Raccontiamo l’attualità con una canzone
C’era questa spiaggia. Onde anonime all’orizzonte, scintillii di qualche sigaretta a fare da lucciole nel buio e, nel centro della spiaggia – dato che qualsiasi punto della spiaggia, a ben vedere, è sempre il centro della spiaggia – un telo mare. Su quel telo mare, io.
Non ero il solo. Oltre a dei miei amici, ero circondato da della strana gente. O per meglio dire, era gente normale, ma le loro facce, ecco, quelle si che erano strane. Avevano qualcosa di magico e di triste. C’era chi barcollava, chi se ne andava discutendo di soldi, chi se ne stava di spalle al mare a guardare il fondoschiena di alcune ragazze, c’erano ragazze al cellulare ignare di essere muse di sogni troppo grandi da desiderare. E nelle loro facce, una solitudine nascosta, una solitudine che riconosci in un attimo e che non ti basta una vita intera per capire. Una solitudine, per esempio, che poteva benissimo essere la mia.
Già. Quando si è a certi orari strani della notte, chissà poi perché, tutte le facce intorno tendono a riflettere la tua. Così me ne stavo lì, seduto e circondato da vagabondi miei simili e me ne stavo lì e pensavo un pensiero talmente idiota che provo vergogna a riportarlo per scritto anche adesso. Mi ronzava in testa questo turbamento:
“Cosa diavolo penserò quando lei arriva?”
Con lei, mi riferivo all’alba. Chissà perché mi sono sempre immaginato il sole come uno spirito femminile. In ogni caso, questo pensiero mi torturava la mente. Confesso di non aver mai goduto di un buon rapporto con l’attimo presente, e così la vista della mia prima alba marittima mi recava non pochi fastidi intellettuali. Ero combattuto dall’idea di non poter gestire un attimo così poetico e importante come l’arrivo della luce solare sulla nostra terra, e nello stesso tempo vivevo l’imbarazzante terrore di ritrovarmi immensamente più ignorante delle aspettative così da indugiare il mio sguardo e il mio pensiero in banali affermazioni fisiche e psichiche tipo “mi scappa la pipì”.
E allora me ne stavo lì, seduto sul mio telo mare, ad aspettare una luce che non arrivava e pensare pensieri che non ero ancora in grado di conoscere. Chi sarei stato all’arrivo dell’alba? L’uomo filosofico, o il piscione?
È una domanda stupida, ma siete vigliacchi e ipocriti se non vi siete mai trovati a dividere il mondo in queste due categorie.
In realtà, nella buia ora dell’attesa, un pensiero ce l’avevo. Stavo pensando alla mattina di quel giorno. Mi trovavo su un’altra spiaggia con dei bambini che costruivano castelli di fronte al mare. Di per sé, niente di sensazionale. Solo che lo facevano con una cura, una bellezza ingenua tipica dei bambini quando si trovano faccia a faccia con il verbo “creare”. Poi si sono messi lì a raccontare la storia di quei castelli.
E anche lì, una cura e una bellezza da ammirare. Poi certo, si può sindacalizzare la scelta di porre la lava al posto delle strade, e che un castello sulla luna senza un’entrata principale potrebbe essere poco propenso al turismo, ma a parte tecnicismi burocratici, erano storie interessanti.
Poi successe una cosa che mi ha un po’ spiazzato. A poco a poco, li hanno distrutti tutti. Tutti quanti. Vi ci sono buttati addosso senza pensarci due volte e tutte le storie e la lava, e le entrate nascoste, tutte loro si sono frammentati in minuscole e semplici granelli sabbia.
Ero confuso e irritato. Ma perché distruggere tutto? Perché, Dio mio, le cose non durano? Perché non provare a farle durare, quanto meno?
So che è un pensiero stupido. Del resto parliamo solo di castelli di sabbia. Però era questo il mio pensiero poco prima dell’alba. Pensavo a quei castelli. A quel che restava di quei castelli. Pensavo a tutti i castelli che mi faccio io, a tutti i pensieri geniali e terribili che mi vengono, e che prima mi esaltano e rabbuiarono, e dopo lascio distruggere con tanta facilità.
Sarebbe bello scoprire cosa ci facciano le onde con quei castelli. Con questi nostri pensieri. Forse la risposta si nasconde nella canzone “Onde” di Lucio Corsi.
Ero nel pieno di questa mio discernimento filosofico quando poi alzai la testa. E l’alba apparve.
Avevo ragione io, era una donna.
Bella, appena sveglia e con gli occhi semichiusi. Una luce di casa e un sapore di nostalgia. Una promessa d’amore per il domani riguardo la notte d’amore appena passata.
E senza che me ne rendessi conto, non pensavo a nulla.
Nessun castello da costruire o da distruggere. Solo io, il mio telo mare e due amici con cui condividere un bel momento.
La donna si alzò in alto, esibendo la sua bellezza su tutto il cielo.
Dopo un’ora circa, si fece vivo dentro di me non più un pensiero, ma una convinzione. Non era un castello di sabbia, era un castello vero e proprio, un qualcosa che avrebbe forgiato la mia personalità. Un castello che non sarei mai più stato capace di distruggere. Mi girai subito verso i miei due amici per raccontarglielo. Dormivano come sassi.
Peccato, sarebbe stato bello comunicarglielo lì, all’origine del mio castello, con l’alba davanti e il mondo ad aspettarci. Mi immagino le loro facce se fossero stati svegli a sentire la mia voce, calda e soave, dirgli:
“Amici miei… mi sa che sono un piscione.”
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