Raccontiamo l’attualità con una canzone
Non è mai il momento sbagliato per decidere di andare all’Arena di Verona. Un covo di bellezza ed eternità che non può che affascinare e rapire ogni suo visitatore. La luce che sbricia tra le colonne, la sottile polvere di storia che si aggrappa ai vestiti, l’esatta geometria della vita racchiusa dalla sua imponente architettura che ricordano la magia di certi luoghi fuori dal mondo, laddove ti basta un minuto per entrarci, ma non una vita intera per uscirci. L’Arena di Verona è uno di quei luoghi.
Titolo del monologo: “sul tempo e sull’amore”. Autore: Alessandro Baricco. Sì, quello di Novecento, Oceano mare etc. Ci sediamo tutti, un migliaio di persone in tutto. All’orario preciso (per i veneti la puntualità, se non è tutto, siamo lì vicini) la voce dell’altoparlante lo presenta, così come si presenta un pugile ad un ring o un calciatore al pallone d’oro, o il vincitore di Sanremo all’Ariston se proprio non vi garba la metafora sportiva. Solo che dal fondo dell’Arena non arriva Mike Tyson, né Ronaldo, né Diodato. Si presenta un uomo calmo che si guarda intorno con fare paziente e tranquillo. Un dettaglio che non potrò mai dimenticare: il suo passo, lento. Lento come può essere lento un uomo che va al patibolo o un poeta che va a dichiarare il suo amore. Ogni passo come se fosse l’ultimo o il primo che abbia mai fatto nella sua intera vita. L’applauso finisce e lui avrà fatto, sì e no, meno della metà del tragitto per andare sul palco. Mi hanno sempre fatto pensare gli uomini che camminano lenti nonostante abbiano gli occhi di tutti puntati su di loro. C’è una tristezza e una poesia in quei passi che ricordano il sorriso degli anziani e gli occhi dei bambini. Difficili da non ammirare. Io per lo meno li ammiravo, il resto del pubblico invece applaudì di nuovo, forse un po’ spazientito – probabilmente erano tutti veneti. Baricco, dunque, come se si fosse accorto solo allora dove si trovava, accennò una lentissima accelerazione, si sedette sul tavolo, guardò un po’ in giro l’Arena per capire se lei fosse pronta e, appena ricevuta conferma (robe da monologhisti, sono anni che provo a capirlo invano) cominciò lo spettacolo.
Ora, io di Baricco ho letto tutti i suoi libri, tutti i suoi saggi, spolverato su YouTube per vedere i suoi interventi, i suoi spettacoli, gli articoli su Repubblica e anche i suoi post su Facebook. Capite, dunque, che la mia posizione sia un po’ di parte. Ma un conto è leggere e curiosare la vita di un autore, tutta un’altra storia è ascoltarlo dal vivo. Sentire le sue parole, i suoi silenzi, il suo modo di osservare il mondo mentre (se) lo sta narrando. Ascoltare un autore è sentire il suono di uno strumento musicale. Ascoltare Baricco è trovarsi di fronte ad una sinfonia di Mozart. Solo che non c’è nessun piano, nessun violino. C’è solo lui, la sua voce e un migliaia di persone sedute in uno dei posti più belli del mondo. Se non è poesia questa.
Ricorda proprio una musica di Mozart e delle sue Nozze di Figaro, scritte insieme a Lorenzo da Ponte. Se proprio facciamo i pignoli, ad un pezzo ben preciso chiamato “Se vuol ballare, signor Contino”. Quello dove Mozart si prende beffa dell’aristocrazia tramite uno spassoso ribaltamento di scena, laddove il ricco viene prese in giro dal povero. Una continua ricerca della verità, nuda e cruda senza giri di parole. Dritti nel cuore del mondo, con ironia, con dramma, ma con somma e autentica sincerità.
Per due ore e mezza sono stato vicino al mondo, alla sua poesia e alla sua bellezza. Con la voce di Baricco e con la bellezza dell’arena. Devo a Baricco tantissime scoperte, libri, storie e aneddoti indelebili. Quella sera ho aggiunto alla lista anche questa ultima frase che mi sono perduto in “Romeo e Giulietta”, pronunciata da Romeo a casa dell’amata quando spunta il mattino e deve scappare per non farsi ammazzare. Così, mentre Giulietta cerca di convincerlo a rimanere, lui guarda l’alba e pronuncia questa frase: “Bisogna ch’io parta per vivere, o che rimanga qui per morire.” Vidi bene che, qualche fila più avanti, c’era l’uomo delle bibite che prese in mano il cellulare, probabilmente per scrivere alla fidanzata che tra poco lo spettacolo finiva e avrebbe voluto vederla. Mi ha fatto sorridere, perché Baricco stava parlando ad un migliaio di persone riguardo Luigi XVI, Tolstoj e Gabriel Garcia Marquez; ma in fin dei conti, stava parlando solo di lui. Dell’uomo delle bibite. Shakespeare parlava di lui. E io qui in quest’articolo parlo di te, o’ uomo delle bibite; che per due ore e mezza eri circondato dalla poesia e dalla bellezza, ma vagavi altrove, nel tuo mondo e nel tuo tempo. Così come Romeo e Giulietta a Verona. Così come noi uomini e donne, sempre in ritardo o in anticipo in questo mondo inesatto. Ma che comunque rimaniamo aggrappati al nostro tempo, al nostro amore. Con tutta la poesia possibile.
“Vuole una bibita?”
“No, grazie.”
“Ho visto che mi guardavi sorridendo. Pensavo ne volessi una”
“No, no, niente. È solo che… niente, lasci perdere. Storia lunga.”
“Lunga quanto?”
“Quanto il mondo.”
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