Raccontiamo l’attualità con una canzone
Era da un anno che aspettavo questo momento. L’arrivo del Natale? L’avvicinarsi del nuovo anno? L’inizio delle vacanze? Ma per favore. Sto parlando – ovviamente – dell’arrivo della neve.
Stavo camminando per le strade ancora asciutte della mia città quando ad un soffice velluto bianco gli è venuta la bizzarra idea di ricoprire, come un mantello dato ad un ospite che ha freddo, l’intera panorama davanti a me. Ed ecco i primi bambini urlare felici, i primi scoiattoli guardarsi intorno con la loro tipica faccia da ‘ma che diavoleria è mai questa?’, i primi camini accesi con l’esatta sensazione di stare, mentre ci si riscalda, riscaldando anche un po’ il mondo.
Che strana cosa la neve. Fa venire sempre in mente qualcosa di diverso e di apparentemente sconnesso. A me, ad esempio, mi ha fatto ricordare che è da un anno esatto che mi porto dentro questa canzone senza mai trovare il pretesto di pubblicarla. Ancora una volta tiro fuori dal cappello magico il buon Francesco De Gregori con, mia contestabilissima opinione, la sua canzone più bella e sottovalutata di tutte. Si aprano le tende, squillino le trombe e rullino i tamburi: signori e signori ecco a voi… L’uccisione di Babbo Natale.
Non mi metto certo qui a spiegare il senso di una canzone – guarda un po’ te che strano – così complessa di De Gregori. Mi soffermo, invece, sulla sua calma, sulla sua bellezza ripetitiva e mai banale. Esattamente come è la neve. Cerco di spiegarmi: una caduta lenta, malinconica ed eterna nello stesso momento. Rinuncio a spiegarmi. È bella, punto. Spesso si dice che le conversazioni noiose sono quelle riguardo al tempo: Oggi piove, però, magari passa. Ha sentito, un freddo così mai in 50 anni. È autunno e ancora si esce in maglietta, pazzesco. Robe così. Ed è un vero peccato, perché il tempo, i cambiamenti repentini da sole a neve, possono essere una delle più belle rivelazioni di umanità e speranza nelle nostre vite. Forse è la consapevolezza che questi cambiamenti sono così certi, nel corso dell’anno, che perdono il loro significato e la loro luce. Forse dovrebbero accadere di meno o non accadere affatto. Allora lì, pensa che bello ricordarsi della neve, dei diluvi e dei baci sotto la pioggia, dei fulmini che squarciavano i panorami e gli umori. Ma per ora nevica e teniamoci questa neve.
Ho letto in un libro di Saramago – per chi non lo sapesse, è lo scrittore da cui attingo la maggior parte delle idee belle che poi riporto qui su Recensiamo Musica; quelle brutte, parola d’autore, sono sempre e solo mie – un bellissimo articolo sulla neve. Era il 1969 e il mondo guardava oltre le nuvole posando gli occhi su una sfera che qui sulla terra è grande poco più di una ciliegia: i grandi giorni dell’allunaggio sulla luna. Come immaginerete, articoli e fiumi di pagine spese per quell’evento memorabile. Tra chi profetizzava l’inizio di una nuova era, chi inneggiava al complotto; una giostra di ogni tipo. E Saramago? Ah giusto, ci dimenticavamo di lui. Beh, Saramago – che, ricordo, è Premio Nobel per la letteratura e uno dei più grandi scrittori dei nostri tempi – lui cosa faceva? Un’articolo sulla neve. Ciò porta ancora a confermarmi che la linea tra pazzia e genio è sempre più sottile e sfumata. In ogni caso, lui scriveva questo articolo riguardo una maestra dell’elementari che aveva chiesto come compito ai suoi alunni quello di preparare una composizione plastica sul Natale. Dubito si fosse espressa in questi termini. Avrà detto “disegnate una cosa sul Natale e portatemela lunedì”. E così, il lunedì successivo, la maestra si accingeva a decretare con la penna rossa (chissà poi perché rossa) l’esatto valore delle opere artistiche dei suoi studenti: bene, sufficienza, buono (voto orribile), male (va beh, forse più orribile questo) e via così. La maestra poi prese in mano un disegno, che non era né migliore né peggiore degli altri. Ma lei lo fissava, ed era molto turbata: il disegno mostrava l’inevitabile presepio, il bue e l’asinello, e tutto il resto della figurazione. Su questo scenario senza mistero cadeva la neve, e la neve era nera.
“Perché?” Si chiese la maestra al bambino, fra il preoccupata e lo spazientita per questo pessimo accostamento di colori. Silenzio. “Perché?” Domandò di nuovo la maestra. Il bambino si alzò in piedi tenendo sempre gli occhi volti verso il basso. E alla fine rispose: “Ho fatto la neve perché è stato questo Natale che mia madre è morta”.
“E la neve comincia a cadere
La neve che cadeva sul prato
E in pochi minuti si sparse la voce
Che Babbo Natale era stato ammazzato”
E con questa piccola storia triste, e questa malinconica neve che fluttua davanti alla mia finestra, riporto la domanda mia e di Saramago. Siamo arrivati infine sulla luna, siamo arrivati a costruire oggetti che possono comunicare in qualsiasi momento e spazio, siamo arrivati anche ipotizzare una forma di vita possibile su Marte. Il che è bellissimo. Ma quando e come arriveremo nel cuore di un bambino che dipinge la neve nera perché gli è morta la madre?
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