boursier, Adriano Pennino, Danilo Madonia e Matteo Brancaleoni, il cantautore è pronto a rilasciare “Fossi nato prima”, progetto composto da nove canzoni, edito da Nuova Gente e distribuito da Artist First. In occasione del lancio di quello che, di fatto, rappresenta il suo vero e proprio esordio discografico, abbiamo incontrato il giovane talento milanese, per carpire le sue sensazioni alla vigilia di un traguardo così importante.
Ciao Donato, partiamo dall’album “Fossi nato prima”, cosa rappresenta per te?
«Rappresenta un traguardo bellissimo. La chiusura di un cerchio e di un percorso che ho iniziato 10 anni fa da bambino, ma che non ho mai abbandonato. Non ho mai smesso di credere nelle mie idee, nella mia musica e nella mia voglia di raccontare qualcosa, di palesare educatamente la mia visione del mondo. “Fossi nato prima” credo sia realmente il mio primo vero lavoro discografico. Per la prima volta sono orgoglioso di ascoltarmi, di promuovermi, di condividere il mio lavoro. È un disco personale, intimo, in cui racconto tutto quello sul quale fondo la mia vita».
Quali sono le tematiche predominanti e che tipo di sonorità hai voluto abbracciare?
«La tematica principale del disco è il tempo. Il rapporto tra Passato e Presente. L’importanza di quello che il passato ci ha insegnato, l’importanza della memoria, la voglia di un ragazzo di cercare di coinvolgere la sua generazione nell’intento di reagire. Su questo filo sottile che unisce le 9 canzoni si sviluppano brani che parlano di Città, di Nostalgia, di società, di emozioni, di integrazione e di mondo. In particolare ci tengo a sottolineare il brano di chiusura del disco “non c’è più tempo” che tratta una tematica attuale e di enorme importanza: l’ambiente. Un invito a capire che veramente, questa volta, non c’è più tempo da perdere. Volevo qualcosa che chiudesse il disco lasciando un po’ “di amaro in bocca”, un messaggio forte che lasciasse il segno. Mi auguro di esserci riuscito».
Un progetto anticipato dal singolo “Le vie del centro”, cosa racconta?
«“Le vie del centro” è un canto di educata protesta. Un viaggio malinconico di un ragazzo che cammina per la sua città e si rende conto che tutto è cambiato troppo velocemente, tanto da fargli sentire la nostalgia dei riferimenti del passato. Quello che c’è oggi gli appartiene così poco da rimpiangere addirittura un tempo che non ha vissuto. Davvero non ha più senso incontrarsi in un negozio di dischi? Non ha più senso la poesia, la bellezza, la cultura. Se questo è il mio tempo, allora preferisco continuare a vivere di ricordi».
Una canzone che critica il regresso artistico e culturale che ha colpito la nostra società. Se dovessimo attribuire delle responsabilità, quante ne avrebbe il web?
«Le uniche grosse responsabilità sono dell’uomo. Delle persone. e di conseguenza della società, della politica e quindi anche mie. Il web e in generale la globalizzazione sono fenomeni che abbiamo sottovalutato. Non siamo stati in grado di capirli e di interpretarli. È troppo facile dare la colpa al web. Sarebbe come incolpare di un omicidio una pistola e non l’assassino. Il problema del web sono i suoi contenuti e i contenuti sono frutto dell’uomo. La colpa è nostra. La colpa è di tutti perché la storia ci insegna che le cose si possono cambiare e non vedo in alcun modo un tentativo per invertire la tendenza. Nessuno escluso, me compreso».
Qual è il tuo rapporto con i social network e con la fruizione digitale della musica?
«In verità ho un ottimo rapporto. Vedo nei social una grande opportunità per riuscire a raggiungere più persone possibili con le mie canzoni e in spotify un modo per permettere alla mia musica di avere una possibilità in più di essere ascoltata e condivisa. Niente di più e niente di meno. Hanno nella mia giornata l’importanza che devono avere».
