A tu per tu con i due rapper milanesi, in uscita con il loro primo album in coppia intitolato “17“
Due carriere di tutto rispetto e una vera amicizia che li lega, queste le navate centrali del primo progetto congiunto di Emiliano Giambelli e Francesco Vigorelli, meglio conosciuti con gli pseudonimi di Emis Killa e Jake La Furia. Si intitola “17” il disco che sancisce questo bel sodalizio artistico, fuori per Sony Music e disponibile negli store a partire da venerdì 18 settembre. Diciassette le tracce in scaletta, impreziosite dai featuring realizzati con cinque selezionati ospiti: Lazza, Salmo, Fabri Fibra, Massimo Pericolo e Tedua. Il risultato è un album manifesto del rap, duro e diretto, un trattato di tecnica e flow.
Ciao ragazzi, benvenuti. Partiamo da “17”, ovvero il disco di inediti che vi vede entrambi protagonisti, da quali punti e da quali spunti siete partiti?
Emis Killa: «E’ un disco nato dalla voglia di rappare e di divertirci, senza lasciarci prendere troppo dalle ambizioni, pensando ai numeri e alle classifiche. Rispetto ad altre volte in cui sono uscito con un album mi sento abbastanza rilassato, senza stress e senza ansia, perché sono contento del risultato».
Jake La Furia: «Sono d’accordo, ha detto tutto lui, rispondo alla prossima».
Tra le tracce che più mi hanno compito c’è “La mia prigione”, in cui Emiliano dici: “la libertà è intraprendere una strada e farla propria anche senza sapere a dove porta”. C’è mai stato un momento nella vostra carriera in cui vi siete sentiti in gabbia?
Emis Killa: «Sentirsi in trappola sì, nel senso che nei primi dieci anni ho avuto un’ascesa senza troppi ostacoli, ho cominciato con le gare di freestyle, poi i mixtape e i dischi, tutto è sempre andato alla grande. Arriva un momento in cui quella magia si esaurisce, non sei più la novità, inevitabilmente subentra qualcuno di più giovane che catalizza l’attenzione su di sé. Naturalmente è una situazione che, prima o poi, patisce chiunque. Mi sono chiesto in che direzione andare, se continuare a fare ciò che stavo facendo o darmi una rinfrescata, per un paio di anni non nascondo di essermi sentito un po’ in difficoltà perché non sapevo quale potesse essere il mio futuro. Trovo che la libertà artistica sia fondamentale, sicuramente un punto in comune tra me e Jake, entrambi non abbiamo peli sulla lingua, niente censure, lo abbiamo dimostrato anche in questo lavoro, fregandocene dall’inizio alla fine».
Jake La Furia: «Per quanto mi riguarda ti direi di no, penso di non essermi mai sentito in gabbia, perché sono testardo e non mi arrendo mai, quindi difficilmente mi faccio intrappolare a monte dalle situazioni. Lotto con tutto me stesso per non finire in quel tipo di condizione. Questo è sicuramente un punto d’incontro tra di noi, perché ci ha permesso di ottenere questo risultato, entrambi non facciamo mistero di essere sfociati più volte nel pop, per cui avere la libertà artistica di fronte alla nostra etichetta di realizzare un lavoro del genere, un disco durissimo, è stato fondamentale».
A proposito di punti di contatto, durante la lavorazione di questo disco sono emersi degli elementi in comune che magari, in anni di amicizia e di frequentazione, non erano ancora venuti fuori?
Jake La Furia: «Che siamo dei gran tamarri lo sapevamo già».
Emis Killa: «Infatti, sapevamo giù tutto».
Jake La Furia: «No, di grandi scoperte non ce ne sono state».
Emis Killa: «Forse che siamo entrambi molto permalosi, con questo disco lo abbiamo scoperto ancora di più (ride, ndr)».
Jake La Furia: «Io sarei permaloso?».
Emis Killa: «Minchia, sì».
Jake La Furia: «Però devo dire la verità, anche se siamo entrambi permalosi, è andato tutto liscio durante la lavorazione, solo quando ho fatto i dischi da solo mi è capitato di vivere la stessa situazione».
E’ un album che, dal mio punto di vista, ha tutte le carte in regola per diventare un cult del genere, quali sono gli elementi che vi rendono più orgogliosi di questo lavoro?
