“DoReMiCiak”, i popoli della Terra di Mezzo

DoReMiCiak

Quando la musica incontra il grande schermo: alla scoperta delle colonne sonore che hanno fatto la storia del cinema. A cura di Beatrice Castoldi

Le colonne sonore non accompagnano semplicemente un film: lo raccontano, lo amplificano, lo rendono eterno. In ogni scena, c’è una nota che vibra, un tema che ritorna, una melodia che parla più delle parole. “DoReMiCiak” è la rubrica che unisce due mondi solo all’apparenza distinti: quello della musica e quello del cinema. Un incontro tra partiture e pellicole che ha fatto la storia della settima arte.

Ogni settimana, Beatrice Castoldi ci conduce dietro le quinte dei grandi capolavori sonori del cinema, tra aneddoti, recensioni e riscoperta di musiche indimenticabili. Il titolo “DoReMiCiak” si ispira alla celebre rubrica di Vincenzo Mollica, e vuole esserne in quale modo un omaggio. Perché a volte basta una sola nota per riaccendere un ricordo, una scena, un’emozione.

“DoReMiCiak”, i popoli della Terra di Mezzo

Nel nostro viaggio precedente abbiamo scoperto come Howard Shore ha intrecciato decine di leitmotiv nella colonna sonora de Il Signore degli Anelli, fino a trasformare la musica in un vero e proprio tessuto mitologico. Ciascun popolo della Terra di Mezzo è caratterizzato da un proprio linguaggio tematico e timbrico, attraverso il quale Shore traduce in musica le loro radici culturali, i loro valori e il loro posto nella narrazione.

Il primo tema che ci viene presentato per intero è quello della Contea, la terra natale degli Hobbit, i protagonisti della storia. La musica aiuta a descrivere questo popolo e ciò che lo rappresenta: cibo e bevande, sicurezza e amicizia… uno stile di vita semplice. Dal punto di vista melodico, il brano presenta una melodia diatonica, suonata dal flauto, che procede per gradi congiunti, mentre sul piano armonico, gli accordi seguono sempre le stesse progressioni: questa semplicità trasmette un senso di sicurezza e appartenenza e allo stesso tempo rende il tema flessibile, permettendo a Shore di creare numerose variazioni a partire dallo stesso materiale di partenza. È un elemento essenziale, poiché nel corso della saga la Contea e il desiderio di salvarla diventa ciò per cui gli Hobbit ritengono valga la pena lottare, fornendo così alla storia una dimensione profondamente umana, che ci mostra cosa sia davvero in gioco.

A contrapporsi alla semplicità degli Hobbit, c’è la complessità degli Elfi. Tra tutti i popoli, gli Elfi sono forse quelli che più incarnano l’essenza del mito tolkieniano: antichi, saggi e malinconici, sospesi tra immortalità e decadenza. Shore rende questa duplicità in una musica che unisce luce e ombra, solennità e perdita. Gli Elfi non hanno un solo tema, ma diverse declinazioni che rispecchiano la loro storia e i loro regni. I primi che incontriamo sono quelli di Gran Burrone, rifugio di conoscenza e speranza, dove gli ultimi saggi si preparano alla fine della loro epoca: strumenti solisti come l’arpa e il flauto, creano un’atmosfera luminosa e contemplativa, segno della sapienza e della funzione di custodi del sapere antico di questo popolo. È la musica della fine di una civiltà: l’armonia (in La maggiore, interrotta da regioni in Fa maggiore, che abbassano il sesto grado della scala) rappresenta una versione maggiore del tema di Monte Fato, a sottolineare che c’è ancora speranza per la Terra di Mezzo. 

