Ogni occasione è buona, davanti ad un fiume, per avere una crisi esistenziale. Sarà per l’acqua che scorre e non si ferma, sarà che non sai mai bene cosa guardare quando guardi un fiume, sarà quel detto di Eraclito di non entrare due volte nello stesso fiume. Chi lo sa.
Io, a detta di Eraclito, c’ero entrato solo una volta. Avevo i piedi nell’acqua, i calzoncini risvolti in alto per non farli bagnare e un po’ di pesci indagatori delle mie gambe pelose. Il tutto accompagnato da quell’armoniosa musica che fa l’acqua quando non fa altro che scorrere da un punto ad un altro senza perdersi in onde frantumate in lunghe spiagge.
Tempo fermo in movimento. Ecco cosa è il fiume.
Lo ripeto un’altra volta (perché è da sempre non scritta ma tramandata la regola che non una cosa ripetuta debba avvalersi di una maggiore importanza rispetto a quella che il disattento lettore le ha inizialmente prestato).
Tempo fermo in movimento.
Che poi ha sempre un’aria di tragedia, il fiume. Basti pensare al film di Pat Garret e Billy the kid, quando sotto le note della bellissima “knockin’ on heaven’s door”, un uomo muore guardando la sua amata che piange.
Oppure tutta l’idea che guida il film Revenant, e quel fiume simbolo di un duro destino irrefrenabile. Più di tutto, però, si alzano le note di Fabrizio De André con la sua famosa e sofferta canzone intitolata “fiume sand Creek”.
Mi stavo cantando le parole lì, su un altro tipo di fiume e con una storia che nulla c’entra con indiani e stragi.
Chiusi gli occhi per tre volte
Mi ritrovai ancora lì
Chiesi a mio nonno è solo un sogno
Mio nonno disse sì
A volte i pesci cantano sul fondo del Sand Creek
Chissà. Parole che raccontano una storia. Parole che raccontano un’emozione. Parole che raccontano una tragedia. La mia?
Come già detto, ogni occasione è buona, in un fiume, per una crisi esistenziale. E io mi stavo tristemente godendo la mia, sotto degli uccelli intenti a squarciare il cielo come un pittore fa con il suo pennello all’inizio di un suo dipinto ancora bianco. Poi successe.
Il fiume si arrestò. Nessun vento, nessun terremoto in atto. Si arrestò e basta. Mi inchinai per capire meglio e lentamente vidi l’acqua cominciare a scorrere, ma nel lato opposto. Se ne stava tornando in cima. Là, dove era nata. Là, dove l’acqua era qualcosa di solido, o forse di gassoso. Qualunque cosa fosse, comunque, una cosa lontana da qui, da questo lungo andare senza sosta. Per dove va questo fiume allegro? Chissà. Forse se ne torna sù in cima, ogni notte. Forse quando noi non lo guardiamo, prende un’altra strada.
Allora ho capito, l’ho capito lì in quel momento. Ho capito che Eraclito aveva torto marcio. Non è vero che non si può entrare due volte nello stesso fiume. La verità è che non puoi mai uscire dallo stesso fiume. Se ci sei dentro, ci rimarrai dentro tutta la vita. Così ho pensato che volevo anch’io risalire in cima, lì in quel momento. E se i pesci cantavano sul fondo del Sand Creek, allora li avrei lasciati cantare. E se l’uomo morente in Pay Garret e Billy the Kid voleva solo amare la sua donna negli ultimi istanti della sua vita, io l’avrei lasciato amare. Avrei lasciato che tutto facesse il suo corso, perché avevo un fiume da percorre. Una strada da fare. Un acqua da far scorrere sotti i miei piedi.
Poi mi hanno chiamato. Tre amici, patatine e focacce, piedi fuori dall’acqua, sorrisi di chi sta commentando e prendendo in giro i pensieri imperscrutabili di una persona ridicola. Io, in quel caso.
Mi guardai attorno. L’acqua era ritornata a scorrere a valle e tutto aveva preso il suo normale corso. Peccato però, quell’idea del non uscire dal fiume mi sembrava una gran cosa. Ora mi sembrava poco più che una bazzecola.
Ma c’è un modo per farla ridiventare importante. Certo che c’è.
Non puoi mai uscire dallo stesso fiume.
Ecco fatto.
Ripetete due volte amici, ripetete sempre due volte.
Giuseppe Currado
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