Domenica 25 giugno Francesco Baccini sarà di scena a Torino nella prestigiosa rassegna gratuita nazionale “Parco Dora Live”, che ospiterà a luglio anche gli attesi concerti di Mario Venuti, Dontella Rettore, Silvia Mezzanotte dei Matia Bazar e Alexia nel gran finale del 30 luglio (www.parcocommercialedora.it).
Dopo le micidiali arringhe di Maurizio Scandurra (che potete rileggere in esclusiva qui sul nostro portale), che non perde occasione di esprimere giudizi feroci su Maria de Filippi e Amici (così come anche il noto critico musicale Lele Boccardo, autore del fortunato noir musicale “Il rullante insaguinato” per Sillabe di Sale Editore e con cui abbiamo affrontato un’interessante chiacchierata musicale che potete rileggere qui), arriva il duro affondo di Francesco Baccini, che non le manda certo a dire alla nota conduttrice Mediaset, come racconta nella seguente intervista che riceviamo e pubblichiamo.
Buongiorno Francesco. Per prima cosa, puoi fare un paragone tra la società italiana che fa da sfondo al tuo libro Nudo (uscito nel ’93 con Bompiani, e attualmente ristampato da Aletti), e quella che emerge dal tuo ultimo singolo musicale Ave Maria – facci apparire?
«La società, sostanzialmente, è cambiata poco. È così dal dopoguerra, dal ’46. Ci sono stati poi quaranta anni di Democrazia Cristina che, facendo riferimento alla Chiesa (un vero must da noi), prendeva voti sia da destra che da sinistra. Conservare è la logica dell’Italia: in tutto il mondo c’è il bipolarismo, qui c’è il centro. In più, siamo sempre stati un Paese colonizzato dagli Stati Uniti, da cui abbiamo preso McDonald, cowboy e quant’altro… anche i serial killer! (ridiamo insieme, ndr), e il modo di fare televisione».
Eppure la tv era diversa, all’inizio.
«La tv è cambiata con Berlusconi, che ha portato in Italia la tv americana, compiendo un’operazione che la Rai non avrebbe mai potuto azzardare, essendo nata sul modello della Bbc inglese, e quindi con l’obiettivo di informare, educare e intrattenere. In Rai c’era un canale solo, che trasmetteva soltanto il Venerdì sera, e forse quell’approccio della Tv, agli occhi di oggi, potrebbe passare per noioso ed invece era molto più avanti e rivoluzionario, tanto che la signora di Voghera conosceva Renzo e Lucia, i fratelli Karamazov.
A questo proposito, ti cito un aneddoto che mi riguarda personalmente. A 4 anni, mi misi a leggere il giornale di mio padre, con grande sorpresa dei miei genitori e dei vicini, che avevano pensato fossi un genio! In realtà, tutti i giorni, guardavo la trasmissione Non è mai troppo tardi di Alberto Manzi, che aveva come fine quello di insegnare a leggere e a scrivere agli Italiani adulti, e funzionava davvero! Quando mi trovai in prima elementare, infatti, erano già due anni che avevo imparato a scrivere e a leggere! Oggi, al contrario, la televisione ha creato una sorta di analfabetismo di ritorno, le persone hanno poca capacità critica e comprendono sempre meno.
Il nostro è un Paese che non esiste più, che ha dimenticato la sua storia. I giovani non leggono, l’etica è stata sostituita dall’estetica. Tutto ciò che conta sono: look, immagine, soldi! Ecco, di nuovo, il consumismo americano».
È da poco uscito il tuo singolo Ave Maria (facci apparire), in cui te la prendi con la signora della televisione italiana. C’è stata una reazione della De Filippi?
«Mica è scema, ovviamente ha fatto finta di niente! Le conviene così. Sono educato, ma sono preparato. Non sono demenziale: ogni mia canzone ha un significato preciso, anche se lo dico ridendo».
