Riflettiamo sull’attualità con una musica di sottofondo
Ieri, alle undici di sera, ho sentito l’urgente e impellente bisogno di abbracciare qualcuno. Non so se è stato per l’intervento in diretta del nostro presidente del consiglio, per il mondo scombussolato che osservavo fuori dalla mia finestra o per motivi personali che per pura pietà nei confronti del lettore, non mi azzardo a riportare in questi articoli. So solo che ho sentito freddo, molto freddo. Non parlo della temperatura atmosferica, of course. Parlo di quella condizione che ti spinge forzatamente a ricercare un qualsiasi appiglio, una perduta ancora o un rimasuglio di vita nelle quali poter scorgere il riflesso di una perduta umanità. Cerco di spiegarmi meglio. D’altronde, scrivo qui apposta.
È da mesi che opinionisti, medici, giornalisti, politici e la maggior parte dei comuni cittadini si sono fatti un’idea ben precisa della situazione che stiamo vivendo. Un momento storico assurdo che si poteva immaginare solo nei film o in qualche libro distopico (leggere “Cecità” di Saramago per capire cosa intendo). Un periodo dove le parole “libertà”, “dovere” e “sacrificio” sono state svuotate del loro significato e hanno assunto una piega strana e inaspettata. La cosa che più mi lascia sgomento fra i vari tormentoni che echeggiano nel web e nella televisione, è la frase: “ad ogni cittadino è chiesto di fare la propria parte”. Non che io non sia d’accordo, per carità. Ora più che mai, in un momento così complesso, è doveroso e vitale trovare il modo migliore per aiutare il prossimo. Ma la domanda è: in che modo? Come possiamo contribuire attivamente in questa tempesta? Davvero la “nostra parte” consiste solo nello stare in casa tutto il giorno, spararci le più assurde serie su Netflix, lavorare da casa come se nulla fosse, donare qualche soldo alla protezione civile e la sera leggere qualche buon libro? È veramente questo l’unico aiuto che possiamo donare in un momento del genere?
Una parte narcisistica e fintamente intellettuale di me direbbe di sì (a patto di farsi però elencare cosa si intende per “buon libro”). Ma poi la notte, quando quel senso di vuoto e di smarrimento mi coglie di sorpresa, capisco che tutto ciò non è abbastanza. Guardo spesso quelle cifre nei telegiornali, come molti di voi. Quelle che rimbalzano da un servizio all’altro come una partita di ping pong, elencando scrupolosamente i contagiati, i guariti e le vittime. Nel momento in cui sto scrivendo questo articolo, le vittime sono 13.000 in tutto il mondo, di cui 4.825 nella nostra Italia. A prima occhiata sono numeri, ma poi il freddo si insinua nelle vene costringendoti ad aprire di più gli occhi: tutte quelle sono storie. Storie che si sono concluse troppo presto. Storie beffate da un virus spietato. Storie che non hanno avuto il tempo di dire la loro. Quanto dolore, quanta sofferenza, caro lettore, in questi tempi così evoluti e così perdutamente fragili. E allora ritorno alla frase che tamburella la nostra coscienza e le nostre notti: “fare la propria parte…”.
Sono in momenti come questi che la vita ci sbatte in faccia le nostre miserabili fragilità, schiacciandoci sotto il peso delle nostre paure e del nostro sentirci inutili di fronte a cotanto orrore. I medici fanno la loro parte, i giornalisti fanno la loro parte, i politici fanno la loro parte… ed io? Studente di cinema e autore di questa rubrica: cosa posso fare? Riguardo silenziosamente quei numeri così tetri. Riguardo tutte quelle storie interrotte troppo presto. Allora sì, ecco che una cosa posso farla: posso raccontare la loro storia.
De Gregori nel 1985 componeva quella che forse è la canzone dell’eterna attualità: La Storia. Attraverso il suo stile inconfondibile, le sue metafore vertiginose e la sua visione limpida, De Gregori ce lo dice con estrema esattezza: la storia siamo tutti noi. Quelli che la difendono e quelli che combattono; quelli sui balconi e quelli che svaligiano i supermercati; i dottori che ci salvano e il diciottenne che esce la sera a bere; quelli di “è colpa del governo” e quelli di “restiamo uniti”; gli studenti bloccati in Erasmus e il professore che aiuta gli alunni via web; quelli intubati e quelli che il virus si è portati via.
https://www.youtube.com/watch?v=-8As9xQOpC4
Quella è l’umanità di cui ho bisogno, di cui tutti noi abbiamo bisogno. Una fratellanza comune che impedisce a questo dannato virus di rubarci la nostra identità, la nostra tradizione e, appunto, la nostra storia. Questa è la storia che voglio raccontare. Quella di quei medici che non cureranno più, degli anziani che non vedranno più i loro nipoti, di tutti quelli che ogni giorno rischiano la morte in questa guerra verso un nemico invisibile, sporco e micidiale. Questo, sì. Questo posso farlo. Perché niente è veramente perduto se racchiuso nell’edificio puro ed eterno che è poi la storia.
“La Storia siamo noi
Siamo noi queste onde nel mare
Questo rumore che rompe il silenzio
Questo silenzio così duro da raccontare”
È strano, ma in tempi così dolorosi, c’è comunque molta bellezza e noi, caro lettore, non possiamo perdercela neanche un grammo. Qui non si tratta solo di vincere una malattia. Si tratta di dare colore e forma a quei numeri così terribilmente esatti. Di ritrovare l’umanità racchiusa nei confini delle nostre case e dei nostri schermi tecnologici. Si tratta di fare la nostra parte, tutti assieme. Perché è la storia di ognuno di noi. Perché la mia e la tua storia, caro lettore, è la storia di tutti.
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