venerdì 22 Novembre 2024

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Emanuele Bianco: “La musica? Tutto quello che desidero dalla vita” – INTERVISTA

A tu per tu con il giovane e talentuoso cantautore, in occasione dell’inedito lancio del suo tris di singoli

Buona fortuna“, “Cara Sofia e Tu sei, questi i titoli dei tre brani che hanno segnato l’inizio del nuovo percorso discografico di Emanuele Maracchioni, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Emanuele Bianco, artista classe ’93 che abbiamo avuto il piacere di incontrare in occasione del concerto milanese di Fabrizio Moro (qui la nostra recente intervista), poco prima di salire sul palco per esibirsi nell’opening act, come già era accaduto per le due precedenti tappe romane del Figli di nessuno Tour del noto cantautore romano. Raramente capita di trovarsi al cospetto di emergenti già a fuoco, sia artisticamente che umanamente parlando, questo fa ben sperare per il futuro della musica italiana. Segnatevi  il suo nome, ne sentirete parlare.

Ciao Emanuele, benvenuto su RecensiamoMusica. Partirei parlando del tris di singoli che hai lanciato lo scorso 18 ottobre, ci racconti qualcosa in più su questi brani e su come è nata l’idea di pubblicarli in contemporanea?

«Farli uscire in contemporanea è stato fatto per attirare l’attenzione sul progetto, l’idea era di non pubblicare il classico singolo, una scelta che ha suscitato parecchio interesse. E’ stato anche un modo per dimostrare tre diversi aspetti musicali che mi rappresentano: “Tu sei” è una ballad alla quale sono molto legato perché è dedicata alla mia ragazza, “Cara Sofia” è un misto rap ispirato all’omonima poesia di Bukowski e “Buona fortuna” un po’ quella di una via di mezzo che mi rappresenta e rispecchierà il mood del mio album, che sarà molto eterogeneo. Con queste tre tracce ho voluto dare una sorta di assaggio».

Immagino tu sia legato in egual misura a tutte e tre le tracce, ma qual è stata la risposta del pubblico? Quali sono i feedback che stai ricevendo in questi giorni?

«Sono molto soddisfatto di come stanno andando tutte, ho ricevuto riscontri positivi per ciascuna delle tre canzoni, a seconda dei gusti piace più una piuttosto che un’altra. “Tu sei” è forse il pezzo più pop, non inteso come genere bensì dal punto di vista dell’accessibilità, perché arriva facilmente e mette d’accordo più persone».

Quando una mia amica mi ha girato i tuoi pezzi, francamente sono rimasto folgorato, perché è difficile trovare un’identità così ben marcata in un artista emergente, mi sono detto: “e mò questo da dove arriva? Da che pianeta proviene?”. Ecco, ti rigiro la stessa domanda: da dove arrivi? Raccontami il tuo percorso

«Provengo da un paesino, Marina di San Nicola vicino Ladispoli, ho iniziato per gioco a far musica, da un sottoscala sono passato ad un garage, per poi arrivare ad un vero e proprio studio di registrazione. Con la musica sono cresciuto, sono stati anni di allenamento, non è facile trovare un proprio marchio di fabbrica, non arriva da un giorno all’altro, è frutto dell’evoluzione e delle varie influenze che cerchi di fare tue, ma tutto arriva col tempo».

In un’epoca in cui l’improvvisazione regna sovrana, dove se non passi da un talent o dalla televisione fatichi il doppio per ricevere un po’ di considerazione, c’è un messaggio che ti senti di rivolgere ai giovani, ai tuoi coetanei, per sottolineare loro il valore delle competenze, far capire loro che saper suonare uno strumento e saper leggere uno spartito è ancora il fulcro di tutto? Forse l’aspetto più importante

«Il principio, sia nella musica che in tutto il resto, è cercare di essere persone di spessore. Innanzitutto competenza e conoscenza sono due cose diverse, perché la competenza deriva sia dalla conoscenza ma anche dall’esperienza, perché è necessario mettere in pratica le proprie nozioni. Essere persone di spessore ti porta a diventare indispensabile in qualsiasi contesto lavorativo, perché dai un valore aggiunto al tuo mestiere. Un matematico non può non conoscere le tabelline, stessa cosa accade nella musica, non dico di comporre per orchestre, ma le basi sono fondamentali. E’ anche bello perché quando lavori con altri musicisti ti ritrovi a parlare la stessa lingua».

Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone? 

«Quando scrivo i ritornelli, di solito parto dalla linea melodica dell’inciso e dall’argomento della canzone, credo che siano entrambi i miei due punti di forza. I miei pezzi nascono semplicemente così, da un momento d’ispirazione, poi ci costruisco tutto il resto».

Tiziano Ferro e Ed Sheeran sono due degli artisti che ammiri, quali sono le caratteristiche dell’uno e dell’altro che ti colpiscono di più?

«Una è difficile, ci vorrebbe un’intervista solo su questo. Penso che la cosa che accomuna entrambi sia la capacità di apparire come persone comuni e semplici, alla portata di tutti, questo è bellissimo. Poi, chiaramente, entrano in gioco il talento, la voce e i testi: In particolare, Tiziano Ferro ha un modo di impostare i dischi molto internazionale, da sempre, ancora prima di Timbaland, per quanto riguarda la scena pop di artisti così ne abbiamo davvero pochi in Italia».

