martedì 3 Dicembre 2024

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Fuori il mondo come va?: L’esodo dei lombardi

Raccontiamo l’attualità con una canzone

I lombardi che abitano nelle città grosse, o comunque in periferie abbastanza popolate, sanno bene cosa può offrire loro la regione che essi abitano (e qui si aprirebbe un lungo diverbio su cosa sia o meno una città popolata che però l’autore di questa rubrica, cioè io, sorvola consapevolmente essendo annoiato talvolta dall’essere ciò che è – un lombardo, non un autore – e quindi sfida le regole della corretta prassi di aprire domande senza fornir loro alcune risposte, e ormai salito sull’onda dell’entusiasmo si prende la briga di reinventare se stesso – come autore, non come lombardo – affrontando a viso aperto la grammatica decidendo deliberatamente di chiudere due volte una parentesi tonda anche se ne abbiamo introdotta fino ad ora soltanto una)).
Et voilà.

Ricapitolando. I lombardi sanno bene, ad esempio, che valore dare al lago. Data l’ingiustificata presenza di così tanti laghi, l’uno vicino all’altro, in una regione nota per la laboriosità e l’industrializzazione, i lombardi guardano a queste enormi bacini naturali con un’unica e sola prospettiva messianica.

Al lago, da noi, non si va per fare vacanza o per rilassarsi. Si va per evadere. Lo si può leggere nei fari disperati delle macchine che invocano invano un parcheggio; talvolta nell’esagerata somma di piatti, cianfrusaglie, teloni e via dicendo per formare un comunissimo picnic; sempre negli occhi distrutti di chi si affaccia al lago con la consapevolezza di essersi svegliato presto anche di domenica per tornare ancora più distrutto al lavoro il lunedì.

È più un’idea, il lago. Se ci pensate bene, cosa si ammira del lago? Certo, di un mare t’incanti per lo slancio del panorama verso l’infinito; della montagna il coraggio e la maestosità della natura nel suo dilungarsi per toccare il cielo; ma il lago?

Il lago è un non-posto. Non è un panorama che devi vedere, ma un’immagine che vuole essere riempita. Allora ti metti a fissare la barca che divide le onde, interrompendo quella dolce quiete silenziosa e fragile dell’acqua. Fissi gli alberi, il cielo, ti giri all’indietro per vedere se c’è dell’altro – generalmente non c’è – e poi ritorni a guardare l’acqua.

Il lago. Perché un non posto attrae così tanto? Cosa si va a vivere in un lago?

Avevo queste domande quando con un gruppo di amici mi ritrovai a visitare Nesso, un paesino vicino a Como.
In realtà, più che vedere Nesso, abbiamo visto solo un ponte. E qui è buona cosa dire che a Nesso, di fatto, ci sia solo quel ponte. Non è per sminuire, anzi, è un ponte molto particolare dove hanno girato anche un film di Hitchcock, e dove tra l’altro Leonardo Da Vinci ha scritto dei pensieri su qualche libro. Non si scherza mica.

Però di fatto quello era: un ponte. 5 metri, una cascata dietro, il lago davanti, una foto, qualche considerazione sul freddo autunnale e via. Evasione. Non c’è logica. Uno potrebbe pensare che noi lombardi corriamo dietro i soldi e basta, ma non è così semplice. Ci pensavo quando stavo camminando lungo il bosco sopra Nesso, raggiungendo un altro paese vicino chiamato Lezzo (sì, i nomi non sono proprio il massimo).

Nel nostro mai stare fermi, nel nostro mai rilassarsi di fronte ad una situazione che non sfrutti un beneficio immediato o futuro, ecco che noi lombardi abbiamo costruito quello che di fatto è uno dei motori più evoluti europei. E questo è bello. Va da sé che piano piano, implode una voglia di fuggire da questo sistema che noi stessi generiamo quotidianamente. Vorremmo appagamenti, guadagnare di più, lavorare meglio – ma allo stesso tempo vorremmo goderci tutto il successo o i meriti che chi va lavorando non riesce poi concretamente a vivere.

A vederci da fuori, siamo patetici. Vivere per guadagnare, e guadagnare per rifornirci di aperitivi e voglia di evadere. Per questo abbiamo bisogno di un posto che riempia quella mancanza. Quel desiderio di fermarci e lasciare il mondo così come è. E niente può essere più vuoto – e allo stesso tempo così ricco – di un buco tra le montagne riempito d’acqua.

Riascoltando le parole di Domenica bestiale di Fabio Concato, sembra di trovarci davanti a quei posti.

Domenica ti porterò sul lago
Vedrai sarà più dolce dirsi ti amo
Faremo un giro in barca
Possiamo anche pescare
E fingere di essere sul mare

Si svuotano e si riempiono i laghi. E poi c’è questa cosa che così come lo lasci poi lo ritrovi. Non c’è un vero tempo che scorre nel lago. È immutabile elogio alla nostalgia e ai ricordi di un posto che non è mai stato ma che non sarà più. Difficile da capire, ma per noi lombardi queste cose sono chiare come il sole.

Capite dunque perché c’è gente che si sveglia alle 7 per assaporare anche solo per un istante questa libertà. Capite che due ore per cercare un parcheggio non sono niente rispetto anche solo ad un briciolo di evasione. Perché anche un’ora solo strappata alla città e alla sua fagocitante ingordigia, è un’ora strappata per noi stessi.

Prendere e mettere da parte.

Ditemi voi che questo è solo un ponte adesso.