venerdì 22 Novembre 2024

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Eman: “La vita è arte e va trattata come tale” – INTERVISTA

A tu per tu con l’ispirato cantautore calabrese, fuori con il suo nuovo e omonimo album di inediti

Emanuele Aceto in arte Eman, lo ritroviamo in occasione della pubblicazione del suo omonimo album, in uscita il 19 aprile sia in versione fisica che digitale (prodotto e distribuito da Jackie & Juliet / Artist First), che arriva a tre anni di distanza al precedente “Amen”. Anticipato dai singoli “Icaro”, “Milano”, “Tutte le volte” e dall’attuale “Giuda”, il disco mette in risalto tutto il suo splendore artistico, molto piú a fuoco e con uno stile ormai consolidato e ben definito, direi piuttosto unico. “Raccontare le storie di tutti da un punto di vista personale” è una caratteristica ricorrente nella poetica dell’ispirato cantautore cantanzarese, un po’ il contrario di quello che accade solitamente, ovvero raccontare quello che capita a se stessi e far sì che il pubblico possa eventualmente di riflesso immedesimarsi. Più che autobiografica la sua musica è “altrobiografica”, il che rappresenta decisamente un valore aggiunto in questo sconfinato oceano della musica italiana.

Ciao Emanuele, bentrovato. Raccontaci un po’ com’è nato questo disco?

«Questo disco si è sviluppato nel tempo, abbiamo scelto il titolo perché al contrario si legge “name”, di conseguenza non è un disco esclusivamente autobiografico, bensì può essere di tutti. Rappresenta il consolidamento di quello che volevo esprimere, senza cercare di accontentare le aspettative di qualcuno, lo considero un album pieno di vita, negli ultimi anni ho incontrato tante persone che mi hanno arricchito e ispirato. Sono contento e talmente tanto pieno di entusiasmo che abbiamo già ricominciato a lavorare al prossimo, non ci fermeremo più (sorride, ndr)».

Come ci si sente a nuotare controcorrente anzichè surfare sulle onde delle mode del momento?

«Sai, sul fatto di nuotare controcorrente a volte nemmeno te ne accorgi, perché sei talmente concentrato in quello che fai che il resto passa in secondo piano. Il discorso è molto più semplice di quello che può sembrare, desideravo esprimere ciò di cui avevo bisogno, perché non sentivo nessuno dire quello che avevo in mente io. Mi reputo un uomo semplice, non sono diverso, non mi piace dare lezioni perché non ho nulla da insegnare, anzi, forse il mio talento più grande è proprio quello di saper sbagliare. Il messaggio che voglio lanciare con la mia musica è dire a chi mi ascolta: “io sono come te, siamo simili, ci capiamo”. Questo è volutamente un album che parla di solitudine, declinata in tutte le sue forme, perché è importante capirne l’importanza, nel momento in cui impari a stare da solo impari contemporaneamente a stare con gli altri. Con il tempo abbiamo perso l’empatia tipica umana, eppure siamo sempre interconnessi tra noi, sembra quasi un controsenso».

Qual è l’aspetto che più ti affascina nella composizione di una canzone?

«La nascita stessa, quando Mattia SKG Masciari (musicista che ha curato anche la produzione, ndr) mi manda la parte strumentale mi si apre un mondo, perché riuscire a fotografare quell’attimo, quelle immagini e quelle emozioni è l’aspetto più affascinante di questo mestiere. A livello di tematiche nel disco c’è davvero di tutto: la sofferenza, la felicità, l’amore, il sesso e la diversità, che reputo sia bellissima».

Dove vuole arrivare Eman con questo disco?

«So che potrebbe sembrare assurdo ma punto sempre al cuore degli altri, non mi interessa essere riconosciuto io, desidero esclusivamente portare avanti la mia musica, mi basta sapere di poter essere utile a qualcuno attraverso le mie canzoni. Per me potrebbe finire anche qui, sono felice di aver messo tutto me stesso in questo disco, per cui potrei pure considerare l’idea di cominciare ad andare a zappare, non ci sarebbe alcun problema».

Beh, di fatto il tuo ragionamento non fa una grinza, nella copertina del tuo disco non appare il tuo volto, pure essendo omonimo. Come mai questa scelta?

«Perché quello che contano sono le canzoni, perché siamo utili agli altri con la musica, non a noi stessi. Il fatto di apparire così fighi e così cool su Instagram è finzione, oltre che un limite pure per gli altri, io voglio mostrarmi per quello che sono, simile a qualsiasi altro individuo, non mi reputo migliore di nessuno. Questa sovraesposizione continua e il voler sbandierare una vita che non ci appartiene trovo sia avvilente, la conseguenza è che stiamo perdendo un sacco di tempo dietro a cose futili. Sono contrario a tutto questo, personalmente voglio stare bene con gli altri, non voglio essere giudicato per il mio outfit. Che cosa vuol dire la parola “influencer”? Come si può pensare di condizionare qualcuno con delle immagini? Il buon esempio è un’altra cosa».

Nella nostra precedente chiacchierata parlavamo dell’attuale mercato e di come si tende a cercare la via più semplice, la scorciatoia per arrivare prima. Personalmente quali soluzioni proponi per risanare l’intero settore?

«Se noi musicisti e artisti avessimo davvero il coraggio dovremmo “scioperare” tutti insieme, per una settimana non dovrebbe esserci musica. Solo così si tornerebbe a capire il reale valore di questa nobile forma d’arte, che deve tornare ad essere messa al centro, fermare questa sua disumanizzazione. Noi ci siamo innamorati con le canzoni, ci abbiamo fatto l’amore, abbiamo sofferto, quando vivi in questo modo a distanza di anni riesci anche a ricordare l’istante legato ad ogni singolo brano, questa è la musica. Non avremmo avuto delle opere incredibili se ci fosse stato fin dall’inizio tutto questo qualunquismo, la vita è arte e va trattata come tale».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.