Raccontiamo l’attualità con la musica
Amici, questa storia è vera. Tutte le mie storie sono vere, solo che a volte mi scappa la mano e inserisco nell’arida trama della verità un sottile filo colorato che prende il nome di fantasia. Se oggi apro così il mio articolo non è tanto perché la storia non mi appartiene (non ho visto né vi ho partecipato) ma per la sua singolarità, oltre al fatto che non è ambientata nel passato ma nel futuro: domani, per essere precisi. Detto ciò, per non lasciar crescere la pignoleria del lettore, non posso essere ancora certo se in questa storia ho visto o se vi ho partecipato, essendo le storie del futuro, di fatto, ambientate nel futuro, lasciando al nostro presente solo un’impaziente attesa e un senso distorto del tempo che viviamo. Che poi, spero il lettore sia d’accordo con me, non fa mai troppo bene indugiare nel passato, quella pentola aperta piena di nostalgia sempre sul punto di traboccare, mentre il futuro, si sa, è un piatto non ancora mangiato, dal quale permane un profumo appetitoso rivolto a noi poveri affamati.
Mi perdonerà quindi il lettore se ambiento questa storia per come sarà e non per come è stata. Per quanto riguarda la mia certezza sulla veridicità di questo racconto, mi baso sul principio che nel futuro ogni storia è vera. Almeno fino a quando il cinismo della vita e di qualche suo pigro manifestante deludono le mie fantasiose attese. Se un giorno vi capiterà di vedere due sconosciuti parlare così, vi prego di avvisarmi. Almeno potrò valermi di qualche diritto sui copyright.
La storia comincerà così. I due sconosciuti si incontreranno al parco domani mattina presto, quando ancora il sonno terrà prigionieri sul letto il resto del Paese. Rimarranno ognuno con i propri pensieri e con le proprie riflessioni. Fino a che uno dei due sconosciuti andrà incontro all’altro.
“Buongiorno”.
“Buongiorno”.
“Glielo devo confessare, ero convinto di non trovare nessun’anima viva oggi al parco”.
“Credo sia la convinzione e la speranza di tutti, oggi”.
“Già. Scusi se non le chiedo il nome. La mia memoria non funziona molto bene e potrei scordarmene durante la conversazione”.
“Nessun problema. I nomi sono solo maschere alla fine”.
“Questa ha tutta l’impressione di essere una frase da scrittore. Ha letto molti libri in questi ultimi giorni?”
“Durante la quarantena? Non tantissimi, qualche vecchio classico, quelli che non deludono mai”.
“Ogni cosa delude alla fine. E da quanto tempo fa l’attore?”
“Come fa a sapere che faccio l’attore?”
“Beh, quella storia delle maschere, poi legge solo libri classici… se non è un attore allora i miei quasi settant’anni non mi hanno insegnato nulla”.
“La sua memoria non funzionerà più tanto bene, ma il suo intuito è davvero impeccabile”.
“Cinismo da anziani, un giorno capirà. Quindi? Fa l’attore?”
“In un certo senso. Recito in una compagnia teatrale che gira in tutta Italia. Una rivisitazione del Macbeth di Shakespeare in chiave comica”.
“Macbeth in chiave comica? La vedo difficile”.
“Noi attori siamo strani”.
“Senza alcun dubbio. Vedo che ha delle cuffie. Che musica stava ascoltando?”
“Vuole sentire? Tenga pure. No, deve metterselo nell’orecchio, ecco così”.
“Ma è bellissima”.
“Si lo è. Si chiama “Un aeroplano a vela” di Gianmaria Testa. Riesce sempre a farmi commuovere”.
“Credevo che voi giovani ascoltasse solo musica spazzatura. Bravo figliolo, mi ha stupito”.
“Grazie, cioè… in realtà io la ascolto e basta non è che la incido, eh. Altrimenti ci metterei l’auto-tune come minimo”.
“L’auto… cosa?”.
“Niente, lasci perdere”.
