lunedì 25 Novembre 2024

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Fuori il mondo come va?: Lettere d’amore

Raccontiamo l’attualità con una canzone

“Mia Regine, prima di dirmi di no!, ti prego, rifletti seriamente (per amore di Dio nei cieli) se puoi, o meno, parlarne con me con serenità, e in tal caso se preferisci farlo per lettera o direttamente a voce. Se invece tu, dopo accurata riflessione, decidessi comunque di non darmi più alcuna risposta, se la tua risposta al mio amore fosse ‘no’, ricorda almeno – per amor del cielo – che per te, e solo per te, ho fatto, e rifarei mill’altre volte, questo passo. In ogni caso resto, quale sono stato dall’inizio fino a questo momento, sinceramente il tuo devotissimo”.

A vederla così fa quasi ridere. Eppure questa lettera fu scritta più di cent’anni fa da un filosofo dal pensiero acuto e di gran lunga superiore al nostro: per dire, io faccio già fatica a scrivere correttamente il suo nome. Si chiamava Kierkegaard e, oltre ad essere un teologo, saggista e scrittore danese; fu anche un uomo innamorato, ma innamorato folle. La fortunata si chiamava Regine, donna che sapeva benissimo che bisogna sempre stare attenti ai filosofi innamorati: fanno già parecchi disastri quando non lo sono.

In realtà, di disastri ne fece pochi, visto che passò quasi l’intera esistenza tra le mura della sua Copenaghen. Di lui si studiano tanti dettagli, come la sua pungente ironia, il suo confronto con Hegel, la sua “vita estetica”, e poi, in fondo in fondo ai manuali scolastici, c’è anche questa storia d’amore.

Mi fa sempre sorridere questa cosa: di come questi grandi pensatori e grandi personaggi dell’umanità, si siano tormentati anche loro perdendosi nel misterioso labirinto dell’amore. Un po’ come noi, un po’ come tutti. Sono andato a cercare una delle tante lettere d’amore che ha scritto K. (non fatemi scrivere tutto il nome sù, non riuscirei mai a scriverlo due volte uguale), e mi sono fatto trasportare da quella sua penna ballerina, da quell’emozione senza nome, da quel bacio senza bocca, quella strana cosa che ci fa tenere svegli molte notti e ci fa soffrire pene romantiche ogni giorno.

Puoi passare alla storia come filosofo, critico d’arte, barista o dittatore; ma prima o poi, ci sarà sempre una lettera d’amore che farà crollare la tua maschera. Non c’è solidità che tenga, non c’è coerenza che resiste. Con le lettere, tutta la falsità casca giù.

Così in questi giorni mi sono messo a spulciare tutte le lettere che ho ricevuto in questa mia fino ad ora divertente permanenza sulla terra, e le ho messe un po’ in ordine. Mentre lo facevo mi è tornata in mente una splendida canzone di Francesco Guccini che si chiama per l’appunto Lettera e che riassume quello strano stato d’animo che si ha quando ci si specchia nelle parole di un altro.

“Dei miei entusiasmi durati poco
Dei tanti chiasmi filosofanti
Di storie tragiche nate per gioco
Troppo vicine o troppo distanti

Ma il tempo, il tempo chi me lo rende?
Chi mi dà indietro quelle stagioni
Di vetro e sabbia, chi mi riprende
La rabbia e il gesto, donne e canzoni

Gli amici persi, i libri mangiati
La gioia piana degli appetiti
L’arsura sana degli assetati
La fede cieca in poveri miti

L’ansia volgare del giorno dopo
La fine triste della partita
Il lento scorrere senza uno scopo
Di questa cosa che chiami vita”

Non v’era, nei miei occhi, più differenza tra le lettere romantiche e le lettere d’amicizia. Erano, per me, tutte d’amore. Così ho pensato a tutte quelle che io ho spedito in giro, alle persone a me più care, e ho pensato che, non c’è santo, in questa cosa del guardare la finestra, e pensare che sì, là fuori, da qualche parte, ci sono dei pezzi di me in giro: mi fa sempre accapponare la pelle. Semi di parole, parti di sentimenti nascosti in lettere apparentemente innocue. Un po’ come uscire per ritrovarsi. Incontrare per riconoscersi.

All’ultima pagina ho tenuto la lettera alla quale tengo di più. Quella di una bambina di dieci anni che, a mio modesto parere, con il suo esatto e vivace modo di stare al mondo, può benissimo essere paragonata ai grandi pensatori e filosofi come Kierkegaard (sempre che si scriva così) e compagnia bella. E ricevere questa lettera, da parte sua, è una delle cose più belle che mi siano mai capitate. È molto corta, ma sembra contenere in sé tutto quello che c’è veramente da dire e da sapere su di me e su tutti noi.

Quando la leggo, vi dico la verità, non mi interessa neanche più avere successo nella vita o raggiungere altissimi obbiettivi. Perché so nel cuore che un giorno, quando me ne sarò andato lassù nel cielo, qualcuno prenderà questo mio quaderno e, tra le lettere d’amore e lettere di amicizia vera, leggerà anche quella scritta da questa bambina. La lettera che mi smaschera più di tutte e che più di tutte coglie la vera essenza e bellezza della vita.

E magari la metteranno anche come mio epitaffio. Già me lo immagino. Tutti a piangere sulla mia tomba guardando quella frase dedicata a me e a tutti quelli che continuano a tormentarsi con criptiche domande senza mai venirne a capo. E quella bambina, con una semplice frase, li stenderà tutti. Perciò, dimenticatevi di tutto quello che ho fatto, che ho detto e che farò. Ricordatemi solo così:

Caro Tommaso Leotta, sei brutto e puzzi sempre”.