Frah Quintale: “Per ogni discesa c’è una salita” – INTERVISTA

A tu per tu con Frah Quintale che si racconta in occasione dell’uscita del nuovo disco “Amor proprio”. La nostra intervista al cantautore bresciano
A tre anni dal suo ultimo progetto solista e dopo il successo di “Lovebars” con Coez, Frah Quintale torna con un album intenso e personale, intitolato “Amor proprio“, in uscita il 10 ottobre per Undamento / Warner Music Italia. Si tratta di un viaggio emotivo in 11 tracce che mescolano vulnerabilità e leggerezza, solitudine e riscatto. Al centro del disco, il concetto dell’amore per sé stessi come primo passo per imparare a stare al mondo, affrontare i cambiamenti e (ri)trovare un equilibrio. Un percorso nato da una rottura e coltivato nel tempo, che il cantautore ha trasformato in musica, parole e immagini: la cover dell’album ritrae infatti una tela dipinta dall’artista stesso, simbolo di una “cassetta degli attrezzi” interiore da cui attingere per sistemare ciò che si è rotto.
Tra i featuring del disco spiccano i nomi di Colapesce, Joan Thiele e Tony Boy, tre collaborazioni nate all’insegna dello scambio e dell’affinità creativa. Ma “Amor proprio” è anche il preludio a una nuova tappa importante: il primo tour nei palazzetti italiani, in arrivo ad aprile 2026 con sei date prodotte da Live Nation. Lo abbiamo incontrato alla vigilia dell’uscita per farci raccontare il senso profondo di questo lavoro, il rapporto con la solitudine, le collaborazioni e la voglia di festeggiare dieci anni di carriera con un nuovo passo in avanti.
Frah Quintale racconta “Amor proprio”, l’intervista
Il rapporto più complicato che possiamo instaurare nel corso della nostra esistenza, è indubbiamente quello con noi stessi. Che significato assume per te questo concetto e cosa ti ha spinto a scegliere “Amor proprio” come titolo di questo nuovo album?
«Il titolo è stata la prima cosa che mi ha davvero colpito. Mi piace l’idea della ricerca su se stessi. Amo molto la solitudine, interrogarmi, farmi domande. La fase embrionale del disco è nata da una rottura, un distacco, cambiamenti vari. Quando ti ritrovi da solo, ti autodetermini, ti ricostruisci. “Amor proprio” non è inteso come individualismo, ma come lavoro su se stessi per poter stare in mezzo agli altri. E attorno a questo concetto ho cucito le tracce del disco, tra relazioni, amicizie, perdite, solitudine… come una cassetta degli attrezzi che, una volta aperta, contiene molto di più».
In questo disco hai scavato molto in te stesso. Qual è la cosa più importante che hai imparato durante la fase di scrittura?
«Che non si smette mai di imparare. Ma forse la cosa che ho realizzato è che tante cose nella vita sono cicliche. Per ogni discesa c’è una salita e viceversa. Con la chiusura di questo disco si chiude anche un cerchio, una fase della mia vita».
Il concetto di “imparare a stare da soli” ricorre spesso tra le tracce. Per volersi bene, bisogna anche avere un buon rapporto con la solitudine. Ma in una società iperconnessa come quella attuale, secondo te, come ci si tutela?
«Non mi definisco un lupo solitario, ma non soffro la solitudine. Paradossalmente viviamo in una società super connessa e allo stesso tempo super individualista. Il mio modo di affrontarla è lavorare su me stesso, per poi cercare di star bene in mezzo agli altri».
Colapesce, Joan Thiele e Tony Boy sono i tre ospiti di questo lavoro. Quali sono i punti di contatto che hai trovato con ciascuno di loro e cosa pensi di aver assorbito da questi incontri?
«Il punto di contatto secondo me è la scrittura. Tutti e tre hanno caratteristiche forti: Joan ha un tocco cinematografico, Colapesce ha il mare, la Sicilia nelle parole, Tony è più terra a terra, street. Ho ritrovato in loro diverse sfaccettature della mia scrittura. E lavorare insieme è stato uno scambio, ci siamo messi tutti al servizio della musica».
A proposito di Joan Thiele, lo scorso anno ti ha invitato ad accompagnarla nella serata cover di Sanremo sulle note di “Che cosa c’è” di Gino Paoli. Che esperienza è stata il debutto all’Ariston? Ti piacerebbe tornarci in gara?
«Bella e intensa. Non avevo mai considerato davvero Sanremo. Con Joan c’è un bel rapporto artistico. Sapevo che avrebbe fatto bene al Festival, il suo pezzo era fortissimo. Quando mi ha invitato, è stata un’occasione perfetta. Quest’anno mi concentro sul disco e poi ad aprile parte il tour nei palazzetti. Non ti dico che ci andrò l’anno prossimo, ma nella vita mai dire mai. Sanremo è cambiato e anche io sono cresciuto: vent’anni fa avrei detto “no, è roba da vecchi”, ora mi sento più vicino. Forse ci si incontra a metà strada».
Palazzetti ’26 sarà la tua prima volta nei grandi spazi. Come stai pensando di far coesistere in un’unica scaletta le tracce di questo nuovo disco con le altre canzoni del tuo repertorio?
«Vorrei che fosse una festa, una celebrazione dei dieci anni dalla mia prima pubblicazione nel 2016. Non solo pezzi di “Amor proprio”, ma anche featuring, brani dei dischi precedenti, ospiti sul palco. Il tour con Coez mi ha fatto prendere le misure con spazi così grandi. Non è una passeggiata, ma mi sento più preparato. La responsabilità c’è, ma non mi spaventa. Voglio solo che tutto arrivi al meglio».
Per concludere, quali skill pensi di aver acquisito con questo disco rispetto ai tuoi lavori precedenti?
«Intanto, mi sono preso il tempo. Spesso si corre dietro alle scadenze, ai singoli. Io ho lasciato sedimentare tante cose. Mi sono dato la libertà di fare una panoramica sul disco intero. Inoltre, l’esperienza con Coez mi ha insegnato molto: scrivere insieme, stare in studio con un’altra persona dopo tanto tempo… quando sono tornato da solo, ho riportato tutto in ciò che stavo scrivendo. Penso che “Amor proprio” sia un disco più maturo e consapevole».