“Come è che diceva la canzone? La parte del canarino canterino, dico”.
“Oh si: “e un canarino canterino addomesticherò, per le giornate scure. Di quando il mare e il cielo dicono di no e non si può viaggiare”.”
“Sembra parli di noi durante la quarantena”.
“Proprio così. Me la ascoltavo spesso infatti. Mi ricordava di non prendere il mondo troppo seriamente ma di coglierne solo la parte pazza, frivola forse ma veramente autentica. Che è poi l’unica che vale la pena di vivere”.
“Eccolo che arriva il monologo dell’attore”.
“Mi scusi”.
“Si figuri, è un piacere per me”.
“Dannazione, sta già arrivano l’alba”.
“Già”.
“Sa, in parte mi spiace. Queste città vuote, questi parchi addormentati… Sono contento che finalmente possiamo tutti uscire, però ho come dentro un dolore”.
“Di cosa?”
“Come se alla fine questa quarantena non sia servita a nulla. Adesso usciremo e torneremo ad inquinare il mondo, a sottovalutare gli abbracci, a stufarci del prossimo… e avremo vissuto mesi di isolamento per niente, solo per uscire e vedere lo stesso mondo incasinato che avevamo prima. È questo che mi fa paura, una paura folle… Non voglio che arrivi gente in questo parco, voglio che rimaniamo solo io e lei e questa natura. Il resto lasciarlo fuori.. Io… io non sono ancora pronto al mondo e al suo casino”.
“Lei è messo male se vuole passare le sue giornate al parco solo con un vecchio”.
“Non intendevo questo”.
“Lo spero. Guardi qua, giovanotto”.
“Dove?”
“Ovunque. Guardi queste piante, questi alberi, questi fiori. Non credo che loro si facciano domande sulla vita, sulla morte o sul loro posto nel mondo come fai tu. Né tantomeno credo che imparino qualcosa dalle quarantene o dai disastri naturali. Però li guardi. Loro crescono e sbocciano di continuo. Non è meraviglioso? Noi qui a blaterare del più e del meno mentre questi piccoli petali continuano a crescere. Poi scusami, lei recita in Macbeth giusto?”
“Si”.
“Come era la frase… ah si! “Non c’è notte sì lunga che non abbia speranza di mattino.” Magari con quest’alba arriverà anche un nuovo modo di vedere le cose”.
“Mi scusi, ma lei chi è?”
“Gliel’ho detto. Un vecchio cinico con poca memoria”.
“Sarà… dopo questa cosa delle piante di cinismo ne vedo poco”.
“Suvvia non mi prenda per saggio, me lo diceva prima lei, no? Riguardo alla canzone: non prendere il mondo troppo seriamente ma di coglierne solo la parte pazza, frivola ma veramente autentica. In fondo è così anche adesso. Anzi, ora molto di più”.
“Credo che quella storia della memoria scarsa fosse una cazzata”.
“Cinismo da anziani, un giorno capirà”.
“Mi ricorderò a lungo di lei”.
“E io di lei, giovanotto”.
“Ma come? E la sua memoria?”
“Le cose importati non si dimenticano. Non si dimenticano mai”.
E l’alba arriverà. Una fiumana di gente comincerà ad invadere il parco e le vie di tutte le città. Anche i due sconosciuti andranno per la loro strada, ognuno con i propri pensieri e le proprie riflessioni; anche se, poco prima di uscire dal parco, ad ognuno dei due parrà cogliere un canarino cantare. Così ritorneranno a casa, canticchiando nella loro testa quella canzone ascoltata poco prima con le cuffie, riflettendo ancora una volta su questo assurdo e imprevedibile spettacolo che è la commedia umana.
E qui finisce la storia, o per meglio dire, inizia. A me spettava solo il bel compito di raccontarla. Questi due sconosciuti sono venuti a inscriversi nel mio tempo, andranno poi a continuare il loro, senza di me. E intanto i fiori continueranno a crescere.
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