venerdì 22 Novembre 2024

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Fuori il mondo come va?: Perché l’uomo si spezza?

Raccontiamo l’attualità con una canzone

Quando il mondo non lo si capisce, è cosa saggia ed eroica provare a raccontarlo. E ciò che ho da raccontare qui, in questo spazio digitale che non esiste ma che mi unisce a voi, non ha nulla da insegnare o da far comprendere. È un racconto vero, ahimè, riguardo questa bestia zoppa che è l’uomo e che spesso per sollevarsi in piedi, affossa i suoi fratelli.

Me ne stavo camminando per la mia città di notte, nell’ora nella quale i bambini socchiudono gli occhi e i ragazzini bramano l’alba come un premio che è sempre spettato a loro di diritto. Me ne stavo camminando con una mia cara amica, parlando di tutto quello che si può parlare con una cara amica quando si ha solo una notte per farlo.

Non so bene il motivo, ma mi sentivo leggero, di una leggerezza che non provavo da un sacco di tempo. A volte capita così. Sei con quella determinata persona, in quello specifico posto, e il suono nel tuo cuore cambia. Non produce più quella musica di pianto e di sofferenza – quella per intenderci che non ci fa dormire la notte, ma ci fa costantemente pensare a tutto ciò che di sbagliato e ingiusto capita nella nostra vita – bensì un inno di coraggio, di speranza e, per l’appunto, di leggerezza. Che gioia, amici, provare questa sensazione. Ti senti rassicurato e inattaccabile. E così mi godevo la mia spensieratezza come un un uomo santo che entra felice nel regno dei cieli.

Poi arrivò l’inferno.

L’inferno, se ne guardi bene il lettore, non si presenta mai ai nostri occhi con scenari apocalittici o manifestazioni di odio plateale e distruttivo. Si presenta come una mosca: un rumore a noi inascoltabile, un fastidio che ci lacera pian piano e che rovina tutta la pace attorno a noi. Tutta la spensieratezza, la gioia, la leggerezza. Quel tipo di mosca si palesò ai nostri occhi come una coppia.

Lui, ragazzo di palestra, capelli pettinati nella vana speranza di nascondere la sua insicurezza dentro un ciuffo da duro, e negli occhi l’instancabile sete di dimostrare che tutto al mondo gli è estraneo, ma forse, proprio per questo, tutto può essere suo.

Lei, una foglia schiacciata. Fragile, due mani piccole che basta stringerle appena poco più forte per spezzarle per sempre, degli occhiali per nascondere le lacrime al mondo piuttosto che guardare esso meglio.

Lui la teneva stretta, come fosse una preda intenta a scappare. Le diceva di non piangere ma dimorava nella sua voce la minaccia di un avvertimento, e non l’intento di consolarla. Lei invece piangeva, a tratti sussurrava con una voce spezzata di lasciarla stare. Ma lui continuava, fra urla e sbracciata, a tenerla stretta a sé, rendendola la più lontana e la più sola fra tutte.

Guardai quella scena quel tanto che bastasse per rendermi conto che nessuno fra quelli che camminavano loro intorno, avrebbe provato a fare o a dire qualcosa.

Così ci andai io. In un battito di secondo mi ritrovai davanti novanta chili di rabbia e frustrazione. Due occhi di ghiaccio che mi vomitavano sguardi di sfida e disprezzo. Dietro di lui, la ragazza andò a sedersi poco più lontano, con le sue esuli mani nelle quali piangevano come grandine le sue lacrime.

Provai tanta tenerezza, per quella povera anima, da sola in questo mondo troppo spesso abitato da persone sbagliate, da anime interrotte, da rabbie consumate.

Mi ricordò quella canzone di Gazzelle che si chiama Tuttecose, quando dice:

“Mare, fammici stare bene
dentro c’ho tutte cose…

che stare male non vale
se non lo puoi gridare
portati via ste cose.”

Ritornai a guardare lui. Nel suo cuore la voglia di trasformarsi in un pugno e di scaraventarlo in faccia a tutti i suoi problemi. In quel momento, “tuttiisuoiproblemi” potevo essere io. Io però non mi mossi, lo guardai quel tanto che i suoi occhi mi concedevano e non feci altro che farmi delle domande.

Perché l’uomo viene meno? Perché diventiamo delle bestie e facciamo male al prossimo? Perché trattiamo male chi ci ama? Volevo fargli tutte queste domande, a quel tipo, perché mi piangeva il cuore a pensare a tutte le ingiustizie che ci capitano senza una vera spiegazione. Perché l’amore fra una coppia finisce? Perché ci sentiamo perennemente soli in questo mondo? Perché esiste questa mosca?

Fortunatamente non gli ho posto nessuna di queste domande, altrimenti un pugno in faccia me lo sarei preso di sicuro. La mia amica si mise in mezzo a noi due, così che ognuno percorse la sua strada. Lui, sasso di roccia e solitudine, verso la sua foglia schiacciata. Io, anima solitaria e poco prima serena, verso la mia notte.

Guardai in faccia la mia amica e mi sentii molto triste. Mi sentii triste per quella ragazza, per quel ragazzo, per noi due e per tutti noi, bestie zoppe. Esistenze fragili e confuse che troppo spesso generano male nonostante nell’animo ci siano intenti postivi. Che assurdi esseri che siamo. Che assurdo bene e che assurdo male generiamo.

Me ne stavo camminando con la mia cara amica, tacendo di tutto quello che si può tacere con una cara amica quando si ha una mosca che ronza nella stanza. La notte ci inglobò nei suoi pensieri, ma fra questi me ne sopravvive uno in particolare.

Perché l’uomo si spezza? Perché?