giovedì 21 Novembre 2024

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Fuori il mondo come va?: Le piazze di oggi, guardando “Capataz” di Francesco De Gregori

Raccontiamo l’attualità con una canzone

Capita spesso di voler lasciarsi il mondo alle spalle e crogiolarsi in una fuga momentanea dalla vita e dai suoi affanni. Francesco De Gregori è una delle terapie migliori per fuggire silenziosamente, almeno con la mente, nei vicoli segreti e dolci dei nostri ricordi. Dimenticandosi della politica, degli scandali e di tutte quelle notizie che gelano il cuore in queste giornate già abbastanza fredde di loro. E così ci si immerge in una realtà musicale elevatissima in tutta la sua eleganza: testi criptici, musica dolce e parole limate con delicata e esperta mano da artigiano.

Chi conosce il cantautore romano sa quanto il suo lavoro è persuaso da proteste e denunce (alcune palesi e alcune mascherate) alla società e ai suoi paradossi. “Capataz” è stata scritta nel 1987 nell’album ‘Terra di nessuno’. Di primo impatto sembra distante da oggi, ma scavando a fondo si trova una sconcertante vicinanza.

È da diversi giorni che si parla di persone che scendono in piazze per diverse ragioni. Mi riferisco alle “Sardine”, movimento giovanissimo nato a Bologna, ma anche della piazza di San Giovanni a Roma per il centrodestra unito e le molte altre persone accorse ad assistere i propri leader nelle varie campagne elettorali. Vedere le persone manifestare con sobrietà e rispetto è sempre un segnale positivo. Perché come diceva Gaber “libertà è partecipazione”. Creare appartenenza e unità in un’Italia sempre più divisa.

Come spesso accade, un qualsiasi testo del Principe può avere mille interpretazioni e altrettanti riferimenti. Quanto a Capataz, neanch’essa si esime da questa realtà. Questa canzone più che una metafora ci consegna un’immagine. Quella di uomo che sta osservando il mondo da fuori e che sta cercando di raccontarlo a qualcun altro di cui sappiamo solo il nome e, forse, il lavoro. (“Capatàz” è un termine portoghese col quale si indicava, ai tempi della schiavitù, uno schiavo che assisteva i bianchi nell’amministrazione degli altri schiavi.) Una musicalità e delle parole molto vicine ad un cantautore molto caro a De Gregori, tale Bob Dylan nel suo celebre “The Times They’re a Changin”.

È come se si avvertisse che la gente iniziasse ad avere l’idea di un pericolo. Il pericolo che il mondo possa sfuggirli di mano e che li possa tagliare fuori. Un mondo che sembra non essere più sotto il nostro controllo ma che si stia sempre più allontanando “dentro la stella di questa bella modernità”.

E così ora, come allora, in televisione, folle immense di persone che si aggrappano ad un’idea. Quella di un mondo ancora nostro. Un mondo in cui possiamo essere noi il vero cambiamento e non solo conseguenze di un adattamento. Persone che aspettano un segno e che vogliono essere pronto ad afferrarlo. Poi come tutte le cose belle, la canzone termina, lasciandoci come ultimo gesto prima di dalla nostra fuga dal mondo, una piccola pacca sulla spalla. “C’è un altro tipo di futuro, Capatàz”.

Scendere in piazza assieme a molte altre persone ti fa sentire meno solo, certo. In questi giorni di confusione, forse, è bene però prenderci quale istante per stare da soli e fare una piccola discesa nella piazza nel nostro cuore e nei nostri ideali; immaginarsi per davvero un altro tipo di futuro. I nostri valori sono e saranno sempre più colorati di qualsiasi cosa che si manifesti nel mondo esterno. E illudersi che, anche solo portare avanti un proprio sogno ha come effetto quello di cambiare un po’ il mondo…. forse è già un vero e proprio piccolo cambiamento. Il che è bello e istruttivo.