A tu per tu con la band perugina, in uscita con il nuovo intenso singolo intitolato “Come conchiglie“
Tempo di nuova musica per i Fast Animals and Slow Kids, conosciuti con l’acronimo diminutivo di Fask, gruppo musicale con alle spalle dieci di attività, un bel bagaglio di canzoni e concerti. Si intitola “Come conchiglie” il singolo che segna il loro ritorno, a un anno di distanza dalla pubblicazione del loro ultimo album “Animali notturni”. In occasione del lancio di questo nuovo inedito, abbiamo raggiunto telefonicamente la voce e il frontman della della rock band perugina, per una piacevole e intensa chiacchierata.
Ciao ragazzi, benvenuti. Partiamo dal vostro nuovo singolo “Come conchiglie”, cosa racconta?
«”Come conchiglie” è una canzone abbastanza umorale, abbiamo preso degli istanti, dei momenti, li analizziamo e ci analizziamo, per poi metterli in musica. Di fatto è un po’ una cronistoria di un periodo che abbiamo vissuto, un periodo che si colloca in un’ambientazione comune a tutti, mi riferisco naturalmente al lockdown, che ha scaturito una serie di riflessioni che, di persona in persona, si sono evolute in maniera differente. Noi abbiamo fatto l’unica cosa che, probabilmente, sappiamo fare ovvero nasconderci nella musica ed è venuto fuori questo pezzo, un brano che funge da autoanalisi, da terapia».
Il tempo che passa, a volte colpisce, a volte scalfisce. In questo preciso momento storico ci siamo aperti un po’ tutti all’introspezione, quanto durerà questa autoanalisi collettiva?
«Non ne ho idea, credo dipenda dalla sensibilità delle persone. Se dovessi risponderti personalmente, per quanto riguarda la mia esperienza, penso che l’introspezione non finisca mai. Una volta che si comincia a scoprire se stessi, a porsi delle domande, quando inizia piano piano a scavare dentro di te, credo sia una sorta di processo inarrestabile. Alcune persone, magari, tendono a rimandare tutto questo, perchè la pressione dell’esistenza ti permette anche di non ritagliarti momenti riflessivi, ma una volta iniziato a scavare capisci che non ne puoi più fare a meno. Una volta che lo fari normalmente non torni indietro, perché scopri dei lati di te inimmaginabili, che ti affascinano e sconvolgono al tempo stesso».
C’è una frase che, secondo te, rappresenta e sintetizza il significato di questo pezzo?
«Essendo una canzone molto ma molto personale, ogni singolo verso è strettamente collegata al mio vissuto. Per esempio, la frase “Muovo il pendolo del cuore fra la rabbia e il dolore” descrive esattamente quello che mi è accaduto, ci sono stati dei momenti in cui non sapevo da che parte ondeggiare, dove andare a sbattere, mi sono sentito come una barca in mezzo ad una tempesta. Forse quella è la frase che mi rappresenta di più in questo periodo storico, anche se non ti nascono che mi piacerebbe che ognuno interpretasse questa canzone a modo proprio».
Dal punto di vista musicale, a cosa si deve la scelta di abbracciare un sound così acustico, intimo e coinvolgente?
«Prima di tutto, per essere totalmente sinceri, ti risponderei facendo riferimento alla condizione che stiamo vivendo, nel sonso che siamo limitati da un punto di vista tecnico, è difficile registrare in casa una batteria che suoni degnamente, è difficile catturare il suono di una chitarra elettrica se non puoi alzare a tre milioni l’amplificatore saturando come deve essere, altrimenti i vicini ti picchiano (sorride, ndr). Queste cose si possono fare dentro una sola prove o in uno studio di registrazione, quindi, per noi è stata una limitazione. A partire da questo, abbiamo sfruttato le possibilità che avevamo davanti cercnado, come sempre, di farlo nella maniera più creativa possibile».
Cosa aggiunge “Come conchiglie” al vostro discorso musicale? Mi riferisco in particolar modo al vostro ultimo album “Animali notturni”
«Guarda, io non lo so, non te lo saprei dire. La verità è che volevamo solo pubblicare questo brano, ci sono dei momenti in ambito musicale in cui non ti chiedi cosa stai facendo o perchè, lo fai e basta, almeno per noi è da sempre così. E’ stato come soffriarsi il naso su un fazzoletto e buttarlo fuori dal finestrino sull’autostrada, in un gesto poco green (sorride, ndr). Non so cosa aggiunge, in raltà ci siamo chiesti se avrebbe tolto qualcosa, ma cosa deve togliere un pezzo in più? Ci siamo domandati se potesse essere controproducente, ma la voglia di farlo uscire è stata assolutamente più forte».
Dieci anni di carriera sono decisamente un bel traguardo, qual è il tuo personale bilancio?
«Sono assolutamente soddisfatto del percorso fatto, la nostra band è nata in un contesto in cui non avevo nemmeno la chitarra, me la prestavano. In più abbiamo scelto di chiamarci Fast Animals and Slow Kids, un nome impossibile, difficile da ricordare e pronunciare, proprio perchè non c’era nemmeno vagamente l’idea di fare realmente questo di mestiere, il nostro obiettivo era esclusivamente quello di stare insieme e suonare le cose che ci piacevano di più. Dopo aver militato ciascuno di noi in tanti gruppi, avevamo deciso di mettere su una band di amici, di godercela. Se oggi ripenso a questo, puoi capire quanto è grande la mia gioia, parlare di bilanci e di questi dieci anni fantastici è qualcosa di indescrivibile. Fare musica con gli amici di sempre è un traguardo che auguro a chiunque».
Per concludere, che ruolo può avere la musica in questa delicata situazione scaturita dall’emergenza sanitaria?
«Credo che avrà due ruoli principali, il primo è quello distensivo, la musica ti riconnette con te stesso e ti porta a fare un passo indietro rispetto alle peressioni e ai pensieri opprimenti. Il secondo, invece, è un ruolo riflessivo, perchè una volta che ti sei scrollato di dosso il peso e la gravità delle varie situazioni, a quel punto hai il tempo per ragionare su di esse, capire qual è la decisione migliore. La musica è una compagna che ti sta accanto, lasciandoti il tempo ponendoti le giuste domande, portandoti a prendere le decisioni più corrette per il tuo percorso».
Nico Donvito
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