In passato hai collaborato con Cranio Randagio, artista che meriterebbe come altri di essere ricordato di più. Avendo tu conosciuto Vittorio, mi racconti qualcosa in più su di lui?

«Vittorio era un grande, per quanto riguarda il genere rap stava troppo avanti per il nostro Paese, aveva un registro testuale veramente alto. Lui è stato il primo artista che ha registrato nel mio studio, non ho mai visto altri che avessero la sua stessa proprietà di scrittura, i suoi testi sono difficili da comprendere al primo ascolto, è praticamente impossibile emulare il suo talento».

Venerdì 18 e sabato 19 ottobre 2019 sono state due date per te molto importanti perché hai aperto i primi due concerti di Fabrizio Moro al Palazzo dello Sport nella tua Roma. Immagino che siano emozioni difficili da raccontare, ma com’è stato esordire a casa tua?

«E’ stato molto bello e, come dici tu, è difficile da spiegare il mix tra felicità, ansia e stress che un evento di tale portata può trasmetterti. Alla fine è stata un’occasione unica, non smetterò mai di ringraziare Fabrizio per questa opportunità. Tutto è cambiato nel giro di poco tempo, è un’emozione indescrivibile».

Fino ad ora non l’abbiamo ancora svelato, ma ci troviamo nei camerini del Forum di Assago perché tra pochi minuti ti esibirai nuovamente nell’opening del concerto di Fabrizio. Come te lo immagini il pubblico di Milano e quali sono le tue sensazioni prima di salire sul palco?

«A Milano non c’ero mai stato, è la prima volta che ci metto piede, finora ho visto solo la stazione e il Mediolanum Forum (sorride, ndr), ma è una città che da sempre mi affascina molto. Non faccio distinzione tra il pubblico di Roma e quello di Milano, non voglio farmi troppe anticipazioni».

Ti lascio andare perché è davvero arrivato il momento e ti aspetto qui per proseguire subito dopo l’esibizione. In bocca al lupo!

Emanuele rieccoti, allora… com’è andata? Milano è stata all’altezza di Roma?

«Una bomba, è stato bello. Assolutamente sì, ma non avevo dubbi. Ho fatto due pezzi in versione acustica, “Buona fortuna” e “Tu sei”, dicono che è andata bene, sono molto soddisfatto».

Prima di andarci a godere lo spettacolo di Fabrizio, ti chiedo com’è nato l’incontro umano e artistico con lui?

«E’ successo come un classico film, la storia del ragazzetto che fà musica indipendente e arriva il discografico che ascolta i suoi provini, è andata più o meno così mentre stavamo lavorando al disco. I pezzi sono piaciuti e già alla prima riunione mi hanno chiesto se mi andava di cantare al Palalottomatica. Ovviamente ho accettato senza nemmeno pensarci, anche se fino a quel momento avevo cantato davanti a duecento/trecento persone, l’ansia passa in secondo piano perché questo è il mio lavoro, la musica è tutto quello che desidero dalla mia vita».

Ci sono degli insegnamenti, delle dritte, che ti ha dato in questo ultimo periodo, di cui hai fatto tesoro?

«L’atteggiamento di Fabrizio è molto protettivo, più che dei consigli o di discorsi prolissi, è riuscito attraverso un paio di dritte a trasmettermi tranquillità, quasi come un fratello maggiore. E’ stato particolare, perché non è una di quelle personalità che incontri tutti i giorni, soprattutto in queste situazioni».

E da adesso in poi che succede? Quali sono i tuoi prossimi progetti in cantiere per il 2020?

«Stiamo lavorando ad alcuni provini, abbiamo deciso di fare un passo alla volta e lavorare in primis sui singoli, ci sono tanti pezzi in cantiere. L’obiettivo primario è cercare di dare un’identità a quello che sarà il disco, perché sono tanti i brani che ho scritto nell’arco dell’ultimo anno, giustamente il materiale andrà selezionato per creare un album coerente e, al tempo stesso, eterogeneo».

Per concludere, dove e a chi ti piacerebbe arrivare attraverso la tua musica?

«A livello di palchi e di pubblico, mi piacerebbe un giorno ambire agli stadi, anche a livello internazionale, perché credo sia giusto tentare di esportare la nostra musica all’estero, proprio come si faceva una volta, al di là della lingua è figa la tipica linea melodica italiana. Per quanto riguarda il pubblico di riferimento, non ho un vero e proprio target, per tornare a Tiziano Ferro, lui riesce a raggiungere varie fasce d’età e comunicare a più persone. Questo è quello che cerco di fare anche io nel mio piccolo e che, fortunatamente, chi mi segue si riconosce e riesce a trovare conforto nelle mie canzoni, come capita anche a me quando ascolto “Castle on the hill” di Ed Sheeran prima di salire sul palco, mi trasmette serenità e l’ansia mi passa. Questo è il potere della musica, ma è anche un’arma a doppio taglio, può sia aiutarti che distruggerti».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.