Raccontiamo l’attualità con una canzone
Quando il tempo si congela e la noia striscia lungo le ore della notte, non è mai cosa brutta leggere delle poesie. Ne ho letta una, poco prima di scrivere questo articolo, di Andrea Bajani, uno scrittore che scrive poco ma quando scrive, scrive molto bene. L’incontrario di me, per capirci. La poesia che ho letto faceva così:
Tra i tanti modi di passare il tempo
quello che preferisco è stare solo
seduto dentro un bar o un ristorante.
Mi rilassa ridurmi a puro sguardo,
sparire nel paesaggio, osservare
sotto i tavoli il dialogo tra i piedi,
i pavimenti, cosa fanno gli esseri
viventi mentre vortica il pianeta.
Mentre l’ho letta mi sono accorto che nessuno, nei miei anni a scuola, mi ha mai veramente insegnato a leggere le poesie. Né a scuola, né in famiglia, né gli adulti nei loro discorsi da “grandi”. Questa cosa mi ha reso molto triste. So qual è la formula del bicarbonato di sodio, so come funziona una camera cinematografica e mi ricordo moltissime canzoni a memoria anche se non le sento per molto tempo.
Però non so come leggere una poesia. Non so che posizione devo tenere con il corpo, quale intensità di voce devo usare. Non so come posso scacciare via pensieri inutili fuori dalla testa. Possibile che in più di quindici anni di scuola, lezioni, compiti, esercizi, verifiche, interrogazioni, esami, gruppi di studi, corsi facoltativi, dibattiti culturali e via dicendo, nessuno si sia mai preso la briga di spiegarmi questa cosa?
Forse sono io ad essere esagerato. Magari non è una cosa così assurda, ma potrebbe essere un Qualcosa di normale, come canta Motta nella sua canzone.
E a questo punto mi viene da chiedere: ma è così indispensabile la poesia? Quanto vale la sua importanza rispetto alla facilità con la quale viene perennemente ignorata?
Mi arrovello in questi pensieri quando mi dibatto in un’altra frase di Bajani che dice così: “Ogni poesia è un’architettura di un’attesa”.
Rimango in silenzio per un po’. Poi la rileggo un’altra volta.
“Ogni poesia è un’architettura di un’attesa”.
Nient’altro. Ecco quello che forse ci sta sfuggendo. La poesia non è mai un’opera finita. Non è un quadro o un film, racchiuso in una rigide cornice rigida o temporale. La poesia varca questo sistema. La poesia o è un inizio di qualcosa al di fuori di sé, oppure è un pensiero costretto ad elogiare o schernire chi l’ha scritta.
Fare poesia è costruire un’architettura di un’attesa. Mi rileggo da capo la poesia di Bajani.
Mi rilassa ridurmi a puro sguardo,
sparire nel paesaggio, osservare
sotto i tavoli il dialogo tra i piedi,
i pavimenti, cosa fanno gli esseri
viventi mentre vortica il pianeta.
Lo sa Dio quanto serve la poesia. Lo sa Dio quanto servono le architetture di un’attesa. In questo pianeta che vortica. E noi sopra, a sparire nei paesaggi.
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