Raccontiamo l’attualità con una canzone
Se ne accorse quando diede un’occhiata in giro: di tutte le persone presenti al funerale, lei, Sara, era di certo la più bella. Non era solo una deduzione derivante dai vestiti laconicamente oscuri dei fedeli al suo fianco, o dalle lacrime sganciate dagli occhi dei parenti stretti che rendevano, via a via che la forza di gravità premeva, i volti più vecchi e gli occhi più lugubri. Era proprio una certezza interiore. Si sentiva la più bella. Le lunghe calze a rete che si allungavano sulle sue sinuose gambe andavano a rifugiarsi dentro una gonna semplice ma provocante, forse per quella sua spaccatura sul fianco sinistro, la stessa spaccatura che, dieci anni prima, fece scatenare quella lunga litigata tra lei e sua mamma per una festa di laurea.
“Vuoi rispetto, eppure te ne vai in giro come una troia!” diceva, anzi, le urlava sua madre. Quella notte Sara era talmente arrabbiata con lei, che per vendicarsi fece un pompino sul retro del bar ad un tizio che solo il mattino dopo scoprì essere il festeggiato. Così. Non perché le andava, ma per pareggiare i conti. Quando tornò a casa, c’era sua madre sveglia che l’aspettava. Sara la guardò con aria di sfida, immaginandosi, non si sa come, che la mamma sapesse quello che lei aveva fatto; poi andò a dormire, con ancora addosso l’odore di sesso, felice di aver realizzato la sua vendetta.
Da quel giorno non parlarono più molto, lei e sua madre. Sia perché lei si ammalò gravemente, sia perché non c’era poi tanto di cui parlare, visto che le feste di laurea finirono e con esse, anche la gonna con la spaccatura sul fianco sinistro.
Non la indossava da allora, quella gonna. Decise di farlo quel giorno. Il 31 dicembre. Di certo una data un po’ del cazzo per celebrare un funerale, pensò Sara guardando il prete recitare il rosario. Anche se, va detto, non essendoci una data esatta, o perlomeno giusta per morire, non si capisce perché debba esserci una data coerente per celebrarne la dipartita. Così se ne stava lì, Sara, seduta su una panca vuota in fondo alla chiesa, con la sua solitudine e la certezza di essere la donna più bella del funerale.
È un pensiero strano, ma di certo i pensieri mica li controlliamo, anzi, massimo cerchiamo di gestire i sentimenti, ed essendo Sara consapevole della portata di questo dogma, non si sentiva né in colpa per il pensiero, né conseguentemente addolorata nei sentimenti.
E così la messa iniziò. Sara non conosceva nessuno, o meglio, nessuno con cui avesse scambiato più di due chiacchiere o per cui avesse formulato un pensiero in sua assenza. Conosceva, più o meno, solo il morto. Era quello della laurea, il festeggiato. Era morto per un infarto, o una roba simile. Sara non ci voleva neanche andare a quel funerale. Il laureato non l’aveva più visto dopo quella “famosa” festa. Per qualche motivo si convinse ad andarci e ora, con la stessa gonna di dieci anni prima addosso, e a qualche ora dai botti e dai festeggiamenti, si trovava impantanata in mezzo a lacrime e singhiozzi.
Quando la messa finì, andò a stringere velocemente la mano ai genitori. Capitò una cosa strana. La mamma, quando vide Sara, si commosse e la baciò sulla fronte: questo non fu strano, anzi, fu abbastanza umano e perciò destabilizzante. Le disse che Mirko – così si doveva chiamare il laureato – le parlava molto di lei e diceva ai genitore che le voleva molto bene. Ciò che fu strano, appunto, fu il pensiero di Sara. Con questo Mirko, lei aveva solo un piccolo momento, per altro insignificante, condiviso insieme. Adesso ne aveva due: un pompino a lui, e un bacio della mamma a lei. Un cerchio non proprio perfetto, ma a suo modo coerente.
Disse qualcosa di formale e si dileguò da quella morte uscendo alla vita fuori dalla chiesa. Dentro suonarono una canzone non di chiesa ma di Francesco De Gregori: si chiamava Showtime.
Sara riuscì a cogliere bene le parole del ritornello.
“Che posso farci se mi fai sognare
Chissà se sogni anche tu”
Fuori tutto era attesa di capodanno. Le finestre chiuse, le tavole imbandite, le macchine solitarie pronte ad elemosinare qualche bottiglia di vino in qualche supermercato aperto. Tutto era attesa di capodanno, e per questo, pensò Sara, tutto era quanto meno patetico.
Ripensò ad una frase che le diceva la maestra delle elementari.
“Non esistono cose patetiche e triste nella vita, esistono solo le i senza puntino. Quando siete davanti a qualcosa di triste, o comunque di non bello, è perché non avete ancora trovato il puntino alla sua i.”
Quella, e la scopata nei bagni tre giorni prima della maturità, erano i ricordi più vivi nella mente di Sara. Chissà qual era il puntino di quella festa così stupida. Chissà quale fosse il suo di puntino, pensò Sara.
Entrò in casa sua, e la trovò come l’aveva lasciata: vuota, con una cagnolina a farci da guardia, a quel vuoto.
Prese una bottiglia di vino e se la scolò. Non c’era nessuno che potesse giudicarla, per quel gesto lì. Nessuno eccetto la sua cagnolina, ma quella non la giudicava mai. Se ne stava lì a guardarla, aspettando una carezza. Sara la guardò. Sarebbe stata una nottata difficile, per tutto e due. In genere le nottate erano difficili solo per Sara, ma oggi il dolore sarebbe toccato a entrambe. La cagnolina era incinta, già da qualche mese. Avrebbe potuto partorire già da tempo, e invece doveva aspettare proprio il nuovo anno. Idea che aveva una sua logica, pensò Sara. Nascere nel nuovo anno. Sara pensò al puntino sulla i. Poi pensò alla frase della canzone sentita in chiesa.
Poi partirono i botti. La cagnolina si terrorizzò. Cominciò a tremare ed ad abbaiare contro i suoni che sentiva. C’era dentro quella cagnolina, la nuova vita, e tutt’intorno suoni di morte.
Sara abbracciò la cagnolina e se la strinse forte intorno a sé. Le sue lacrime si sarebbe mischiate con quelle dell’animale, se solo ci fosse stata la possibilità fisiologica di piangere per l’animale, o di trovare il puntino alla sua i per la donna. Rimasero così attaccati, protetti, fragilmente, l’una all’altra. Senza piangere, ma capendosi. Come fanno una madre e una figlia, un fratello e una sorella, una donna e una cagnolina.
Pezzi dì vetro rotti che provano ad unirsi per non spezzarsi.
Fuori, un anno finiva e un anno iniziava.
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