Quando per vendere si è disposti a svendere
“Se non vendi non conti nulla”: quante volte abbiamo sentito questa assurda, quanto assoluta, verità negli ultimi anni nel, sempre più ristretto, contesto del mercato discografico italiano? D’altronde lo dice il termine stesso: la discografia è un “mercato” pertanto si basa sulle vendite, sui numeri di dischi distribuiti o di biglietti staccati per gli spettacoli live. Eppure, non sempre è stato così. O almeno, non solo così. Perché, certo, anche in passato i numeri di vendita erano importanti ma perlomeno non erano tutto. C’era, forse, quella volontà di coniugare ai numeri una qualità che, in qualche modo, giustificasse i risultati raggiunti. Oggi, invece, spesso la qualità non appartiene a chi i grandi numeri riesce ancora a farli (ammesso che esistano, perché quelli che per noi oggi sono risultati clamorosi qualche lustro fa erano il minimo indispensabile). Qualità e quantità sembrano aver preso due strade nettamente divise, quasi parallele.
Ma se allora l’importante è vendere e la qualità non è più il motore di tutto, cosa fa si che un disco, o meglio un prodotto, riesca ad entusiasmare il mercato? Per qualche tempo è stata sicuramente la TV a fare la voce grossa, e ancora oggi spesso riesce a farla, insieme alla sempre presente radio. Oggi c’è sicuramente anche il web a spadroneggiare, ma spesso tutto ciò non basta e occorrono, dunque, dei trucchetti per portare a casa il risultato.
L’invenzione più riuscita del sistema discografico degli ultimi anni è quella del firma-copie: frenetici appuntamenti in cui chi compra il disco ha diritto ad un autografo e una fotografia con l’artista, il tutto condito da abbracci, baci e colate di trucco a non finire. 10-15 secondi a testa, non di più ma cosa non si farebbe per poter vedere da vicino il proprio idolo, soprattutto se si è degli adolescenti in piena fase ormonale? Talvolta si arriva addirittura a inscenare veri e propri fotoromanzi in cui qualche bel artista si stritola e s’abbraccia ragazzine minorenni che, ovviamente, sognano ad occhi aperti. Peccato che, a vederle da fuori, certe situazioni appaiano anche in modo diverso e, quasi, pericoloso. A sorriderne poi son le vendite, naturalmente. E quindi via a lunghissimi instore tour con più appuntamenti possibili che si tramutano, come in una perfetta equazione, in copie su copie vendute.
Le ultime trovate, poi, sono quelle delle chiamate a sorpresa o dello scambio di like sui social: tra tutti coloro che comprano il disco qualche fortunato potrà ricevere una chiamata, di un minuto massimo, dal proprio idolo musicale o vedersi ricambiata l’amicizia o il following su Facebook o Twitter che sia.
Ultimo, ma non meno incisiva, la pratica della ri-edizione degli album: dopo qualche mese dall’uscita del disco magicamente l’artista è ispirato e scrive qualche canzone che inspiegabilmente si coniuga perfettamente con l’album già pubblicato. Quale pretesto migliore per ristamparlo e farlo comprare nuovamente alla gente? La cosa imbarazzante è il fatto che, il più delle volte, queste canzoni “nuove” vengono appositamente escluse dalla prima edizione pensando proprio ad una ristampa per guadagnare qualche numero in più. Ed è, forse, proprio questa la moda più attuale. Quest’anno ha fatto una riedizione praticamente chiunque nel mercato italiano: Fiorella Mannoia, JAx e Fedez, Tiziano Ferro, Michele Bravi, Francesco Renga, Paola Turci, Ermal Meta, Francesco Gabbani, Levante, Laura Pausini… Per non parlare delle raccolte che, per più di qualche nome, arrivano più spesso degli album d’inediti oramai (Zucchero, Elisa, Vasco Rossi, Aftherhours). Il tutto risuona, inevitabilmente, come una grandissima presa in giro verso il pubblico soprattutto se si pensa che alla pubblicazione di un album fanno seguito mesi intensi e densi d’impegni che ben poco spazio lascerebbero ad un fulmineo ritorno in studio. E su, chi ci crede che le nuove canzoni siano arrivate magicamente la settimana dopo aver pubblicato l’album? Da questo punto di vista risultano più onesti coloro i quali ricorrono alle (ugualmente imbarazzanti ma perlomeno giustificabili) rivisitazioni dei brani in chiave live, di duetti o di arrangiamenti degli stessi brani editi. Tuttavia sempre di trucchetti per vendere si sta parlando.
A cosa si è disposti pur di vendere qualche copia in più? Persino a svendere se stessi, la propria arte, la propria credibilità e il proprio pubblico che, da fautore del successo, si trasforma in una mera “macchina sgancia soldi” da sfruttare. Peccato che così il guadagno alla lunga tenda inevitabilmente a ridursi sempre più.
Ilario Luisetto
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