Il regno di Lothlórien, invece, è un più misterioso. Per come ci vengono presentati dalle immagini, questi elfi potrebbero essere malvagi o potrebbero essere buoni e la musica gioca su questa ambiguità. Il tema è composto da un coro che canta di una rovina imminente nella lingua elfica Sindarin ed è costruito sulla scala frigia dominante, ispirata al maqām hijaz arabo, riconoscibile per il secondo grado aumentato: un intervallo che può suonare strano e straniero all’ascoltatore occidentale. Viene utilizzato per evocare un senso di antichità, e per questo è applicato alle parti più antiche di questo mondo: Lothlórien e Sauron. Strumenti provenienti da diverse tradizioni musicali europee e mediorientali vengono impiegati per amplificare il mistero di entrambi i temi — il rhaita africano per Sauron e il sarangi indiano per Lothlórien.

Laddove i temi elfici si sviluppano in scale modali e armonie sospese, ricche di voci eteree e strumenti esotici, il tema dei Nani è costruito su fondamenta opposte: tonalità minori, intervalli marcati, percussioni profonde e ottoni che evocano la solidità della pietra. La musica di Moria è isolata dal resto del mondo, sia per timbro, che per orchestrazione e prevalenza tematica. Proprio come la cultura dei Nani, nessuno dei temi introdotti in questa parte ritorna altrove. Voci maschili intonano il “Canto di Durin” nei suoni aspri e gutturali del Khuzdul, la lingua dei nani, ricordando le vite perdute e mettendo in guardia da ciò che ne avrebbe reclamate altre. La sequenza di Moria fu la prima che Shore compose, prima ancora di sviluppare il resto del paesaggio musicale de Il Signore degli Anelli. Di conseguenza, sebbene si possano riconoscere alcune somiglianze con altri temi, non esistono veri e propri collegamenti tematici. Un’interpretazione diegetica potrebbe essere che i Nani non rappresentano un elemento innaturale della Terra di Mezzo: i loro temi, infatti, sono comunque forgiati con la stessa sostanza degli altri.

A differenza dei Nani, che custodiscono un’identità compatta e chiusa nelle profondità della pietra, gli Uomini si distinguono per la loro frammentazione culturale e geografica. Shore riflette questa complessità attraverso temi differenti, che raccontano non solo la loro forza e fragilità, ma anche la distanza che separa i due principali regni umani: Rohan e Gondor. Il primo è un popolo di cavalieri legato alla terra, rappresenta una cultura umana pura — non influenzata da Elfi o altre razze — e incarna valori fondamentali come il coraggio e la lealtà. La loro identità sonora è fortemente caratterizzata da influenze nordiche: frasi musicali intrecciate e ripetute, cellule melodiche dove i motivi del ritornello sono più legati tra loro rispetto a quelli delle strofe, sono tipiche della musica popolare nordica. Al centro del tema c’è l’hardingfele, uno strumento norvegese simile al violino dotato di otto corde invece delle quattro tradizionali. La sua voce emotiva, impiegata per esprimere sia la fragilità sia la forza e la libertà della terra, è ciò che conferisce a Rohan la sua inconfondibile impronta nordica e anglosassone: la configurazione dello strumento permette a ogni corda di avere una “gemella risonante”, che produce un suono ricco e vibrante, simile a quello di un mandolino.

Dall’altro lato, invece, abbiamo il regno di Gondor, una civiltà antica e in declino durante gli eventi della saga: la musica ne porta il peso della memoria e del potere perduto. Mentre Gandalf e Pipino attraversano le strade della città di Minas Tirith, gli archi introducono un ritmo staccato e incalzante sopra i quali corni e trombe intrecciano tra loro le note centrali del tema di Gondor. L’armonia (Re minore – Sol – Fa – Re minore) apre con la stessa progressione del tema di Rohan, ma tende a “scivolare”, impiegando anche accordi tratti dalle scale di Re minore naturale e armonica. L’ascesa letterale della melodia prosegue fino al vertice, culminando in un magnifico accordo di La, che perde però forza prima di risolversi in Re. L’accordo di La maggiore non tornerà più… fino a quando il vero re non sarà ritornato.

Scritto da Beatrice Castoldi
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