Raccontiamo l’attualità con una canzone
Più che un gesto, è un rito, quello di leggere una bella frase; appena il respiro diventa un poco più pesante, gli occhi leggermente chiusi, la postura delle gambe appena appena più rigida, il battito del cuore come il ritmo periodico di un ciuff-ciuff di un treno in avvicinamento, e allora, e solo allora, eccolo, finalmente, il rito conclusivo: sottolineare la frase.
Dopo averla sottolineata, uno stato di pace e di sollievo domina la mente, come se in quel momento si fosse scattata una fotografia di un momento che non potrà mai più ripetersi. Una sorta di salvataggio culturale. Potrebbe distruggersi tutto il mondo, ma quella frase, marchiata con un infinitesimale milligrammo di inchiostro, rimarrà sempre ancorata a quel momento. Come canta Salmo nella canzone il cielo nella stanza.
Di frasi del genere ne ho sottolineate parecchie. Ammetto che basta molto poco per emozionarmi (son giovane, signori, son giovane!), ma è anche vero che ci siano diversi gradi di sottolineature. C’è quello del passaggio, molto più centrata sulla trama rispetto alla tecnica: in genere si depone una lunga linea verticale, tutt’altro che spessa, al fianco del passaggio del racconto. I libri di Stephen King sono pieni di queste linee.
Poi ci sono le sottolineature spiazzanti, quelle che sottolinei non per premiare la maestria dello scrittore, o l’arguta esattezza di una frase, bensì per un certo tipo di rispetto verso la stupenda e iperbolica fantasia con la quale questo gioco (la letteratura), riesca, se usata bene, sempre a spiazzarti. Ecco un esempio:
“Guardo l’orologio. Le dieci e diciotto: l’ora in cui nei bar trovi quelli che sono stati bravi a fare qualcosa che adesso non fanno più”.
Bum. Non è che ci sia chissà quale tecnica. Però c’è un balzo dello scrivere, capace di superare la vita reale. E non importa più che le 10:18 siano state per te un’ora e un minuto come altri. Da quel momento sarà quello che quella frase dice. Perché la letteratura non è l’olio ben distaccato dall’acqua nel bicchiere. Essa si mescola, si intreccia e si trasforma in tante cose: quando va bene, un buon romanzo.
Altro esempio.
“Gli uomini sono animali fatti per danzare. Quanto è bello alzarsi , uscire di casa e fare qualcosa. Siamo qui sulla Terra per andare in giro a pazzeggiare. Non date retta a chi dice altrimenti”.
Kurt Vonnegut è un maestro di questi frasi.
Poi ci sono le ultime frasi, quelle che appena le leggi sono già sottolineate. Quelle che parlano di te, di noi, di tutti. Sono frasi che in realtà ci sono sempre state, qui, in giro, e uno ad un certo punto si è preso la briga di dirla. O di scriverla. Questo è tutto.
Riporto qui le frasi che, ad ora, sottolineano il passo lento e cadente delle mie emozioni. Non ci troverete molto, ma qualcosa forse… Sapete, non sarebbe male: conoscersi con le frasi più belle, Si io sto un po’ come il giovane Holden, Ma non mi dire, io mi sento più un delitto e castigo, Mi sento leggere come fossi Guareschi… e via così.
“Al mondo ci sono soltanto gli uomini che non funzionano. Per il resto ogni cosa funziona perfettamente.”
“… volevano dormire, non per stanchezza, bensì per nostalgia dei sogni.”
“È strano, non raccontate niente a nessuno. Se lo fate, vi mancheranno tutti”
Sapere che ogni dolore nasconde dietro una frase ben confezionata che parla della vita. Del resto è un modo per fare una pausa, la letteratura. Per dirti “è una merda, ma ci sono passato anch’io, e anch’io e anch’io…”. È troppo dire che è un qualcosa che ti salva la vita?
Forse si. Poi però rileggo queste frasi e penso, chi se ne frega. A me la salvano, nonostante tutto.
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