A tu per tu con Fabrizio Paterlini, uno dei pianisti italiani più conosciuti al mondo con 4 milioni 200 mila ascoltatori mensili su Spotify
Con oltre 15 anni di carriera e tour che lo hanno portato a esibirsi in tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Cina, Fabrizio Paterlini ha costruito una solida fama. Tra i suoi brani più celebri, spiccano “Waltz” e “Rue des Trois Frères”, quest’ultimo apprezzato pubblicamente anche dall’attore Chris Evans.
Le sue composizioni crossover, caratterizzate da un’impronta unica e una profondità che tocca l’anima, sono spesso utilizzate in film e serie TV, specialmente negli Stati Uniti. Nel 2007 ha pubblicato il suo primo album per piano solo “Viaggi in aeromobile”, da allora la sua musica ha iniziato a viaggiare per tutto il mondo passando dalle composizioni per pianoforte a brani che intrecciano il piano con la musica elettronica.
Artista orgogliosamente indipendente, nel 2016 ha fondato la sua etichetta Memory Recordings, con l’intenzione di mettere al servizio degli altri musicisti la sua esperienza. Il suo ultimo album di inediti è “Riverscape” del 2023, ruota attorno al tema del fiume, sviluppato in collaborazione con la fotografa naturalista olandese Kristel Schneider. Questa estate ha pubblicato attraverso i suoi social brevi componimenti di un minuto che sono stati raggruppati nell’album “Summer Stories”, ora disponibile sulle piattaforme digitali. Paterlini è al lavoro su nuove composizioni che usciranno nel 2025.
Intervista a Fabrizio Paterlini
La tua carriera ha raggiunto traguardi straordinari: quest’anno sei stato ascoltato in 183 paesi e hai totalizzato 259 milioni di stream. Riesce ancora a sorprenderti la portata globale della tua musica?
«Penso raramente agli ascolti che la mia musica ha raggiunto, soprattutto in questi anni. Certo, rimango grato e consapevole dei risultati ottenuti, ma il mio sguardo è sempre volto a progetti futuri, a cose da fare, palchi da solcare e non trovo il tempo per fermarmi e dirmi “beh, niente male!”».
In che modo pensi che il tuo stile, che unisce la tradizione classica con il linguaggio contemporaneo, riesca a superare le barriere linguistiche e culturali?
«Credo che il segreto di questa musica sia la sua grande onestà, il suo essere diretto e senza fronzoli. In un mondo sempre più “veloce”, ascoltare musiche in cui i tasti del pianoforte suonano note così dilatate, con questi silenzi e respiri, credo porti l’ascoltatore in una dimensione più “umana”, un posto in cui è piacevole stare».
Cosa hai appreso dalla condivisione con culture così lontane e diverse dal nostro background?
«Quello che è sorprendente è vedere che in Cina come in Olanda, le persone si emozionano profondamente quando ascoltano questa musica. Non esistono barriere o distinzioni di sorta, la platea è sempre immersa in un religioso silenzio e, dopo i concerti, molte persone mi dicono che chiudono gli occhi e “volano” in altri posti, proprio mentre assistono al concerto. E questo succede ovunque, a Utrecht come a Pechino».
Come descriveresti il processo creativo dietro le tue composizioni?
«Il processo creativo è basato sull’improvvisazione: mi siedo al piano, inizio a suonare e registro. A volte questo non porta a nulla e passo intere mattinate ad arrovellarmi attorno ad un giro di accordi che non porta a nulla, a volte è sufficiente un istante per cogliere l’ispirazione e veramente in pochissimo tempo chiudo un brano nuovo».
Quanto la tua musica è influenzata dalla formazione classica e quanto invece da un approccio più moderno?
«Sono molto grato degli studi classici fatti, mi hanno dato strumenti importanti soprattutto nella capacità di esprimere al meglio le melodie che compongo. Il modo di suonare il pianoforte, la sua dinamica, la tecnica rimangono una base solida che aiuta tantissimo, soprattutto quando si suona dal vivo».
Come ti approcci alla fusione di generi e quali sfide comporta l’integrazione di elementi elettronici in composizioni che nascono al pianoforte?
«Le sfide principali, circa l’incorporare altri strumenti insieme al mio piano, riguardano soprattutto la “misura” con la quale usare questi ulteriori colori. Ad oggi, abbiamo intere orchestre e centinaia di strumenti nel nostro hard disk ed è facile farsi prendere la mano e aggiungere cose. La vera sfida, invece, è trovare il giusto compromesso e fare in modo che elettronica e sintetizzatori valorizzino le linee di piano».
Come vedi l’evoluzione della tua musica nei prossimi anni e cosa puoi anticiparci riguardo i progetti a cui stai lavorando per il 2025?
«Per la primavera sto lavorando ad un progetto per piano solo, del quale magari parleremo la prossima volta! Ho iniziato in questi giorni a lavorare a nuovo materiale, in compagnia di amici musicisti e il prossimo lavoro credo si staccherà un po’ da quanto fatto fino ad ora».
Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver appreso dalla musica fino ad oggi?
«Non saprei, con la musica non si smette mai di imparare e di crescere. Vita, musica, ispirazione vanno a braccetto e ci deve essere equilibrio tra una e l’altra. L’”arte dell’equilibrio”, forse è questo l’insegnamento che sto ancora imparando, dopo tutti questi anni».