venerdì 22 Novembre 2024

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Fuori il mondo com’è?: riflessione su Liliana Segre con “Girotondo” di Fabrizio De Andrè

I fatti della settimana da rivivere in musica

1968. Rai Tre. Andava in onda un servizio sulla prima guerra mondiale. Inutile dire che in quegli anni il tema della guerra bussava alle porte dell’immaginario collettivo: le proteste in piazza, le lotte di classe, scioperi e le militanze contro le forze dell’ordine. Prima del servizio di Rai Tre si vede una mano che pizzica le corde di una chitarra. Poi sentiamo una voce, una voce molto familiare. La voce simbolo di quegli anni (e non solo) nella storia della musica italiana: Fabrizio De André. Davanti a lui dei bambini, seduti e annoiati. Tutti lo guardano suonare la chitarra. Sta suonando un pezzo allegro, un preambolo di una filastrocca per bambini.

In questi giorni ha fatto molto scalpore la vicenda di Liliana Segre e delle minacce subite dopo la sua proposta di legge passata in parlamento. Tanto che ora è sotto scorta. Una donna che ha passato l’inferno di Aushwitz e che ora è costretta a girare con la scorta, è una ferita aperta che fa male e fa molto riflettere. Siamo molto lontani da quel lontano e famoso ’68 e dalle sue mille sfaccettature politiche e sociali. Come spesso accade, però, le canzoni di De André riescono a comunicare e a trovare una visibilità diversa anche nei giorni d’oggi.

Già dall’inizio della canzone, De André semina qua e là dei risvolti drammatici: una guerra che sta per arrivare e non si sa neanche da dove e dei bambini in coro che si domandando “chi ci salverà?”. La tenerezza della risposta immediata e dell’ingenuità fanciullesca e spontanea di un pacifista come il cantautore genovese lo portano a rispondere subito: “Ci salverà il soldato che non la vorrà, ci salverà il soldato che la guerra rifiuterà”. La guerra, però, è già scoppiata e neanche Dio, che è scappato, non ci può aiutare. Il ritmo aumenta e i toni si fanno sempre più agghiaccianti e apocalittici. È sempre più evidente una presa di coscienza, una decrescita interiore che porta ad una rassegnazione, sia del cantautore e sia dei bambini intorno.

Siamo purtroppo abituati a vedere casi di minacce e istigazioni di odio continue. Politici, personaggi pubblici, cantanti, influencer. Odio gratuito lanciato in rete (e non solo) troppo facilmente e con troppa visibilità. Se ci abbassiamo anche nel minacciare una donna come Liliana Segre, insultando con lei anche una certa dea di valori e speranze, allora vuol dire che ha ragione il De André, quando più di cinquant’anni fa cantava “la guerra è dappertutto, la terra è tutta un lutto, chi la consolerà?”.

https://www.youtube.com/watch?v=8xS6WpvMTeU

Una vera e propria guerra. Con mezzi diversi da quelli proposti da questa canzone, ma con risultati altrettanto efficaci. Una distruzione progressiva della dignità e un sempre più incombente vuoto di valori e solidarietà umana. Il ritmo della canzone continua creando un vero proprio senso di affanno e di un vortice soffocante che non lascia spazio a nessun esito positivo.  Non si può scappare. Non è una guerra di territorio. È ideologica. Siamo tutti colpiti e non c’è alcun riparo. Prima o poi dovremo anche noi subirne le conseguenze. De André lancia un ultimo monito di speranza dopo che questa giostra dell’orrore sembri non poter mai più cessare: “ci penseranno gli uomini, le bestie i fiori i boschi e le stagioni con i mille colori”.

Forse, la natura farà il suo corso. Forse questo mondo può rimettere la sua bussola morale al giusto posto. Il mondo è pieno di bellezza, di uomini e donne che combattono per qualcosa di bello, nelle stagioni con i mille colori. Perché dunque non si può sconfiggere questo male? Perché non si può più tornare alla situazione di prima. Non si parla di un duello frontale dove da una parte ci sono i buoni e dall’altra i cattivi. C’è un vuoto, sotto e dentro di noi, che ci sta inghiottendo tutti. Siamo rimasti noi e nulla più. Tutto è rimasto come prima ma ha perso di senso. Siamo stati svuotati del nostro desiderio, della nostra purezza e non siamo rimasti altro che pezzi di una macchina troppo rapida per farci riflettere accuratamente su ciò che si sta vivendo.

Provare solidarietà per Liliana Segre è doveroso e giusto, ma non basta. Bisogna anche capire dove stiamo andando con queste continue accuse e minacce. Ormai stiamo dando troppo per scontato il male nel mondo che stiamo costruendo. Un male intimo, celato nella rabbia e nella frustrazione di molti. De André ci aiuta a riflettere che quello che succede nella sua canzone potrebbe succedere anche a noi, nel nostro piccolo se non ci fermiamo un attimo a guardare e a capire.

Il pericolo non è tanto la distruzione di un’ideale o di una sconfitta dei nostri valori. Il vero e proprio dramma è l’abituarsi a ciò. Convincersi che niente può ostacolare questo clima di odio e di frustrazione. Finendo così come i bambini della canzone, ovvero, a giocare nell’unica cosa che hanno potuto vedere intorno a loro. La guerra.

Il vuoto è ormai un valore del nostro tempo. Un virus che si propaga in fretta e che non ti lascia nemmeno il tempo di capire che sei un suo portatore sano. Il brivido dietro la schiena dopo che si sentono i bambini urlare, con una gioia molto crudele, ci lascia un monito importante. Tutta questa canzone è una valanga che cade, portandosi dietro qualunque cosa. Ma le valanghe si fermano all’inizio, quando ancora sono piccole. Non viviamo un’epoca dove l’odio e le intolleranze sono piccole, ma di certo possono essere fermate. Con gesti semplici, a volte solo riflettendo su quello che succede nelle nostre vite. Rimanendo con l’orecchio teso verso il bello piuttosto che verso l’inesorabile nulla, che porta all’odio e alla distruzione dei legami fraterni.

Chissà, forse riusciremo anche a ritornare bambini… e a vedere il mondo non come una giostra nel quale giocare, ma una casa nel quale accogliere. E forse riusciremo a capire che quel soldato, che secondo Fabrizio De André può fermare la guerra e che ci può salvare, potremmo, forse, essere proprio noi.