Facciamo un salto indietro nel tempo, quando e come hai scoperto la tua passione per il canto?
«Da bambino grazie all’impegno di mia madre. Ero un ordinario bimbo che amava giocare a pallone e divertirsi in cortile con i suoi amici. Lei mi ha seguito e mi ha aiutato a capire la bellezza. Senza l’apporto di qualcuno sono convinto che qualsiasi talento, in qualsiasi campo, difficilmente riesca ad emergere. Almeno che tu non sia un genio, ma di geni ne nascono pochi e io non sono di certo tra questi».
Quali ascolti hanno influenzato e accompagnato il tuo cammino?
«In un primo momento il Jazz e le grandi voci. Ero affascinato dai virtuosi, dal virtuosismo e dall’estetica. Poi con il tempo ho imparato ad apprezzare le parole. Il dono della lingua italiana di saper evocare immagini e di conseguenza le emozioni. Quindi ho cominciato ad ascoltare i grandi Cantautori e li tutto è diventato più chiaro. Credo però che nella mia musica queste due grandi macro influenze continuino a mischiarsi e a sentirsi».
Tra gli incontri artistici realizzati nel corso della tua carriera, ce n’è uno che reputi determinante?
«Senza ombra di dubbio l’incontro con Gianni Bella. Ho imparato da lui come l’uomo e l’artista non debbano mai smettere di coesistere. È da lui che ho imparato a capire che perseguire il solo successo e la sola apparenza possa alla lunga portare anche persone di talento a diventare dei semplici personaggi. Oggi è tutto quello che non vorrei mai diventare».
Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?
«Sicuramente la fase dell’ascolto. Il momento in cui da autore passi ad essere un semplice ascoltatore. È quello il momento in cui secondo me ci si rende realmente conto del valore di quello che hai scritto. Ancora oggi ad ascoltare “Fossi nato prima” a volte mi chiedo “ma quando l’ho pensata questa cosa?”. Penso ci sia tanto di inconscio e di istintivo, e rendersene conto è la cosa più bella ed emozionante dello scrivere una canzone. Alla fine la musica è di chi la ascolta. Senza questo non avrebbe senso la sua esistenza».
Ti senti rappresentato dall’attuale scenario discografico?
«Ultimamente si. Ho incontrato nel mio scorrere Spotify diversi progetti interessanti. Vado a sentire tanti concerti e ascolto tanti dischi nuovi. Questo è stimolante per chi come me ci prova a fare canzoni. Mi da la possibilità di mettermi in discussione e spesso anche di sentirmi ispirato da chi riesce a fare musica meglio di me».
Dove vorresti arrivare con la tua musica?
«Molto semplicemente mi piacerebbe arrivare ad un pubblico specifico. Fatto di persone, ragazzi e ragazze che hanno la mia stessa visione del mondo e delle cose. Mi piacerebbe raggiungere un risultato tale da permettermi di continuare a farlo. Al momento questa è la mia unica aspettativa».
Quale messaggio ti piacerebbe trasmettere al pubblico attraverso questo tuo nuovo album?
«Vorrei passasse quanto di personale e di me stesso è stato inserito nelle mie canzoni. Che venisse percepita l’importanza della libertà dell’esprimere il proprio pensiero. Che venisse percepito il sogno. Penso che la più grande vittoria per me sarebbe sicuramente quella di sentirmi dire da chi mi conosce che finalmente mi riconosce in quello che dico e che canto. Oppure di permettere a chi di me non sa niente di capire qualcosa in più. Augurandomi venga apprezzato. Il messaggio fondamentale è che c’è spazio per tutti. Non c’è cosa migliore dei sogni e nessuno deve smettere di averne uno. Io ho il mio. Lo suono, lo scrivo e lo canto. Se ne avete uno, provate a realizzarlo».
Nico Donvito
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