Jake La Furia: «Nel mio caso, che sono tornato a rappare dopo un po’ che non avevo più voglia, credo di averlo fatto egregiamente e che sia venuto fuori un gran bel disco. Entrambi soffriamo della stessa sindrome, quando riascoltiamo le nostre cose ci fanno sempre cagare, non siamo mai soddisfatti fino in fondo. Risentendo questo lavoro sono contento di tutti i pezzi, perché sono stati ponderati, scelti alla base prima di continuare la lavorazione. Se i brani sono andati avanti è perché eravamo convinti tutti e due della loro forza, quindi, la cosa che più mi rende orgoglioso è il risultato finale».
Emis Killa: «Sì, esatto. Poi son tante tracce, sai non era facile realizzarne diciassette, tutte in qualche modo con un perché. Il suono di questo album, secondo me, pur avendo molti producer è molto omogeneo. Sono contento, ci credo molto, sappiamo che non è un disco semplice, deve piacere a quelli a cui è indirizzato, non ha l’ambizione di piacere al ragazzino in fissa con la trap, nemmeno a chi ascolta la radio mentre va a lavoro. E’ un disco fatto per chi ascoltava rap ai tempi che furono, sperando comunque di trasformare quella nostalgia in una sorta di amore rinnovato per questa roba».
Essendo entrambi milanisti, vorrei fare un parallelismo calcistico su quelli che pensate siano i vostri rispettivi punti di forza e quelli che, artisticamente parlando, considerate dei punti su cui potervi ancora allenare e perfezionare…
Jake La Furia: «Sul rap dici? Io ho solo punti di forza, non c’è nulla su cui mi devo perfezionare. Spacco il c**o a tutti!».
Emis Killa: «Mi hai fregato la risposta, adesso devo fare la parte di quello umile (ride, ndr). Scherzi a parte, non mi piaccio molto negli slow flow, sulle basi lente, ma questo penso sia dovuto un po’ alla pasta vocale, ho una voce un po’ secca».
Jake La Furia: «Secondo me devi migliorare l’autostima, non lo slow flow».
Emis Killa: «In realtà, guarda, penso di potermi migliorare in tutto ma non di dovermi migliorare. Onestamente non credo di avere qualcosa fuori posto per fare rap, anzi penso di saperlo fare più che discretamente, ma se mi chiedi cosa proprio non mi piace di quello che faccio, quando rappo sulle basi eccessivamente lente non mi faccio impazzire, anche se rispetto a qualche anno fa mi sento molto migliorato anche in questo aspetto».
Jake La Furia: «A parte gli scherzi, per me è l’esatto opposto, quando rappo nelle cose troppo veloci mi piaccio meno».
Per concludere, entrambi siete due pilastri del rap, diciamo dei giovani veterani, visto e considerato che non siete mica i Capitani Coraggiosi, non avete l’età di Gianni Morandi e Claudio Baglioni, ma avete comunque fatto scuola in un genere e, in qualche modo, cambiato le regole del gioco. Quali consigli vi sentite di dare ai ragazzi che si avvicinano oggi a questo mondo… sempre più in bilico tra real e fake?
Emis Killa: «Beh, essere real e non fake, questo è il primo consiglio. I fake fanno ridere agli occhi dei real perché, come diceva Marracash nel suo primo disco, li sgamo dagli occhi, dai gesti e dal modo di camminare. In giro vedo tante cose che non quadrano in questi ragazzetti, oltre ad essere real, il mio consiglio è quello di cercare di essere originali, perché ormai si è omologato tutto, non interessa più vedere il brand, le pose tutte storte o le foto con le pile di soldi, ste cose qui mi hanno nauseato, perché poi si riversano nella musica».
Jake La Furia: «Quello che posso dire io è una cosa molto più poetica, ai ragazzi che vogliono fare musica dico di iniziare a fare musica se vogliono fare davvero musica, perché a me sembra che l’obbiettivo sia solo quello di diventare famosi, qualunque sia il mezzo pur di ottenere visibilità. Questo, alla fine, genera un sacco di schifezze di poca qualità. Per cui, il mio consiglio è: se vi piace la musica portatela avanti perché è un gran bel mestiere».
Nico Donvito
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