La nostra intervista ai supporters per antonomasia della storica kermesse musicale europea
Ciao ragazzi, in cosa consiste l’attività dell’OGAE Italy?
«OGAE è il fan club ufficiale dell’Eurovision Song Contest dal 1986, presente in oltre 40 paesi tra cui l’Italia dove è stato fondato nel 1990. Il nostro scopo è promuovere la musica e la cultura dell’Eurovision nel nostro paese».
Da anni date supporto sia ai nostri rappresentanti che all’intera macchina organizzativa eurovisiva. In che modo riuscite a scindere il sano patriottismo dall’obiettività del fairplay che, in una gara, non può mai mancare?
«Non è facile, cerchiamo di essere obiettivi ma siamo anche fan, i nostri rappresentanti ci aiutano perché sono sempre grandi artisti e portiamo canzoni di cui andare veramente orgogliosi».
All’Eurovision, come nella vita in generale, la vittoria conta ma fino ad un certo punto. Oltre alla condivisione e allo scambio culturale, quali sono gli aspetti che vi spingono a seguire con così tanta passione questa manifestazione?
«L’Eurovision è una grande festa, c’è una gara ma si tifa per tutti, per chi come noi la vive dal vivo è un incontro di persone e di culture, un’olimpiade della musica».
Ma, in fin dei conti, anche vincere non sarebbe male… un titolo che all’Italia manca dal 1990, eppure la nostra musica ha sempre influenzato ed ispirato il mondo intero, onestamente più in passato che nell’attuale scenario. Cosa ci è mancato negli ultimi anni per ottenere un riconoscimento spesso sfiorato per un soffio?
«Certo! Ricordiamo che l’Italia è stata assente per molti anni e dal rientro, nel 2011, ha comunque raggiunto un secondo posto con Raphael Gualazzi, un terzo con Il Volo, un sesto posto con Francesco Gabbani, il settimo con Marco Mengoni e il nono con Nina Zilli, sono cinque piazzamenti in top 10 in sette anni. Cosa manca per vincere? Un pizzico di fortuna e una maggiore attenzione allo staging, alla presentazione, materia in cui altri paesi sono molto forti».
Veniamo a quest’anno. Onestamente, quante possibilità hanno Ermal Meta e Fabrizio Moro di regalarci un po’ di gioia tricolore? Soprattutto visto l’esclusione della Nazionale dai mondiali di calcio…
«Difficile rispondere, i bookmakers ci danno intorno al decimo posto ma la canzone ha un messaggio importante, potrebbe essere una sorpresa».
Con Il Volo e Francesco Gabbani eravamo considerati vincitori annunciati e, purtroppo, non ha portato benissimo. Partire in sordina da outsider può rappresentare un vantaggio?
«In effetti meglio partire dalla retrovie, anche per non rimanere scottati, le vittorie degli ultimi due anni (Jamala e Salvador Sobral) non erano affatto pronosticate».
Un brano come “Non mi avete fatto niente” smuove coscienze e unisce tutti, almeno moralmente. Quali sono i limiti che può avere e su cosa si può puntare per ottenere più “twelve points” possibili dalle altre nazioni?
«La cosa più importante è trasmettere il messaggio, con l’interpretazione e, in questo senso, anche l’idea di far comparire il testo del brano in quindici lingue durante l’esibizione è sicuramente azzeccata».
Chi dobbiamo temere tra gli altri partecipanti? Quali canzoni hanno colpito di più?
«La Francia, che come noi ha una storia importante da comunicare, Israele, favorita dai bookmakers, con il pezzo più originale, ma anche Estonia, con la pop opera in italiano, o la Norvegia, che schiera Alexander Rybak già vincitore nel 2009».
Per concludere, un pronostico: chi vincerà l’Eurovision Song Contest 2018?
«Per scaramanzia non lo diciamo, noi abbiamo un sogno, riportare l’Eurovision in Italia».
Nico Donvito
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