A tu per tu con il cantautore toscano, vincitore della prima fortunata edizione di The Voice Senior
Ci sono vittorie che arrivano in maniera inaspettata, sono le più belle e intense. Ne sa qualcosa Erminio Sinni, che lo scorso 20 dicembre si è aggiudicato il titolo di The Voice Senior, spin-off del noto talent show “made in Holland” esportato in tutto il mondo. All’indomani di questa fortunata partecipazione, abbiamo raggiunto via Skype il cantautore toscano per parlare di questa esperienza, analizzare il suo percorso, approfondire la sua visione di vita e di musica.
Ciao Erminio, benvenuto. Partiamo dall’esperienza di The Voice Senior, ci racconti com’è andata?
«E’ stata una cosa inaspettata, credo che nessuno avrebbe immaginato una tale riuscita del programma, nemmeno la Rai stessa. Invece c’è stato un plebiscito di ascolti, di voti e di consensi. La gente aveva bisogno di una trasmissione del genere, perchè è stata trasparente, sana, senza competizione e senza cattiveria. Una bella testimonianza di insieme».
Personalmente trovo che sia stato uno dei programmi meglio riusciti degli ultimi anni, perchè si è fatto spettacolo senza spettacolarizzare un certo tipo di tematica. Questo, naturalmente, merito di tutto il team di produzione…
«Hanno fatto tutti un grande lavoro, compreso i coach. Noi eravamo una cinquantina di concorrenti, loro si sono messi sul nostro stesso livello, non c’è stata voglia di giudicare, bensì di accompagnarci e questa è una cosa bellissima. Ho trovato davvero tanta umanità, davanti e dietro le quinte».
In più credo si sia trattato anche di una vittoria corale, perchè ciascun concorrente aveva la propria storia e il proprio vissuto da raccontare…
«Guarda, questa è tutta gente che ha cominciato ad avvicinarsi a questo mestiere quando o si cantava o si faceva il pubblico. Non è come adesso che tutti fanno tutto, siamo cresciuti con un certo tipo di punti di riferimento. Credo che tutti e cinquanta meritassimo il palco della finale, sia umanamente che professionalmente».
Com’è stato lavorare con Loredana Bertè?
«Loredana è un amore di donna, l’ho scelta seguendo l’istinto. Dopo la mia esibizione alle blind auditions, mi sono ritrovato con tutte e quattro le poltrone girate, in completo imbarazzo, perchè non me lo sarei mai aspettato. Portando gli occhiali, da quando vedo meno riesco ad avvertire di più ed è come se mi fosse arrivata una folgorazione. Ho scelto bene perchè ho trovato una persona con il cuore caldo, che mi ha trasferito la grinta, quella che a volte a me manca. Mi ha incoraggiato, sempre. Vedendoci poco, più che vederla, ho avvertito la sua presenza. Sai, in studio è pieno di luci. Devi sapere che, per quanto riguarda il simbolo di The Voice, solo dopo diverse puntate mi sono accorto che non era un coniglio bensì una mano (ride, ndr)».
Tra l’altro tu avevi lavorato anche con sua sorella, con Mimì…
«Sì, ho avuto la fortuna di avere la stessa produzione di Mimì. In quel periodo lavoravamo nello studio affianco al suo, così mi sono ritrovato per caso, insieme a Stefania La Fauci e Ricky Gianco, a registrare i cori del brano “Agapimu”, presente nel suo disco “Martini Mia…” dell’89, quello di “Almeno tu nell’universo”. Mi emozionavo ogni volta che lei apriva bocca. La cosa triste è che non sono mai riuscito a vederla ridere con gli occhi, sicuramente gli anni di sofferenza le avevano tatuato nell’anima qualcosa di oscuro, questo si avvertiva anche nel suo modo di cantare».
Hai partecipato due volte a Sanremo, una in veste di co-autore nell’89 con “Tutti i cuori sensibili” di Stefania La Fauci e poi nel 1993 in gara da protagonista con “L’amore vero”. Che tipo di esperienza è stata per te il Festival?
