“DoReMiCiak”, Ludwig Göransson e il lavoro in “Oppenheimer”

DoReMiCiak

Quando la musica incontra il grande schermo: alla scoperta delle colonne sonore che hanno fatto la storia del cinema. A cura di Beatrice Castoldi

Le colonne sonore non accompagnano semplicemente un film: lo raccontano, lo amplificano, lo rendono eterno. In ogni scena, c’è una nota che vibra, un tema che ritorna, una melodia che parla più delle parole. “DoReMiCiak” è la rubrica che unisce due mondi solo all’apparenza distinti: quello della musica e quello del cinema. Un incontro tra partiture e pellicole che ha fatto la storia della settima arte.

Ogni settimana, Beatrice Castoldi ci conduce dietro le quinte dei grandi capolavori sonori del cinema, tra aneddoti, recensioni e riscoperta di musiche indimenticabili. Il titolo “DoReMiCiak” si ispira alla celebre rubrica di Vincenzo Mollica, e vuole esserne in quale modo un omaggio. Perché a volte basta una sola nota per riaccendere un ricordo, una scena, un’emozione.

“DoReMiCiak”, Ludwig Göransson e il lavoro in “Oppenheimer”

Come già visto nei precedenti articoli, è capitato spesso nella storia del cinema che un regista richiamasse un compositore col quale aveva collaborato in precedenza per chiedergli di partecipare a un nuovo progetto. E così è stato anche per Christopher Nolan e Ludwig Göransson per “Oppenheimer“: i due, infatti, avevano già lavorato insieme a “Tenet” nel 2020.

Il film segue il fisico “Oppenheimer” dai primi anni delle sue ricerche in Europa alla fondazione del laboratorio di Los Alamos fino alla costruzione delle bombe atomiche, sganciate poi su Hiroshima e Nagasaki. Il tutto alla luce di entusiasmo, dubbi, perplessità e infine rimorsi che lo porteranno al successivo impegno contro lo sviluppo nucleare. La musica e il sound design sono elementi fondamentali nel racconto di questa storia oscura: Göransson immerge lo spettatore nel dilemma emotivo interiore di un uomo sull’orlo di liberare un potere capace di distruggere l’umanità, mentre il sound design dà forma a flashback, fenomeni fisici e collisioni di atomi.

La composizione della musica per “Oppenheimer” si rivelò una sfida inedita per il compositore, poiché non aveva mai scritto una colonna sonora interamente dedicata a rappresentare il mondo interiore e la prospettiva di un solo personaggio: «Il film è costruito sul punto di vista di J. R. Oppenheimer; lo spettatore deve provare ciò che lui prova, vedere ciò che lui vede, essere dentro di lui. Questo è ciò che la musica doveva fare: far sentire al pubblico tutte le sue emozioni, mentre le vede rappresentate sullo schermo», ha dichiarato Göransson in un’intervista per Sharp Magazine.

Il suono, nei film di Nolan, è da sempre potente e travolgente, accompagnato da partiture di grande respiro epico. In “Oppenheimer“, la musica si muove dal tocco intimo e personale a uno spettacolo sonoro imponente, che amplifica la tensione narrativa. Nolan non diede indicazioni precise su come dovesse orchestrare la colonna sonora; l’unico suggerimento che offrì al compositore fu quello di rappresentare il protagonista e il tema centrale del film attraverso un violino solista. Così Göransson e sua moglie Serena, violinista, iniziarono a sperimentare vibrati e glissandi microtonali; l’obiettivo era trasmettere l’ansia di Oppenheimer attraverso la capacità del violino di passare istantaneamente da un timbro romantico e sentimentale ad uno più nevrotico e inquietante.