Un nuovo singolo, ma anche un tuo libro del ’93 riproposto nuovamente ai lettori: la tua biografia, intitolata Nudo, appena uscita per i tipi di Aletti.Nella bella prefazione del saggista Bruno Ballardini, viene affermato che, in fondo, l’Italia è rimasta uguale in tutti questi anni. E tu cosa vorresti dire a chi si appresta a leggere il libro, oggi?
«È identica! Basti pensare a film come Una vita difficile, dove l’Italia di allora era già così, e premiava gli arrivisti. Gli Italiani non li abbiamo ancora fatti! (ripensando alla famosa frase: Fatta l’Italia, bisogna fare gli Italiani). La storia di Garibaldi, partito con i 1.000, mi sembra fantascienza, una fiction americana.
Parlo così, fuori dal coro, perché sono di Genova».
Cosa significa essere di Genova?
«Genova, a differenza del resto d’Italia, ha una lunga storia d’indipendenza. È stata una Repubblica autonoma dall’anno 1099 fino al 1815, conquistando gli altri Stati e non facendosi assoggettare da nessuno. Per questo, siamo stati abituati a comandare noi in casa nostra.
Ti dico una cosa, che non è molto conosciuta. Hai presente la bandiera inglese, quella bianca con la croce rossa? Ebbene, quella è la bandiera di Genova! Nel ‘500, quando c’erano gli assalti dei pirati, tutte le navi venivano attaccate, tranne quelle genovesi. Allora gli Inglesi hanno pensato bene di esporre sulle loro navi la bandiera genovese. Ovviamente pagando. (Da qui anche la nomea attribuita ai Genovesi in fatto di soldi).
Ogni posto ha la propria mentalità. Questo fatto, se fosse capitato a Napoli, ad esempio, sarebbe stato a conoscenza di tutti, mentre per noi, che non vogliamo dare nell’occhio, è meglio farlo passare sottogamba. Pensa che, in Sud America, credono che Cristoforo Colombo sia spagnolo! È il nostro carattere, voler passare inosservati».
Oggi che valore ha la musica? E fare un disco?
«La musica ha un valore enorme per tutti noi. La vita, senza di essa, è inimmaginabile. Così come un cd ha un valore enorme rispetto a una maglietta griffata.
La musica la porti sempre nei tuoi momenti e diventa la colonna sonora della tua vita, ma è diventata gratis. A noi musicisti, internet ci ha fregato subito, perché quando qualcosa diventa gratis, non vale niente. Se entri in un negozio per un vestito, paghi, mentre la musica è gratis. Eppure necessita di un guadagno, perché c’è gente che lavora e bisogna rientrare nelle spese. Spesso, le case discografiche sono soltanto dei distributori, ma, chissà, forse in futuro faremo un passo indietro: adesso che con la tecnologia chiunque può fare un disco, acquisterà di nuovo valore l’esibizione dal vivo, e ci sarà una selezione naturale, un momento di cambio. Noi stiamo vivendo una fase di transizione.
Le nuove generazioni, e i loro fenomeni del momento, gli youtubers, toccheranno il fondo e inizieranno a scavare per poi ritornare su».
E come si vede Francesco Baccini in questo contesto?
«Tra cinquant’anni sarò famosissimo, ne sono certo. Il problema di chi fa l’artista oggi, è che attualmente non esiste un pubblico disposto a prestare attenzione, e magari sarà ascoltato da quelli che verranno dopo, che sapranno anche cogliere il significato del suo messaggio.
Il Don Giovanni di Mozart (non che mi paragoni a un grande come lui!), è stato un flop, ma in duecento anni è stato riproposto infinite volte e sempre con successo. Salieri, che è stato considerato una star a suo tempo, musicalmente non ci ha lasciato niente e oggi è ricordato perché ha copiato Mozart.
Il valore di molti artisti è stato scoperto dopo. Penso a Van Gogh e Gauguin. Quella dell’artista è una vita da “sfigato”».
Perché hai scelto di fare l’artista?
«Perché non potrei fare altro nella vita; è una vita da missionario, una vocazione. Se mi avessero proposto di fare il musicista a 500 euro o l’imprenditore a 10.000 euro, io non avrei avuto dubbi: avrei scelto il primo. Ho fatto con passione tante esperienze: se dovessi quantificarle, quanto varrebbero?
