giovedì 21 Novembre 2024

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Fuori il mondo come va?: Il mio riflesso

Raccontiamo l’attualità con una canzone

Stamattina ero di pessimo umore, il che è davvero un peccato visto che il sole splendeva alto in cielo e la brezza del vento si accoccolava dolcemente tra i capelli e i brutti pensieri. Ma cosa volete che vi dica: se al cuor non si comanda, figuriamoci al malumore.

Perciò mi comportavo come ogni buon cittadino con la luna storta sa comportarsi: scivolando verso la fine del giorno, con qualche pensiero di nostalgia riservato a talune amicizie, uno sguardo d’incertezza verso i parenti e un vuoto di irreparabile caos riguardo il futuro. E fu mattina e fu sera, il malumore non cessò. Accolsi così tutte le mie preoccupazioni adagiandomi sul divano – tana serale per gli afflitti – e mi guardai con mia mamma il film “Alla ricerca di Nemo”.

Essendo il film ambientato nel profondo oceano, non mancavo inquadrature completamente nere, laddove l’unico suono era dato dalle onde del mare, e l’unica immagine il riflesso di me stesso sul divano. Non un gran riflesso, a dirla tutta. Sicuramente meno di tutti gli altri personaggi del film, ma mi accorsi presto che più la storia andava avanti, più il riflesso nelle inquadrature nere si faceva sfumato, tanto che non distinguevo più laddove finiva il riflesso e iniziavano i personaggi.

Mi sentivo come quel gruppo musicale chiamato I cani quando nella loro canzone raccontano di voler entrare nei film di Wes Anderson.

Il film, per chi non lo conoscesse, è colmo di tenerezza – io amo la tenerezza – senza mai cadere nella banalità. Inoltre segue un principio che è il requisito base di tutti i film della Pixar: raccontare personaggi che si trovano fuori dal loro contesto. Sembra una stupidaggine, ma hanno costruito su un impero facendo così – e c’è ancora gente che va a dire in giro che le storie sono solo storie.

E così, un pesce pagliaccio impaurito da tutto, si ritrova a nuotare per tutto l’oceano alla ricerca di suo figlio. La cosa che mi incanta (oltre alle musiche, ai personaggi e alle battute geniali che tirano fuori quei geni di sceneggiatori della Pixar) è la geometria della faccenda. Se ci pensate, quasi nessuna di queste storie – quelle per i bambini, che sono poi quelle che ci porteremo dietro per sempre – rimangono “ferme” in un luogo.

Si spostano, fanno lunghissimi giri per poi ritornare alla partenza. Poco importa se sia un oceano, un cielo nel quale far volare una casa, o checchessia luogo fatato. L’equazione iniziale è sempre la stessa per il nostro eroe: casa non è più casa. Così fanno lunghissimi giri, prendono strade lunghe, e poi scorciatoie. Passaggi verso l’alto e improvvise discese. Tutto per ritornare in quel puntino lì dove una volta, o come direbbe loro “tanto tempo fa”, loro si sentirono a casa. È un illogico spazio, un piano geografico impazzito. Una mappa che solo il protagonista riesce a vedere, ma non per questo a capire.

Ovviamente il pesciolino l’ha trovato, il puntino. Nel caso del film era suo figlio. E tra lacrime, gioia e finale felice, lo schermo ritornò nero, gettando di nuovo il mio riflesso stanco e malconcio ai miei occhi. Però, faccia a faccia al mio riflesso, ho iniziato ad interrogarmi sù, chiedendo a quel goffo personaggio che vedevo nella televisione nera, quale fosse la sua di mappa, e quali le sue linee che vanno e che tornano, e le strade prese e quelle evitate. Gli ho chiesto se ci sarà mai il modo per lui di tornare a quel puntino lì, invisibile nella mappa, dove potrà sentirsi finalmente a casa.
Non mi ha ancora risposto. Valli tu a capire i riflessi.

Si è però destato in piedi quando sentì dire dal riflesso di sua mamma che era pronto in tavola. Così si accomodò  e insieme a lei mangiarono pesce. Che assurdo personaggio. Un riflesso che arrovella su interrogativi etici ed esistenziali guardando un film sui pesci, e poi, senza neanche pensarci sù, se li mangia.

Sarebbe proprio da chiedergli il motivo di questo suo goffo comportamento. Per ora però, non possiamo fare altro che provare a capirlo. Quando torna a casa, glielo chiederemo.