Il violino si rivela quindi lo strumento ideale per rappresentare un personaggio tanto complesso e intenso. Fin dal brano d’apertura, il suo timbro — capace di passare da una bellezza struggente a una melodia stridente e discendente, fino a un sussurro intimo — ci trascina dentro il tormento interiore del protagonista. Il violino è uno strumento privo di tasti, il che consente di impiegare tecniche esecutive tradizionali come gli armonici e il vibrato. Gli armonici sono suoni superiori che si ottengono appoggiando delicatamente il dito sulla corda e suonando con l’arco: non premendo la corda fino alla tastiera, essa vibra su entrambi i lati del dito, producendo un suono fischiante e cristallino. Il vibrato, invece, consiste in lievi oscillazioni dell’intonazione, create muovendo il dito con il polso o con l’avambraccio, per dare calore ed espressività all’esecuzione. Oltre a ciò, Göransson utilizzò anche tecniche non tradizionali: durante la sequenza del reattore nucleare, per esempio, chiese ai violoncellisti di suonare col legno, cioè colpendo le corde con il dorso dell’archetto per ottenere un effetto ritmico e percussivo. La combinazione di queste tecniche tradizionali e sperimentali, infatti, genera una tensione sonora che alterna il calore a timbri più fragili e taglienti, creando un continuo contrasto emotivo.

Il lavoro di Göransson è articolato in tre grandi movimenti: il passato di Oppenheimer nel campo della fisica, il Progetto Manhattan, e l’udienza della Commissione per l’Energia Atomica.

La partitura si apre con melodie morbide e avvolgenti, affidate ad archi, arpa e pianoforte, mentre Oppenheimer esplora la teoria e inizia la sua carriera di fisico. Quando la colonna sonora entra nel secondo movimento, il tono cambia radicalmente: durante la costruzione della bomba atomica, le poste in gioco aumentano, amplificate da bassi pulsanti e suoni metallici simili a ticchettii, si potrebbe dire onomatopeici…

Göransson si premurò di non rendere la musica eccessivamente fragorosa, specialmente nella seconda parte del film, convinto che una colonna sonora troppo “esplosiva” avrebbe ridotto l’impatto reale delle detonazioni sul pubblico. «Prima (della seconda parte) si tratta(va) solo di teorie, di appunti, di idee. Ma quando compare una vera bomba fisica, allora avviene un enorme cambiamento tonale: lo incanali attraverso i synth, con un senso di rovina imminente. Hai quel basso pulsante, poi il suono metallico del ticchettio, e tutto conduce fino all’esplosione, seguita da quei momenti di silenzio, che credo siano estremamente efficaci», ha raccontato a Rolling Stones.

La colonna sonora incessante di Göransson accompagna circa due ore e mezza delle tre che compongono il film. L’intreccio orchestrale di pianoforte e arpa si fonde con i suoni del mondo di Oppenheimer: colpi di piedi, pulsazioni di sintetizzatori, ticchettii di orologi e il fruscio elettrico dei contatori Geiger costruiscono un paesaggio sonoro di tensione, angoscia e attesa.

Il compositore impiega tecniche ritmiche come le terzine – tre note eseguite nello spazio di due – per aumentare progressivamente l’intensità e creare incastri ritmici incalzanti durante la sequenza del test nucleare Trinity. I livelli sovrapposti degli archi, tra armonici e pattern ritmici, generano una crescente sensazione di slancio e movimento. Così facendo, si producono agitazione e tensione, amplificando il dramma e l’energia della scena. La musica cresce fino al momento di silenzio assoluto in cui viene premuto il pulsante: non c’è più ritorno. Il silenzio della colonna sonora diventa tanto significativo quanto la musica stessa.

Quando Oppenheimer tiene il suo discorso dopo i bombardamenti di Nagasaki e Hiroshima, ogni frase intrisa di retorica patriottica è seguita da applausi sempre più fragorosi. Ma quando il suono si interrompe bruscamente, restano solo le sue parole vuote, rivelandone il peso e la solitudine morale. Nei momenti in cui il film lascia spazio soltanto al “suono nudo” del mondo reale, lo spettatore avverte tutta la gravità della situazione. 

Dal punto di vista fisiologico, quando percepiamo una costruzione dinamica nella musica, i nostri livelli di dopamina aumentano naturalmente. Il silenzio improvviso, al contrario, genera un’intensa concentrazione. Il contrasto tra la pienezza dell’orchestra e l’assenza di suono ci immerge completamente nella scena, permettendoci di vivere un rilascio emotivo profondo. Quel silenzio ci trascina in una dimensione sospesa, un richiamo quasi assordante all’umanità attraverso suoni intimi e ravvicinati.

Oscar alla Miglior Colonna Sonora meritatissimo: quasi un monito a non ripetere gli errori attraverso una musica che risuona nell’anima.

Scritto da Beatrice Castoldi
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