Le nuove generazioni non hanno obiettivi, se non quello di fare soldi. Non è colpa loro, la società è basata sul comprare e vendere continuamente. Quando mio figlio era piccolo (nel 2000), spiegare il risparmio è stata una impresa!»
Come è nata l’idea di scrivere un libro sulla tua vita?
«Avevo appena inciso il mio quarto album, quando mi proposero di scrivere il libro: un testo che parlasse di me. Avevo l’età di Gesù, e scaramanticamente non volevo stilare una biografia vera e propria, anche perché di solito si scrive più avanti negli anni. Così ho raccontato alcuni spezzoni della mia vita, mettendoci dentro tante cose, la società, argomentando quello che succedeva in Italia. Mi divertiva creare delle polaroid».
Trattandosi del tuo primo libro, ti sei rifatto a dei modelli precisi per lo stile utilizzato nella scrittura?
«Ho agito nella libertà più totale e scritto come se prendessi appunti, anche per ricordare tutte le cose che mi capitavano, e me ne sono successe proprio tante! (Sono stato sempre un po’ bastian contrario: ad esempio, ero un tifoso della Sampdoria e poi ho scritto l’inno del Genoa (ma il mio povero papà non mi ha mai visto genoano!)
Senza seguire un ordine cronologico, ho tracciato flash, schizzi, pennellate impressionistiche. Per me, che guardo sempre avanti, è stato un modo per soffermarmi un po’ sulla mia vita».
Ci sono autori che ritieni fondamentali nella tua formazione culturale?
«Il mio autore preferito è Calvino, molto più avanti rispetto ai suoi contemporanei. Mi piace la scrittura asciutta e quel suo mondo fantastico (penso, ad esempio, a Il visconte dimezzato).
Ho amato Steinbeck, come pure Hemingway! Mi piacevano anche Guareschi e Pasolini, che è un altro, purtroppo, non arrivato alla vecchiaia. Non è morto casualmente! Nel ’74 aveva capito tutto, era un intellettuale coraggioso e pericolosissimo, che per di più scriveva sul Corriere. Un esempio, il suo, ben lontano dal lassismo tipico degli Italiani, che fanno finta di niente di fronte alle cose che non vanno, finché non toccano a loro. In Italia non si previene mai nulla: viene giù la nazione e solo allora si attivano tutti. Il nostro è “il Paese del superenalotto”, sostanzialmente».
Dai sogni facili, quindi?
«Se tu vai in America, ti accorgi che lì esiste la meritocrazia. In Italia è diventata famosa gente che non sa nemmeno come ci è riuscita, perché purtroppo qui vige il clientelismo. All’estero, se conoscessero i personaggi che circolano da noi, resterebbero stupefatti!
In America è impensabile che il figlio del politico sfrutti la posizione del padre per fare televisione. Te lo immagini il figlio di Obama che fa i film?
Un tempo anche noi eravamo così. Mastroianni, Totò, Gassman, Alberto Sordi… sono stati grandi uomini, e in confronto a loro quelli di oggi potrebbero fare a malapena la comparsa muta, tipo una particina da barista.
Con tutta la nostra tradizione alle spalle (penso al Neorealismo che era un riferimento per tutti coloro che facevano cinema nel mondo) gli anni attuali sono davvero sconfortanti! Nel cinema ci hanno superato anche i Francesi! (il film Benvenuti al Sud è un remake della pellicola francese Giù al Nord).
A parte il cinema e la televisione, anche negli altri ambiti siamo messi mali, eppure la maggior parte della ricerca nel mondo viene dagli Italiani!».
Creatore e direttore di "Recensiamo Musica" dal 2012. Sanremo ed il pop (esclusivamente ed orgogliosamente italiano) sono casa mia. Mia Martini è nel mio cuore sopra ogni altra/o ma sono alla costante ricerca di nuove grandi voci. Nostalgico e sognatore amo tutto quello che nella musica è vero. Meno quello che è costruito anche se perfetto. Meglio essere che apparire.