«Importantissima di sicuro. Mi sono ritrovato a cantare sopra un palco così prestigioso, tra l’altro una canzone che avevo scritto di mio pugno in cameretta qualche tempo prima e che, addirittura, avevo presentato anche l’anno precedente senza successo. Ero orgoglioso di essere prodotto da Cocciante, per me una delle più belle voci che abbiamo in Italia insieme a Eduardo De Crescenzo e Pino Mango. Ero un fan di Riccardo, pensa che ero andato per una settimana intera tutte le sere al Sistina a vedere il concerto de “La grande avventura”. Poi ci siamo conosciuti per caso, la prima volta mi esibii facendogli sentire “L’amore vero” al suo pianoforte con la bozza di “Margherita” appiccicata sopra. Lui decise di produrmi il disco, andammo a Sanremo, sembrava di vivere dentro un film, almeno fino a quel momento».
Poi è successo qualcosa, il classico telefono che comincia a squillare di meno. Questo però in Italia, perchè in America Latina continui ad ottenere un buon successo dopo che “L’amore vero” era diventa la sigla di una famosa telenovela. Ti sei mai sentito un non profeta in patria?
«Sempre, specialmente in una parte d’Italia. Mi sono sentito molto coccolato dalla Campania, un affetto che mi ha permesso di continuare a credere in questo sogno. Poi anche Roma, che mi ha accolto da quando avevo diciotto anni, qui ho trovato un’enorme famiglia. Invece, in tante altre parti del nostro Paese mi è stata negata questa possibilità, non ne voglio parlare perchè vorrei concentrarmi solo sulle cose belle».
Hai ragione, ma la vita è fatta di alti e di bassi, ne rappresenta una fedele rappresentazione quest’ultimo disgraziato 2020. Prima di vincere The Voice hai avuto il Covid, personalmente te lo leggo negli occhi. In che modo senti di essere cambiato dopo la malattia?
«Mi ha migliorato. Mi sono ritrovato da solo in ospedale, pensa che tutt’ora mia madre non sa niente, sono riuscito a nasconderglielo. In quei momenti di isolamento e di solitudine ho provato una sensazione strana, perchè finalmente stavo pensando solamente a me stesso. Per tutta la vita mi sono sempre concentrato sul resto e poco su di me, per cui sono stato molto orgoglioso di avere sconfitto il virus. Mi ha cambiato perchè mi ha sviluppato un enorme sensibilità in più, io prima non mi commuovevo quasi mai, da allora mi capita di piangere come un bimbo. Dopo la vittoria di The Voice sono rimasto imbalsamato, una volta in albergo ho dormito per cinquanta minuti, poi mi sono svegliato e ho pianto dal 21 notte al 28 a pranzo, ma con dolore. Piano piano sto cominciando a vedere il bello di tutta questa situazione che, non so per quale motivo, inizialmente tendevo a nascondermelo».
A chi senti di dedicare questa vittoria di The Voice Senior?
«La dedico alla mia compagna, a babbo, a mamma e a mia sorella. La dedico a tutto il personale dell’Umberto I di Roma, a tutti i sanitari, sia medici che infermieri, a cui dirò grazie per tutta la vita».
E ora che succede? Quali sono i tuoi prossimi progetti in cantiere?
«Ho tante canzoni nel cassetto, oltre 500. Nella mia vita ho sempre scritto per fermare le immagini, avendo la fortuna di non essere bello invece di farmi i selfie componevo canzoni (sorride, ndr), cercando di trasformare momenti ordinari in straordinari. In più Loredana mi ha proposto un duetto con lei, non vedo l’ora».
Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver imparato dalla musica fino ad oggi?
«La musica ha fatto sì che diventassi una persona migliore, forse le tante porte chiuse sono servite a questo. La lezione è che quello che non ti può dare una vita intera te la può regalare un secondo, che le cose cambiano quando meno te lo aspetti, nel bene e nel male. Vivere il presente, gioire di quello che abbiamo e non lamentarci di quello che ci manca. Proprio in questo periodo ci stiamo accorgendo di quanta libertà avevamo, di quante cose davamo per scontato. Godere del momento, ecco… questo ho imparato».
Nico Donvito
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