A tu per tu con Elena Bresciani, in occasione dell’uscita del libro “Canto del benessere e Vibralchimia interiore”, scritto a quattro mani con Renato Caruso
Elena Bresciani è una intellettuale eclettica: cantante lirica di fama internazionale, vocal coach, mentore e acquerellista, esperta di voci femminili che segue in tutta Italia, autrice di saggi e curatrice di rubriche radiofoniche e scritte sul panorama musicale.
Il libro “Canto del benessere e Vibralchimia interiore”, scritto a quattro mani con Renato Caruso, ha l’intenzione di far compiere al lettore un viaggio interiore attraverso la scoperta del canto curativo e delle campane tibetane, strumento sottovalutato per la cura e il benessere delle persone.
Come nasce l’idea di questo nuovo libro?
«Dopo essermi dedicata a questo progetto di ricerca per oltre tre anni, ho sentito la necessità di metterne nero su bianco il contenuto. La parola Vibralchimie, che rappresenta il Progetto, contiene al suo interno due parole: Vibrazione e Alchimia. Io lavoro con le Frequenze che sono in fisica acustica il numero di Vibrazioni al minuto secondo che ogni corpo vibrante emette; in natura tutto è Vibrazione! Anche la fisica quantistica di Albert Einstein ne parla.
Le vibrazioni sonore hanno capacità rigenerative e trasformative. Ne abbiamo tutti tanto bisogno. Mi interessa ciò che la Musica può fare per l’essere umano».
Come si è svolto in termini pratici il lavoro di scrittura con il chitarrista Renato Caruso e come ti sei trovata con lui?
«Ci siamo incontrati per mostrargli alcune campane ed il giorno stesso abbiamo costruito l’indice del libro dividendoci gli argomenti. Lavoriamo in modo complementare, ma sinergico e veloce. Ho molta stima di Renato Caruso che è un esperto di fisica acustica e di tutti gli aspetti scientifici della musica. Non ci sovrapponiamo mai. Ci mandiamo messaggi brevi e diretti, lavoriamo in modo ultra pratico, concretamente».
Cosa aggiunge a quest’opera la prefazione di un professionista come Luca Francioso?
«Sono molto grata a Luca per la pazienza certosina che ha messo nella lettura del libro facendo l’editing; io sono una “maniaca del controllo sul lavoro” e in quei giorni stavo lavorando su me stessa esercitandomi sul concetto di resa, abbandono, fiducia, in altri ambiti. Sul lavoro – invece – gli stavo rendendo la vita impossibile, perché volevo che mi chiamasse ogni volta che faceva una banale correzione di una virgola, Lui mi disse: “fidati, tratterò il tuo lavoro come se fosse il mio”. Mi fidai. Fu una telefonata così bella, pulita, di stima che da lì siamo diventati amici e mi è sembrata la persona più adatta a fare anche la prefazione. È una persona intelligente ed estremamente rispettosa del lavoro altrui, con una bella sensibilità, quindi, la sua prefazione è stata un privilegio».
Quando e come ti sei avvicinata al canto curativo e cosa ti affascina di questo percorso?
«Avevo da sanare un dolore ed il canto è sempre stato una vera àncora. Ma questo dolore era così grande che la musica occidentale non bastava. Così ho iniziato a studiare la musica orientale, le campane tibetane, a praticare il canto curativo in primis per me stessa. Di questo percorso mi affascina tutto. Mi sorprende l’attenzione che questo progetto di ricerca sta ricevendo, le testimonianze delle persone. Ho messo tanta passione in questo progetto e sono grata che sia stato compreso».
In qualità di vocal coach hai seguito artisti in diverse manifestazioni, tra cui il Festival di Sanremo, un evento che sappiamo essere un frullatore per tutta la settimana. Cosa consigli ai tuoi assistiti per riuscire a gestire lo stress e preservare in un contesto caotico come quello la propria voce?
«Credimi, cantare a memoria un’opera di tre ore in un ruolo principale è molto più stressante del Festival della Canzone Italiana. Lo stress al Festival è trovare il tempo per dormire, saper dire dei no, la pressione mediatica costante e gli interessi degli staff. Non è uno stress vocale, è mentale. Poi – ovviamente – genera stanchezza e si ripercuote sulla voce. A Sanremo spesso c’è vento, coprire la gola e cercare di mangiar sano e dormire (malgrado il rumore sino a notte fonda) sono dei must. Praticare il silenzio, acquistare tappi per le orecchie e stare in luoghi che non hanno affollamento mediatico, come la bella Chiesa francescana, sono le mie principali strategie Sanremesi personali. Dal 2024, lavoro via Zoom così mi evito di correre avanti e indietro facendo letteralmente i km a piedi come una trottola, mi evito la congiuntivite che l’aria di mare mi genera e riesco a mantenere quella calma e quel distacco che fanno sentire più coccolati i cantanti.
Per fare a lungo termine questa professione ci vuole centratura, si deve lavorare oltre che sulla voce sulla consapevolezza di sé, primo tassello anche per l’attore, non solo per il cantante. La consapevolezza è la chiave dell’artista. Fai chiarezza, ti semplifichi, ti pacifichi, inizi a dire l’ universale e a non essere schiavo dei tuoi particolarismi o delle logiche altrui. Devi avere una forza interiore, gratitudine per gli altri, rispetto per te stesso e ironia. Ecco perché negli ultimi anni ho introdotto i miei percorsi di crescita personale per cantanti (Singing Mastery Experience), per aiutare e mettermi al servizio come mentore anche da questo punto di vista. A 23 anni cantavo al Giubileo 2000 come solista “Gloria di Vivaldi” in Vaticano, a 28 anni cantavo alla Carnegie Hall di New York, so cosa significa entrare in un frullatore e restare solidi interiormente, non subire il sistema musicale, ma cavalcarlo. Insegno a stare a galla, ma non come atto di mera sopravvivenza, insegno a stare a galla con dignità, forza, senza compromessi, senza perdere autostima, senza perdersi, restando puliti “nonostante”, con la voce salda ed i nervi pure. Non è poco. Mi scelgono come vocal coach e come mentore solo anime affini».
Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver appreso dalla musica fino ad oggi?
«Dal punto di vista tecnico la musica mi ha insegnato disciplina, rigore, rispetto, bellezza. Dal punto di vista umano ciò che ho capito è questo: la musica è più importante di me, perché è eterna. La considero emanazione di Dio. Io mi affanno, studio, ricerco, canto, suono, ma resto sempre un “puntino” rispetto alla musica».
Nico Donvito
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