Eugenio Finardi: “La musica è connessione con l’assoluto” – INTERVISTA

Eugenio Finardi

A tu per tu con Eugenio Finardi per parlare del suo nuovo album “Tutto”, che arriva a undici anni di distanza dal pretendete. La nostra intervista a un autentico Maestro

A cinqunt’anni dal suo esordio discografico, Eugenio Finardi torna con un nuovo album dal titolo emblematico: Tutto“, in uscita il 9 maggio. Un disco nato da un lungo lavoro in studio, realizzato insieme al suo storico collaboratore Giuvazza, alias Giovanni Maggiore, che ripercorre mezzo secolo di musica e di pensiero attraverso suoni rinnovati e una riflessione profonda sul tempo, l’identità, la fragilità e la memoria.

Nell’intervista, il cantautore milanese ci racconta il processo creativo, l’influenza dei Beatles, l’equilibrio ritrovato tra le sue due anime, quella italiana e quella americana, e la forza della musica in quanto connessione con l’assoluto.

Eugenio Finardi presenta il nuovo disco “Tutto”, l’intervista

In conferenza stampa hai raccontato che il processo creativo è durato sei mesi. Come si è sviluppato?

«È nato guardando il documentario “Get Back” dei Beatles. Mi ha colpito la loro etica di lavoro: si trovavano ogni giorno alle undici di mattina, qualunque fosse il loro stato, e suonavano fino alle sette di sera. Ho proposto a Giuvazza, mio collaboratore da ormai quattordici anni anni, di lavorare con quello stesso spirito. Dopo un mese avevamo già un paio di brani e da lì abbiamo continuato per sei-sette mesi, tra sovraincisioni e varianti. Abbiamo lavorato più per “formazione” che per ispirazione, provando diversi rapporti armonici. Molti brani avrebbero potuto prendere altre strade».

Questo album arriva a cinquant’anni dal tuo esordio discografico con “Non gettate alcun oggetto dai finestrini”. C’è qualcosa che unisce quel primo disco con quest’’ultimo?

«Sì, credo l’atteggiamento. Allora sperimentavamo molto: c’era Battiato ai synth, musicisti eclettici, suoni nuovi. Quello spirito di ricerca è rimasto anche in “Tutto”. Oggi affrontiamo nuovi suoni e nuovi modi di creare, che allora non erano possibili per limiti tecnologici».

Nel singolo “Futuro” ti autociti e smentisci una tua celebre canzone affermando: “ormai si è capito che non esistono gli extraterrestri”. Come nasce questa frase?

«Il fatto è che in cinqunt’anni non si sono mai visti! In realtà lo diceva già Fermi: se c’è vita là fuori, perché non l’abbiamo mai incontrata? Forse ci sono forme di vita intelligenti che non hanno bisogno di conquistare lo spazio. Ma oggi il vero problema è salvare il nostro pianeta. È la nostra astronave, e non ce ne stiamo occupando abbastanza».

In altre occasioni hai parlato del tuo senso di alienità, dovuto alla doppia cultura italiana e americana. In questo disco sembri più sereno. Ti ha aiutato a fare pace con quella diversità?

«Sì, ho guardato la sofferenza negli occhi. Questo è un disco in cui affronto le fragilità, ma anche un periodo in cui ho raggiunto una certa serenità. In alcune tracce c’è accettazione, in altre consapevolezza del limite».

La mia canzone preferita è “La battaglia”. Un testo davvero potente sul rapporto genitori-figli. Da dove nasce?

«È un tema che mi affascina da sempre. Già anni fa avevo scritto con Vittorio Cosma sul fatto che quel rapporto fosse una forma di lotta. Ho ripreso quegli appunti: l’idea che il genitore debba combattere per trasmettere i propri valori, ma allo stesso tempo lasciar andare. Il compito del genitore è dare, anche a costo del sacrificio. E non è facile».

Dopo undici anni sei tornato in studio, ma nel frattempo hai portato in tour Eufonia e Anima Blues, due progetti molto diversi. Quanto hanno influenzato questo disco?

«Molto. Entrambi i tour erano basati sull’ascolto reciproco e l’improvvisazione. Anche questo disco nasce così. È difficile capire dove inizi una mia idea e dove finisca quella di Giovanni. C’è una vera collettività creativa. È un aspetto nuovo, ma in fondo è sempre stata la mia cifra: creare un suono insieme ai musicisti che ho accanto».

Per concludere, sei stato il primo a valorizzare davvero i musicisti nei tuoi album, anche nominandoli nei crediti. Hai dato tanto alla musica, ma cosa ha dato la musica a te?

«La musica è una connessione con l’assoluto, con qualcosa che ci supera. Tutti tendiamo a questo: che sia attraverso la matematica, la geometria o l’arte. In questi anni ho imparato ad aprirmi ancora di più. Ci chiudiamo troppo presto all’ascolto di ciò che non conosciamo. Sto allenando le mie orecchie ad apprezzare anche ciò che non capisco, ma che so essere bello per altri. Desidero scoprire il perché».

Scritto da Nico Donvito
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