A tu per tu con il cantautore pugliese, in occasione dell’uscita del suo nuovo album “Mentre fuori arrivano i lupi“
Tempo di nuova musica per Emanuele Barbati, artista tarantino fuori con il suo nuovo progetto discografico intitolato “Mentre fuori arrivano i lupi”, disponibile a partire dallo scorso 10 giugno. Un lavoro che vanta una partnership etica con il WWF Italia per sostenere il progetto “Sos Natura d’Italia” per la salvaguardia del lupo.
Ciao Emanuele, benvenuto. Partiamo da “Mentre fuori arrivano i lupi”, come si è svolto il processo creativo di questo tuo nuovo lavoro?
«Direi che è stato un processo abbastanza lungo, come si sa il mercato discografico, ed in maniera particolare i servizi di streaming, spingono gli artisti a tirare fuori quanti più singoli possibile. Ad un certo punto ho iniziato a pensare che questi brani fossero uniti da un filo conduttore che mi stava portando in direzione di un disco e così è nata l’idea di “Mentre fuori arrivano i lupi”: raccontare in 11 brani il viaggio di questi due anni e mezzo».
Quali riflessioni e quali stati d’animo ti hanno accompagnato nella fase di scrittura delle undici canzoni in scaletta?
«Molto spesso ciò che scrivo è autobiografico o racconta di fatti, persone, parole che ho visto, conosciuto e sentito in prima persona. Mi piace molto raccontare nei brani gli attimi che precedono o seguono qualche evento scatenante: la prima volta che incontri qualcuno che entra nella tua vita, l’attimo esatto in cui qualcuno esce dalla tua vita, il giorno in cui qualcuno è partito, qualcuno ti ha deluso, hai fatto del male a qualcuno. Mi piace moltissimo raccontare nelle canzoni quello che comportano le singole scelte di un momento».
A livello musicale, che tipo di sonorità hai voluto abbracciare?
«Ho avuto la fortuna di lavorare alla produzione artistica con Luca Serpenti, entrambi veniamo da un mondo molto live. Mentre io ho sempre avuto a che fare con la scena plug’n’play dal punk, allo ska, Luca arriva dall’elettronica, miscelare questi due punti di partenza agli antipodi credo abbia dato al disco una sonorità estremamente attuale visto l’uso intenso dei synth e il ritorno delle chitarre».
Quali sono gli elementi e le caratteristiche che ti rendono orgoglioso di questo lavoro?
«Sicuramente il percorso del disco è iniziato pensando a cosa sarebbe potuto piacere agli ascoltatori ed è finito scrivendo quello che mi sarebbe piaciuto far ascoltare a chi sentirà il disco. Direi che è stato un percorso di liberazione verso una scrittura molto sincera che credo sia l’unica cosa importante quando dai agli altri qualcosa di profondamente tuo».
Facciamo un breve salto indietro nel tempo, quando e come hai scoperto la tua passione per la musica?
«In realtà da sempre, i miei sono appassionati di musica e quindi per me non c’è stato un inizio. Probabilmente ho preso consapevolezza che scrivere canzoni sia il modo che più amo per comunicare subito dopo l’adolescenza ed ho continuato a curarlo fino ad ora».
Quali ascolti hanno accompagnato e influenzato la tua crescita?
«Da bambino sentivo ciò che si ascoltava in casa: dai grandi gruppi degli anni 70/80 ai cantautori italiani, Francesco De Gregori e Franco Battiato su tutti. Poi ho scoperto il punk-rock e lo ska che sono stati e ancora sono dei grandi punti fissi per il mio modo di intendere la musica».
Sei tarantino, quanto incidono le tue origini e la tua terra nelle tue produzioni?
«Tantissimo, per vari motivi, per la bellezza di questa terra e per le sue enormi problematiche, qui c’è sempre qualcuno da salvare, qualcosa da raccontare, battaglie da vincere e muri da abbattere».
Per concludere, a chi si rivolge oggi la tua musica e a chi ti piacerebbe arrivare in futuro?
«A me piacerebbe molto che la musica tornasse a creare delle scene in cui ci si può identificare, mi piacerebbe che gli artisti riprendessero l’importanza sociale che hanno avuto e devono avere. Se la musica può costruire un mondo più equo vorrei suonare per chi vuole raggiungere questa equità».
Nico Donvito
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